Dopo le “Grandi dimissioni” il 2023 spiana la strada a quella che possiamo chiamare una vera e propria “Recessione dei talenti”. Le aziende e le piccole imprese rischiano di perdere i migliori se non si adattano ai cambiamenti che il nuovo anno sta già anticipando. C’è stato un “prima” e un “dopo” il Covid, ma la ripresa post pandemica, la spinta inflazionistica e le nuove esigenze di mercato apriranno la strada nel 2023 ad altri mutamenti. Non farsi trovare impreparati, quindi, può fare la differenza, e saper investire in strumenti in grado di ottimizzare le risorse a disposizione sarà fondamentale più che ma
Sono stati due anni intensi da un punto di vista sociale ed economico: le nostre vite sono cambiate e, così, anche il nostro approccio al lavoro. L’emergenza sanitaria ha accelerato il ricorso allo smart working, sempre più diffuso, e le aziende hanno dovuto riorganizzare i propri assetti per attrarre e mantenere talenti. Bisogna partire dalla consapevolezza che c’è stato un “prima” e un “dopo” il Covid, ma non è finita qui. La ripresa post pandemica, la spinta inflazionistica e le nuove esigenze di mercato apriranno la strada nel 2023 ad altri mutamenti. Non farsi trovare impreparati, quindi, può fare la differenza. Ma la vera domanda è: cosa dobbiamo aspettarci?
Durante i periodi di recessione le aziende, per i più svariati motivi, tendono a ridurre gli investimenti. Questo spesso si traduce in uno stop delle assunzioni o, nella peggiore delle ipotesi, in tagli al personale. Mantenere un certo equilibrio è fondamentale, ma pensare che la crisi che stiamo attraversando spiani la strada solo ed esclusivamente ai licenziamenti di massa è – in parte – sbagliato.
Piccole, grandi e medie imprese che vogliono limitare le perdite, infatti, hanno interesse a mantenere i migliori talenti. Perché anche un professionista che se ne va è una spesa: bisogna cercare qualcuno che lo sostituisca, che sia all’altezza, e la ricerca così come l’inserimento in ufficio e la formazione richiedono risorse. Inoltre, non è detto che la nuova figura sia in grado di assicurare gli stessi standard. In Italia dopo le “Grandi dimissioni” stiamo adesso assistendo a quella che si può definire una “Recessione di talenti”: i lavoratori se ne vanno, i qualificati per ricoprire determinati ruoli sono pochi e non si trovano facilmente e, di conseguenza, i datori di lavoro si ritrovano a spendere sempre più budget in ricerca e selezione di nuovo personale.
Ma c’è un modo per evitarlo? La crescente probabilità di una recessione significa che, nonostante la richiesta di lavoro e i tassi di disoccupazione storicamente bassi negli ultimi mesi, è probabile che il mercato occupazionale si deteriori l’anno prossimo. In effetti, i funzionari della Federal Reserve si aspettano che il tasso di disoccupazione salga al 4,4% nel 2023, rispetto al 3,7% dell’ottobre 2022. Inoltre, nella prima metà del 2023 potrebbero essere persi circa 900.000 posti di lavoro, secondo le proiezioni sul mercato del lavoro del Conference Board, con una conseguente diminuzione della partecipazione complessiva alla forza lavoro.
Ma le cose non saranno tutte negative. La maggior parte delle aziende, come abbiamo visto, hanno la necessità di mantenere i propri migliori talenti per superare la tempesta che li attende. Ciò significa che continueranno a migliorare l’esperienza lavorativa, il pacchetto di vantaggi e ad aggiungere altri benefit per i propri dipendenti, che avranno un impatto reale sul benessere e sulla qualità della vita delle persone. Anche i lavoratori stessi saranno fortemente motivati a farsi carico della propria salute, delle proprie finanze e della propria traiettoria di carriera nel 2023.
In questo contesto, pertanto, non stupiscono i risultati dello studio Future Of Work Survey 2022 di Forrester Research, secondo cui:
● quattro aziende di lavoro ibrido su dieci si sono dette interessate ad abbandonare le modalità di lavoro ibrido o da remoto
● mentre il 68% dei dipendenti tra quelli che possono lavorare da remoto afferma di voler ricorrere allo smart working più spesso rispetto a prima della pandemia.
