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E sul fronte delle pensioni, un reddito da oro alla patria

Nelle Relazioni tecniche che accompagnano le leggi di bilancio le misure che riducono la perequazione delle pensioni sono sempre valutate al lordo e al netto degli effetti fiscali. Un conto è infatti la riduzione della spesa pensionistica lorda prodotta da un taglio della perequazione, altro è l’effetto che questo taglio ha sul bilancio complessivo dello stato.

Gli Istituti pensionistici erogano aumenti inferiori delle pensioni rispetto a quanto in precedenza previsto, di conseguenza diminuisce anche l’importo di tassazione che lo stato riceve su questi aumenti rispetto a quanto previsto.

Di conseguenza il risparmio effettivo dello stato è dato dalla differenza tra la minore spesa pensionistica e il minore introito fiscale. La differenza non è piccola, proprio perché la tassazione applicata è quella derivante dall’aliquota Irpef marginale, ossia la più alta, e si riferisce alle pensioni medie e alte, dato che il taglio della perequazione riguarda queste ultime.

Se prendiamo la Relazione Tecnica della legge di bilancio per il 2023 che reintroduce il sistema a fasce tagliando la perequazione, il risparmio indicato è quello riportato nella seguente tabella: 

Tavola 1 – Legge di bilancio 2022 – Risparmi in termini di minore spesa pensionistica (valori in mln di euro)

 2023202420252026202720282029203020312032
Minore spesa (lordo effetti fiscali) -3.535-6.831-6.589-6.557-6.495-6.427-6.353-6.273-6.188-6.095
Minore spesa (netto effetti fiscali) 2.1214.0983.9533.9343.8973.8563.8113.7643.7133.658
Differenza-1.414-2.733-2.636-2.623-2.598-2.571-2.542-2.509-2.475-2.437

Come si vede la differenza è notevole. Lo Stato risparmia in termini di spesa pensionistica 3,5 mld nel 2023 e quasi 7 nel 2024, ma ne incassa 1,4 in meno di Irpef nel 2023 e 2,7 mld in meno nel 2024, e così via negli anni seguenti.

Ovviamente la cosa va letta anche al contrario. Se lo stato non avesse tagliato la perequazione di 3,5 mld nel 2023, questi soldi non sarebbero tutti finiti nelle tasche dei pensionati, ma 1,4 mld sarebbero andati al fisco.

Questi gli effetti macro, sul bilancio pubblico e sulla spesa pensionistica della minore perequazione, poi ci sono gli effetti sulle singole pensioni o, più correttamente, sui singoli pensionati, dato il “cumulo pensionistico”. 

Vediamo quale è stato l’effetto al lordo e al netto del fisco del taglio della perequazione nel biennio 2023/24 sulle pensioni soggette all’applicazione del metodo a fasce. 

Tavola 2 – Importi di pensione mensili in base ai due sistemi di perequazione

Importo 20222.500,003.500,004.500,009.000,00
Importi mensili con legge di bilancio 2022  
Importo 20232.672,103.633,204.634,909.233,30
Importo 20242.794,803.725,504.727,509.343,00
Importi mensili con legge 380/2000  
Importo 20232.682,303.712,704.773,509.546,90
Importo 20242.812,703.863,204.966,909.933,60
Differenza mensile lorda   
202310,279,5138,6313,6
202417,9137,7239,4590,6
Differenza mensile al netto del fisco*  
20236,147,776,5173
202410,781132,2326,3

*Irpef nazionale + addizionale regionale base (1,23%) + addizionale comunale 0,5%.

In valori lordi al termine dei due anni di taglio della perequazione, la pensione pari a 2.500 euro lorde mensili (1.860 nette) avrebbe subito una perdita permanente mensile di 10,7 euro; quella di 3.500 euro (2.460 nette) una perdita permanente mensile di 137,7 euro; quella di 4.500 euro (3.020 nette) una perdita permanente mensile di 239,4 euro; quella di 9.000 euro (5.500 nette) una perdita permanente mensile di 590,6 euro.

Perdite consistenti all’aumentare dell’importo. A parziale consolazione dei pensionati colpiti dal cambio di metodo della perequazione, si può osservare tuttavia come una parte non piccola della mancata perequazione sarebbe comunque andata allo stato anziché finire nelle loro tasche, anche se non fosse stata tagliata.

Come si vede nella parte finale della tabella, una parte non irrilevante al crescere dell’importo della pensione, sarebbe andato comunque allo stato attraverso il fisco. La perdita effettiva, quindi, è minore di quello che appare (in particolare nelle regioni dove le addizionali sono più alte del valore minimo considerato) perché comunque lo stato attraverso il sistema fiscale si sarebbe preso una parte dei maggiori aumenti di perequazione.  

Nella tavola 5 è indicato il contributo Irpef, Fonte Itinerari Previdenziali, che le pensioni previdenziali versano ogni anno al fisco tra imposta nazionale e imposte locali. 

Tavola 3 – Contributo all’Irpef delle pensioni previdenziali

Importi in mld di euro20152017201820192020202120222023
Imposta sulle pensioni49,350,551,554,256,268,258,962,2

Fonte: Itinerari Previdenziali, Rapporto n. 12, Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano

Per i pensionati c’è un problema fiscale. Di fatto, salvo l’aumento della no tax area nel 2022 non hanno avuto interventi fiscali a loro favore negli ultimi anni. Hanno ovviamente goduto come tutti i contribuenti della riduzione da 4 a 3 aliquote, ma di nessuno dei benefici dati dai vari governi ai lavoratori autonomi o ai lavoratori dipendenti.

Non hanno ovviamente la flat tax, non hanno avuto il bonus Renzi poi aumentato con il bonus Gualtieri, ora trasformati in trattamento integrativo, non hanno ovviamente goduto del taglio del cuneo contributivo e quindi oggi delle ulteriori detrazioni a favore del lavoro dipendente. Se hanno forme di tutela assicurativa sanitaria personale non hanno vantaggi i fiscali attribuiti al welfare contrattuale.

A parità di reddito, il pensionato, al netto dei contributi sociali, subisce un carico fiscale sensibilmente più alto di un lavoratore autonomo in flat tax e di un lavoratore dipendente. 

In concreto il reddito da pensione non appare a tutti gli ultimi governi meritevole di particolari tutele fiscali, ma un reddito da cui attingere, un reddito tuttavia fondamentale per garantire il finanziamento del nostro stato sociale, un reddito da oro alla Patria.

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