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È il sistema che cambia

È il sistema, il sistema mondo, che sta cambiando; non si può più ragionare per parti, per emergenze, per disastri; non possiamo continuare a ragionare sul solo rapporto puntuale tra causa unica e definita ed effetto unico e definito. Il mondo è un sistema e reagisce in modo sistemico a qualsiasi variazione.

Sono sufficientemente âgé per trattare con leggerezza i ricordi e, tra quelli a me più cari, ci sono le numerose sciate estive sulla Marmolada.

È vero che sono âgé, ma non sono “Matusalemme”: parlo solo di alcuni decenni fa.

Il problema è chiaro: in pochi decenni si sono verificati cambiamenti delle temperature, delle precipitazioni nevose e piovose, ecc. che sono state mal sintetizzate con l’espressione cambiamenti climatici, che  esprime molto bene le variazioni del clima ma lascia scoperto l’intero cambiamento che il sistema mondo sta subendo in un continuo scambio tra cause ed effetti, tra prodotti e produttori di cambiamento.

Purtroppo per abitudine culturale, linguistica e informativa siamo abituati a ragionare per parti, a enucleare il problema emergente e a proporre soluzioni puntuali e non sistemiche a quel problema.

Non è così che possiamo continuare ad agire e anche a pensare. Quando una parte si ammala, è tutto il sistema che modifica i suoi scambi energetici e i suoi equilibri. Nulla rimane uguale a prima della malattia. Una parte malata o compromessa modifica l’equilibrio dell’intero sistema; quell’equilibrio non sarà mai più ripristinabile e dovremo trovare o costruire un altro equilibrio.

Il mondo è un sistema di sistemi o, se vogliamo, un ecosistema di ecosistemi che vivono sull’equilibrio delle loro diversità. Se cambiano le diversità, cambiano gli equilibri e quindi anche le forme e le strutture del sistema. L’alterazione di un elemento compromette l’equilibrio generale obbligando tutto il sistema a ricercare nuovi equilibri che a loro volta modificano anche quelle parti sane che sarebbero state ben tranquille nel precedente equilibrio.

È un concetto semplice: un condimento, una spezia, un sistema di cottura, cambia il sapore, la forma, il colore dell’intera pietanza, distinguendo una tradizione culinaria da un’altra, un popolo e una cultura da un’altra e così via.

Chiunque guardi l’informazione e la divulgazione televisiva, vede il distacco degli iceberg, l’assottigliamento della calotta polare, l’aumento di temperatura nell’Antartico; sono tutte eclatanze determinate  dal riscaldamento (in gran parte figlio del nostro modo di produrre e consumare energia) che diventa presupposto di ulteriori cambiamenti come il livello del mare, che a sua volta contribuirà a produrre altre alterazioni dei climi temperati, della flora costiera, degli arenili e delle scogliere, delle nidificazioni e altro: tutto nella ricerca di nuovi equilibri sistemici, originata dai disturbi e dalle alterazioni che si realizzano a prescindere dalla nostra conoscenza e volontà. 

Quello che culturalmente mi preoccupa è la nostra tradizione conoscitiva che tende sempre a ridurre tutto all’immediatezza causa-effetto del caso.

Nessuno nega le responsabilità dirette della combustione da idrocarburi e dello sviluppo realizzato con modi di produzione insostenibili. La responsabilità è ancora maggiore se esaminiamo le conseguenze sistemiche che producono.

Partiamo dall’eclatanza di pochi giorni fa: il seracco nel ghiacciaio della Marmolada.

Chi non ha sentito o letto con cadenza mensile che i ghiacciai alpini si stanno sciogliendo? Si sciolgono perché c’è il riscaldamento globale? Sì, ma da che cosa deriva? Morte all’idrocarburo? Senz’altro sì. Evviva le rinnovabili. Guerra alle lobby del petrolio? Per me e per qualche altro miliardo di persone, sì. Ma è solo lì il problema? Purtroppo no, anche se è indubbio che i sistemi di produzione e di consumo cresciuti sulla cultura dell’energia da idrocarburi ne siano stati e ne sono ancora il presupposto.

