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Due strategie a confronto nel sindacato

Nel giro di poche settimane abbiamo avuto due eventi sindacali che consentono di capire meglio le difficoltà che persistono sulla strada dell’unità – almeno d’azione, come si diceva un tempo –  tra le maggiori confederazioni del mondo del lavoro. Il 17 giugno, la CGIL ha riempito ancora una volta piazza S.Giovanni a Roma contro la reintroduzione di una qualche forma di regolamentazione del lavoro occasionale in sostituzione dei voucher. A fine giugno la CISL ha celebrato il suo congresso all’insegna di uno slogan poco amorfo: “la persona, il lavoro”.

Non si può catalogare la scesa in campo della CGIL come la “solita contrapposizione   al Governo”. Certo, c’è anche questa componente, in scia con la mai celata astiosità verso il Governo Renzi, benchè questo non ci sia più. Una sorta di automatismo reattivo, quasi a ricordare, a sé stessi innanzitutto, un’alterità che viene da lontano e può andare ancora più lontano. Ma c’è anche la voglia di ri-affermare e ri-sottolineare che il mondo del lavoro va ri-composto e ri-rappresentato.

Si può discutere delle forme scelte per dare sostanza concreta a questa opzione. Sia relativamente al ricorso all’arma del referendum, sia del privilegio assegnato alla legge rispetto alla contrattazione, per raddrizzare l’albero storto. Si può obiettare che partire dai diritti – vissuti e proposti sostanzialmente come una livella –  e non dal lavoro così com’è, si rischia di negare la complessità dell’evoluzione della fatica manuale ed intellettuale postfordista. Si può finanche ricordare che compito del sindacato non è quello di testimoniare, ma di migliorare – sia pure gradualmente – la condizione della gente che si vuole rappresentare. Ma l’opzione strategica resta valida.

A sua volta, la CISL esce dal congresso con la convinzione che soltanto domando quel cavallo pazzo che si sta rivelando il lavoro 4.0 è possibile costruire le condizioni per far lavorare tutti e dare dignità alla persona. Il cammino è ancora lungo, non tutti i tasselli del mosaico del nuovo lavoro sono stati messi al posto giusto, ma il senso di marcia è stato indicato senza mezzi termini: il domatore non può essere uno solo. Né si può domare con la contrapposizione preconcetta. Ci vuole cooperazione tra i soggetti che determinano in basso (nei luoghi di lavoro) e in alto (a livello di sistema) l’identità del lavoro 4.0, che è un mix micidiale ed affascinante nello stesso tempo di tecnologia, digitalizzazione, reti, saperi, competenze, ma anche dequalificazione, flessibilità estreme, ingorghi esistenziali e relazionali tra vita e lavoro. Il che implica nuove regole del gioco (comprese quelle della rappresentanza), assunzioni di responsabilità a tutti i livelli.

In altre parole, si può dire che la CGIL vuole ri-comporre e ri-rappresentare il lavoro “forzando” il mercato, mettergli paletti più legislativi che contrattuali allo scopo di standardizzare il più possibile le condizioni basilari della realtà dei lavoratori. La CISL vuole “condizionare” il mercato, convinta che la questione vera non è quella di omogeneizzare le situazioni ma di prevenire le distorsioni, anticipare i problemi, costruire i nuovi equilibri quando i vecchi si logorano. La CGIL mette in primo piano la lotta alla fragilità del precariato, sostanzialmente puntando alla sua scomparsa, nel momento in cui Uber scombina le regole della mobilità delle persone e Amazon ti porta la pizza a casa, calda e all’ora giusta. La CISL sembra interessata a far dialogare le tante forme di lavoro per condurle in un alveo di accettabilità etica e sociale.  Non è un caso che nel congresso ha dato rilievo alle testimonianze di giovani precari e di donne sottratte alla schiavitù della prostituzione.

Si tratta di difficoltà interpretative e propositive che sono destinate all’incompatibilità? Non ho la risposta, ma sono moderatamente ottimista. Non fosse altro perché, a differenza della politica, i personalismi hanno minore peso e sta crescendo la stima reciproca tra i gruppi dirigenti. Inoltre, mi sembra scemata la pressione politica sull’inutilità dei corpi intermedi, prodotto nocivo di un’interpretazione superficiale della società liquida. 

Non trovare una composizione di queste visioni, diverse ma non antagoniste, non è senza danni reciproci. Non illudiamoci, vicende come quelle di Almaviva e dell’Alitalia ma soprattutto quegli 800 contratti nazionali depositati e resi ufficiali dal CNEL dimostrano che una terza via c’è sempre tra due che confliggono, pur essendo nobilmente motivate. E’ quella della corporativizzazione delle soluzioni, della subalternità al populismo del momento, del rifiuto dell’autorevolezza confederale, del rifugio nel movimentismo mordi e fuggi. Forse con norme più stringenti sulla rappresentanza si potranno rendere più difficili le fughe dalle responsabilità. Ma soltanto la volontà di trovare sintesi mature sul futuro del lavoro potrà immunizzare i lavoratori dalla sciagura del “la va o la spacca”.

        

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