Chi avesse avuto dubbi sulla natura di massa e sulla valorialità del fenomeno mondiale, messo in moto da Greta Thunberg, da venerdì 27 settembre non può avere argomenti per sottovalutarlo. Può soltanto provare a confutare l’allarme, ma francamente non mi sembra che abbia molte frecce al proprio arco.
Nonostante ciò, non va dimenticato che i denigratori hanno sostegni potenti, godono di rendite di posizione finora inespugnate, contano su standards di vita che cozzano con i guai del pianeta e che riguardano anche chi ha marciato nei “Fridays for future”. Non tutti sono come Greta che vive francescanamente e non viaggia in aereo perché è il mezzo tra i più inquinanti. Per fortuna, i negazionisti hanno tesi poco convincenti per far passare quei milioni di giovani per pessimisti incalliti o gufi seriali.
Anzi, essi sono i più ottimisti perché non predicano morte, ma vita. La vorrebbero, ovviamente, più certa, più armoniosa, più sana. E’ impressionante come questi sentimenti accumunino le giovani generazioni dei Paesi più disparati, delle classi sociali più diverse, delle culture più opposte. Non è azzardato pensare che, forse, è in gestazione una nuova Utopia, capace di smuovere le acque di un mondo ormai lontano dalle ideologie del secolo scorso, ma alla ricerca di un senso da dare all’esistenza individuale e collettiva.
In diverse fasi storiche dell’umanità, non sono mancate spinte utopiche che hanno egemonizzato le culture e le passioni dei popoli. Venendo alle più vicine, la più stimolante è certamente quella che si ritrovò sotto l’insegna di “liberté, égalité, fraternité”; seguita da quella del capitalismo e del libero mercato, come panacea della felicità; a cui ha fatto da contrappeso il marxismo, storpiato dal comunismo nella sua traduzione concreta. Queste proposte hanno contrassegnato l’evoluzione modernista dell’umanità, che non è stata fatta soltanto di rose e fiori ma di conquiste difficili e spesso dolorose, specie sul piano dei diritti, a partire dallo spessore da dare alla democrazia e alla dignità della persona.
Tutte, però, si sono imposte sulla base di un presupposto, la piena disponibilità per l’umanità dei beni della Terra: i suoi mari, la sua aria, i suoi campi, le sue foreste, i suoi animali. Questa immensa gratuità, soprattutto ai giovani, non appare più scontata. Si intravede la sconfitta dell’esistenza dell’uomo, per mano propria. Le spinte utopiche del passato perdono mordente. Nel vuoto di questa fase, dove il benessere non è equamente distribuito, dove prevalgono i predicatori del superamento della distinzione tra conservatori e progressisti, dove si diffonde la democrazia illiberale, dove il ripiegamento degli atteggiamenti concreti è più verso l’”io” che verso il “noi”, l’insurrezione finora “dolce” dei giovani di molte parti del mondo sposta drammaticamente e salutarmente l’attenzione verso l’Utopia della salvezza della Terra.
C’è un’assonanza con il messaggio del Papa che parte dalla Laudato si’ ma giunge a proporre l’unità di tutte le Chiese che credono in un solo Dio, come condizione per dare risposta positiva anche alla sopravvivenza del Creato. Consapevolmente o no, questo movimento planetario di credenti e non credenti, di studenti che fondano il proprio protagonismo sulla scienza e nei suoi suggerimenti, si identifica in una visione ideale e non banale del futuro. Essi dimostrano di sapere perfettamente che la loro aspirazione comporta un cambiamento profondo degli stili di vita, dei consumi, della qualità e quantità del lavoro e del suo tempo libero. Chiede soltanto che tutto questo avvenga ora e non sia rinviato ad un incerto domani.
Un movimento che ha questa energia propositiva non può essere deluso. E i rischi ci sono tutti. La costruzione dell’alternativa alla CO2 è complessa e costosa, in più non è l’unica causa del disastro annunciato. Va coniugata con altre misure regolatorie e con ingenti investimenti pazienti che inesorabilmente intaccano poteri forti, incidono su abitudini acquisite, richiedono visioni lunghe e non strettamente congiunturali. Inoltre, non riguarda soltanto i Governi e le forze politiche, primi destinatari della protesta dei giovani di tutto il mondo.
In particolare in Italia, soltanto la scuola, le università e i luoghi di lavoro potranno assicurare alla società civile nel suo insieme quel sostegno sistematico perché vengano superati tutti gli ostacoli che si frapporranno nel cammino di questo epocale cambiamento. Il sistema dei partiti è troppo ripiegato sul presente perché possa elaborare e realizzare progettualità di medio e lungo periodo. E’ dalla società civile che deve venire il maggior sostegno alle richieste dei giovani e la migliore certezza che siano soddisfatte.
Soltanto un esempio, tra i tanti. Nel mondo del lavoro, se imprese e sindacati assumessero come priorità la condivisione delle condizioni per investimenti aziendali finalizzati ad una produzione a zero emissioni nocive, si darebbe un sostanziale appoggio alla buona riuscita dell’inversione di tendenza che gli accordi di Parigi hanno previsto entro il 2030. Un recente documento di CGIL, CISL e UIL sull’emergenza climatica dedica al riguardo un ampio catalogo di impegni. Una traduzione concreta di queste indicazioni, soprattutto nella contrattazione aziendale, farebbe crescere il ruolo dei lavoratori e infonderebbe fiducia nelle giovani generazioni. Inoltre, sarebbe una buona base per mettere in comunicazione mondo del lavoro e quello studentesco, nei territori.
Alcuni hanno accostato i “Fridays for future” ai movimenti studenteschi e operai del 1968. Mezzo secolo fa, essi si proposero come alternativa alle classi dirigenti dei Paesi maggiormente industrializzati. Ora, al centro dei pensieri, dei propositi e degli slogan non c’è l’alternatività, ma la richiesta di assunzioni di responsabilità degli adulti. Un messaggio, a ben vedere, più forte e incisivo che non può essere eluso o banalizzato. Chi deve risposte, non si può sottrarre. Sarà difficile ma non impossibile. E’ dovuto per sé stessi e per i propri figli e nipoti. Senza perdere tempo prezioso.