Ragioniamo (anche se solo come esempio): il riscaldamento globale scioglie i ghiacciai. Mentre questi si sciolgono o si assottigliano, che cos’altro succede? Le praterie d’alta quota cambiano struttura e aspetto, i larici crescono anche sopra quota 1.800 metri; più in basso i prati da sfalcio salgono anch’essi di quota così come tutte le coltivazioni, il verde aumenta e il bianco diminuisce. Il ghiacciaio impoverito diventa sempre meno bianco e quindi meno riflettente, il nuovo grigio-nero assorbe e non riflette il sole; il ghiacciaio si scalda sempre di più, l’acqua prodotta entra nei crepacci e nei canaloni, spinge, crea un grande scivolo e…BOOM! Il disastro annunciato si è realizzato.

Crepacci e pietraie, tenuti insieme dai ghiacciai, non sono più tenuti insieme e in breve tempo cambia morfologia e pedologia, struttura e forma.

L’assioma è: cambiando il clima, cambiano anche gli scambi energetici e i microclimi che, a loro volta, diventano motori di nuove e complesse modificazioni climatiche ed ecosistemiche.

È proprio questo che ci pone degli obblighi. Tutte le volte che progettiamo un inserimento, un cambiamento, una modificazione, un’alterazione dell’ecosistema dobbiamo pensare all’equilibrio che compromettiamo e a quello che si ricostruirà. Se lo lasciamo alla resilienza e/o alla spontaneità della natura, quella reagirà nei modi e nei tempi per lei più semplici. Se il danno ambientale è piccolo, come le vestigia abbandonate nella foresta della Colombia, la foresta ringoierà ciò che rimane delle vestigia dell’uomo; se il danno è grande ed esteso, si produrranno cambiamenti strutturali: in montagna e ai poli i ghiacciai continueranno a sciogliersi, e le pianure (oggi ancora in territori temperati) assumeranno sempre di più caratteri semidesertici.

In questi cambiamenti si modificano gli scambi energetici che alterano, fino a cambiamenti radicali, ambienti biotici e a-biotici. 

Non sono mai stato un malthusiano ma è indubbio che non possiamo più continuare a proporre e a produrre variazioni territoriali con gli stessi criteri, metodi e presupposti scientifici di quando il mondo era popolato da 1 miliardo di individui, che avevano bisogno di servizi, residenze, sistemi di mobilità. 

Oggi siamo 7,5 miliardi con un esasperato sviluppo dei consumi e con un altrettanto esasperato uso dei fossili (solidi, liquidi e gassosi) per la produzione di energia.

Dobbiamo prendere coscienza non solo dei valori assoluti ma anche dei valori relativi con cui queste nuove masse pesano sui singoli ecosistemi e sull’ecosistema mondo. 

Proprio in questi giorni l’Europarlamento in seduta plenaria ha permesso a Gas e a Nucleare di entrare nella tassonomia verde; già a metà giugno le commissioni Economia e Ambiente avevano dato parere favorevole. È vero che ha posto limiti e vincoli, ma il segnale è chiaro per l’oggi e anche per il futuro prossimo (quanti anni servono per costruire un impianto nucleare e quanti anni servono per rientrare dall’investimento?) 

Che dire, forse una cosa sola: “Continuiamo a farci del male”. 

Riprendo l’inizio: è l’intero sistema, l’ecosistema mondo, che sta cambiando e i collassi sono espressioni puntuali di variazioni complesse. Anche se gli equilibri sistemici cambiati o alterati si esprimono in collassi puntuali, questo non ci permette di avere una visione parziale e non sistemica del periodo che stiamo vivendo.

Non possiamo più ragionare per parti, per emergenze, per disastri puntuali e circoscritti che, per loro natura, si manifestano quando cause e concause trovano in un collasso, o in una manifestazione specifica, il modo di liberare l’energia accumulata a seguito dei mutati equilibri per l’introduzione di componenti fisiche e/o energetiche di alterazione. 

Sussumendo quanto detto a coscienza critica, non possiamo continuare a valutare e a reagire nel solo rapporto diretto tra effetto, vissuto come unico e circoscritto e causa che, al contrario, è sistemica.

Per dirla in modo semplice, Il mondo è un sistema, un sistema di ecosistemi, e reagisce in modo sistemico a qualsiasi variazione puntuale o plurale gli somministriamo, creando catene e variazioni generali e complesse foriere e presupposto di ulteriori variazioni.

Questo significa che anche noi dobbiamo cominciare a progettare e programmare le trasformazioni in modo sistemico e nella valutazione degli equilibri ecosistemici.

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