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Non ci sono alibi per chi deve guidare il cambiamento

A Dubai, i negazionisti sono stati messi a tacere, ma non sconfitti. Uno di essi, Trump certamente non si darà per vinto. Eppure, sono sempre stati una minoranza, per lo più silenziosa ma sicuramente influente e spesso potente. Nel mondo e in Italia. Annidata dappertutto, dalla politica, alla cultura, all’economia, al sociale. La decisione di fissare una data entro la quale i combustibili fossili devono essere messi al bando ovunque, sancisce la chiusura di un braccio di ferro che si è prolungato fin troppo, oltre ogni ragionevole prudenza. 

Ovviamente, i movimenti ambientalisti non sono soddisfatti. Ma le loro battaglie sono state tanto importanti che a Dubai si è precipitata una massiccia dose di produttori di energia da non rinnovabili sperando di annacquare le conclusioni, di rappresentanti della finanza internazionale interessati a capire se devono riprendere ad investire nelle nuove fonti, di lobbisti ed influencers tra il preoccupato e l’interessato, tutti a scrutare se il futuro prossimo fosse come il passato. 

Ebbene, ciò che sarà domani non ancora è stato delineato nei pur necessari ed essenziali dettagli, ma la rotta è stata segnata. Ovviamente, tra i convinti, le sfumature sono molto più dei colori dell’arcobaleno. Il “come” è ancora un libro da tanti fogli bianchi. Le priorità restano ancora troppe e quindi indefinite, mentre sarebbe più rassicurante che se ne scegliessero alcune da considerare privilegiate da parte di tutte le nazioni. Le idee non mancano e si raffinano sempre più (questo dossier cerca di darne conto), i mutamenti climatici avanzano inesorabilmente, il tempo sembra lungo – 25 anni, al 2050 – ma senza rimboccarsi le maniche già da ora, senza una concertazione almeno a livello dei G7, su una comune road map, sarà solo tempo drammaticamente sprecato.

Diventa, quindi, essenziale che il “chi” deve agire con determinazione, lo dimostri concretamente. E la rassegna, per quanto riguarda l’Italia, non è confortante. Il primo soggetto è il Governo e la sua politica estera ed economica. Sul primo fronte, l’iniziativa più eclatante si è appena consumata. L’incontro Italia/Africa si è svolto all’insegna del così detto Piano Mattei. Se si prende l’informazione ufficiale della Presidenza del Consiglio su di esso, si legge, al quarto punto (su cinque, quello riguardante l’energia), che “l’obiettivo strategico è rendere l’Italia un hab energetico, un vero e proprio ponte tra l’Europa e l’Africa. Gli interventi avranno al centro il nesso clima-energia, punteranno a rafforzare l’efficienza energetica e l’impiego di energie rinnovabili”. 

La sinteticità non nasconde l’ambiguità. E’ un’espressione eurocentrica e non assicura all’Africa investimenti unicamente destinati a fonti non rinnovabili che siano utili agli abitanti di quel continente. D’altra parte, se anche l’Europa si proiettasse a pancia a terra verso le fonti rinnovabili, dell’hab italico non ne avrebbe alcun bisogno. Un segnale infelice della confusione del Governo italiano, per niente fugata dalle parole spese durante l’incontro con la maggior parte dei Paesi africani.

Sul piano interno, la musica non cambia. Il PNRR rivisitato dal Governo di centro destra è stato ripiegato più sulla esigenza di turare falle antiche e recenti della situazione economica e sociale del Paese, che sulla proiezione alla lotta climatica. Due esempi. Di riforestazione come intervento per sostenere una transizione ecologica più dolce, neanche l’ombra. Continuiamo a compartecipare con il resto del mondo ad una deforestazione che nel 2022 è stata pari all’intero territorio dell’Olanda. Inoltre, le città sono tra le maggiori produttrici di inquinamento. Dall’originario PNRR sono stati fatti tagli agli enti locali specie sui capitoli dell’innovazione ambientale, che per la verità non è stata la priorità scelta dalla maggior parte delle amministrazioni regionali e locali, al netto dell’intervento del bonus 110% per l’edilizia, che tra l’altro, solo in parte è andato a beneficio delle esigenze ecologiche.

Ad un Governo sostanzialmente refrattario a programmare una prospettiva da economia circolare, un altro soggetto che potrebbe scuotere l’albero dell’indifferenza e della logica congiunturalista sono i sindaci. Questi hanno ormai a disposizione una carta straordinaria: quella delle comunità energetiche per le quali finalmente sono stati predisposti tutti gli strumenti per una realizzazione diffusa, sia per le famiglie, che per le aziende. Basterebbe che attivassero i sostegni necessari perché le persone fossero coinvolte in quella che può diventare il “fai da te” più efficace per dotarsi di energia pulita a costo zero. Altri Paesi stanno sperimentando forme di cooperazione privato-pubblico che in tempi brevi definiranno un nuovo paradigma della sostenibilità.

Infine, c’è da chiamare in causa Il sindacalismo confederale italiano. E’ rimasto finora praticamente assente. Nel migliore dei casi, ha supportato i movimenti ecologisti. Ma non ha mai dimostrato di voler prendere per le corna il toro della transizione. Che non può essere relegato a questione riguardante il futuro del lavoro, azienda per azienda, realtà territoriale per realtà territoriale. Si stanno già vedendo i primi ma significativi esempi di quello che potrà succedere domani. La vicenda Stellantis e quella dell’ex ILVA sono un indigesto antipasto di quello che può capitare sul piano sociale, a breve. 

Sarebbe veramente un salto di qualità se CGIL, CISL e UIL affrontassero con un approfondito dibattito, coinvolgendo esperti e università, la complessità della transizione possibile. Gli effetti sul lavoro, in termini qualitativi e quantitativi, non saranno di facile gestione, ma di possibile realizzazione, sì. Alla condizione di avere una visione strategica che altri non sanno o non vogliono dare (com’è facile farsi propaganda con il ponte sullo Stretto di Messina!!!), che sappiano coinvolgere il sistema produttivo italiano con le loro rappresentanze delle piccole, medie e grandi aziende, che intendono creare le giuste alleanze sociali ed istituzionali. Una nuova stagione di concertazione all’insegna della rigenerazione ambientale, non sarebbe male. 

In definitiva, anche per il lavoro, la sfida è epocale; coincidendo con quella dell’Intelligenza Artificiale, entrambe saranno decisive per ridefinire gli assetti produttivi, la tenuta dello Stato sociale, la qualità della vita delle persone e finanche quella della democrazia reale del Paese. L’unico modo per aiutare la gente a non sentirsi moltitudine senza punti di riferimento è quello di sporcarsi le mani con determinazione e consapevolezza.     

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