Dati alla mano, il report ha poi permesso agli esperti di fare delle previsioni, ovvero nel 2023:
● le aziende più in difficoltà saranno quelle che non ascoltano e collaborano con i propri dipendenti nel definire nuove politiche di lavoro ibrido;
● la metà dei datori di lavoro che imporranno il ritorno in ufficio impedendo ai dipendenti di scegliere il lavoro da remoto andrà incontro al fallimento.
Insomma, nonostante molte aziende incoraggino i dipendenti a tornare in ufficio, i dipendenti non vogliono rinunciare al lavoro ibrido e remoto. E forse, con la spinta inflazionistica che minaccia di aumentare ulteriormente il costo della vita, non c’è da meravigliarsi se le persone non vogliono spendere soldi extra per trasporti, pranzi fuori e auto.
Per non perdere i talenti, quindi, bisogna investire. La tecnologia, la riprogettazione degli uffici e la sostenibilità promuoveranno il lavoro ibrido e remoto nel 2023, che non potrà più essere lasciato al caso, ma potenziato e migliorato laddove è possibile.
Tutte le ricerche sono concordi nell’affermare che nel 2023 i dipendenti presteranno maggiore attenzione a quanta flessibilità offre il lavoro e la flessibilità sarà una condizione che molti richiederanno. Le aziende che non hanno orari di lavoro flessibili, pertanto, rischiano di perdere i migliori talenti.
Il rapporto 2022 Global Talent Trends di LinkedIn rivela che il miglioramento delle competenze e le opportunità di crescita nella loro azienda attuale sono due delle massime priorità per i lavoratori di oggi, che arrivano solo dopo la retribuzione, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la flessibilità.
Inoltre, circa 2 lavoratori su 3 hanno affermato che è probabile che lasceranno la loro azienda quest’anno perché non ci sono abbastanza opportunità per lo sviluppo delle competenze o l’avanzamento di carriera, o perché non c’è modo per loro di passare a un lavoro diverso o un nuovo percorso professionale.
Per il 2023, per le imprese questo rappresenta un’opportunità interessante di mantenere la loro forza lavoro attuale e attrarre nuovi talenti offrendo maggiore supporto, anche da un punto di vista organizzativo.
Non a caso, una ricerca di Airspeed ha rilevato che almeno 1 lavoratore remoto su 3 si sente solo, disconnesso o isolato e la maggior parte delle persone non ritiene che i propri colleghi si preoccupino per loro. La situazione è così grave che 2 dirigenti su 3 ritengono che i propri dipendenti potrebbero licenziarsi per un lavoro in un’altra azienda in cui si sentirebbero più connessi.
Un fattore di cui bisognerà tenere conto, quindi, è come la mancanza di strumenti adeguati al lavoro a distanza influisce sulla motivazione, sulla produttività e sulla creatività. È probabile che molte aziende trarranno vantaggio dall’abbondanza di tecnologie che sono entrate nel mercato specificamente per supportare la forza lavoro remota e ibrida, dagli strumenti e dalle soluzioni per l’ufficio virtuale progettati per ottimizzare gli uffici ibridi, alle piattaforme progettate per aiutare i dipendenti a socializzare e svilupparsi più forte relazioni.
I luoghi di lavoro nel 2023 saranno perciò più diversificati, distribuiti e virtuali che mai. Le aziende e le organizzazioni ancora più piccole dovranno pertanto imparare ad adattarsi per soddisfare le mutevoli aspettative dei dipendenti sulla scia della “nuova normalità” post-pandemia.
Sebbene sia ancora relativamente presto quando si tratta di valutare l’impatto sociale di un cambiamento così enorme, i rapporti iniziali suggeriscono che questa flessibilità porta a una maggiore felicità dei lavoratori e, di conseguenza, ad una maggiore produttività.
*Consulente editoriale Ipsoa Magazine, 12/12/2022