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Esodati, un termine che rischia di non aver termine

Sul destino che ha investito i cosiddetti lavoratori esodati si addensa ormai una nebulosa inestricabile per gli stessi addetti ai lavori.
Nell’ultimo anno e mezzo si sono succeduti ben quattro provvedimenti legislativi che, partendo dalla riforma pensionistica varata dal Governo Monti e contenuta nel cosiddetto “decreto legge Salva Italia”, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n° 214, hanno definito le platee dei lavoratori e delle lavoratrici salvaguardati dall’applicazione dei nuovi requisiti pensionistici.

L’idea iniziale rifletteva un metodo più volte utilizzato nel passato in occasione del varo di ogni riforma pensionistica. L’intento era quello di individuare deroghe ai nuovi requisiti, con l’obiettivo di salvaguardare le situazioni più sensibili sul piano sociale, meritevoli perciò di un’eccezione alle regole generali, riducendo al minimo l’area del disagio.

Eppure, nessuna delle tre riforme (legge 421/92, legge 335/95, legge 247/2007) che prima dell’attuale, negli ultimi venti anni, erano intervenute a modificare i requisiti per l’accesso alla pensione  avevano causato così tante difficoltà di gestione politica e sociale. 

Sicuramente, non ha aiutato  la difficile congiuntura del mercato del lavoro ma l’impressione è che la vera iniquità della riforma pensionistica “Monti – Fornero” sia rappresentata, soprattutto, dal non aver previsto la necessaria gradualità nella abrogazione delle “quote” per l’accesso alle pensioni di anzianità. 

Una tale rigidità –  se si fa eccezione per la legge 243/2004, poi “neutralizzata” negli effetti dalla legge 247/2007, con riguardo allo “scalone” che avrebbe, di colpo, innalzato di tre anni, a partire dal 1° gennaio 2008, l’età minima richiesta per l’accesso alla pensione di anzianità (dai 57 ai 60 anni) – non trova riscontro  in nessuna delle altre tre riforme a cui si è fatto cenno.

Già da subito le norme contenute nel decreto legge “Salva Italia” (convertito con modifiche nella  legge 214/2011), integrato dal “Milleproroghe” (convertito con modifiche nella legge 216/2011) sembrarono troppo restrittive,  sia per quanto concerne le “tipologie di lavoratori salvaguardabili”, sia con riferimento all’ulteriore condizionamento dei benefici al possesso dei requisiti individuati con il  successivo  decreto interministeriale del 1° giugno 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo il 24 luglio 2012, quasi 8 mesi dopo il varo della riforma pensionistica.

Con quest’ultimo provvedimento amministrativo sono stati, infatti, introdotti ulteriori criteri condizionali, al fine di limitare la platea dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti entro le 65.000 unità, ritenute “capienti” in base alle risorse stanziate, rimettendo al  Governo e al Parlamento la possibilità di successivi interventi volti ad ampliare la platea dei lavoratori interessati, tramite la contestuale individuazione di nuove coperture finanziarie.

Ai 65.000 beneficiari iniziali sono stati aggiunti, prima i 55.000 previsti dalla legge 95 del 6 luglio 2012, poi i 10.130 previsti dalla legge 228 del 24 dicembre 2012, infine i 6.500 individuati dal Decreto legge n° 102 del 31 agosto 2013. 

Questi  provvedimenti che hanno, di  fatto, ampliato le platee dei lavoratori beneficiari, secondo le tipologie “salvaguardabili” già previste dalla riforma, cosi come integrata dal  “Milleproroghe, hanno però replicato tutti il medesimo copione, demandando la definizione dei criteri e delle modalità di accesso ai benefici all’emanazione di ulteriori decreti interministeriali che sono stati  pubblicati, rispettivamente, sulla Gazzetta Ufficiale del 28 maggio 2013 e del 31 agosto 2013. 

La successione degli interventi legislativi adottati dal Governo, con le modalità previste dai rispettivi decreti interministeriali, è avvenuta senza alcun confronto di merito con le Organizzazioni sindacali, creando nel tempo  quattro distinte platee di lavoratori “salvaguardabili” senza, peraltro, risolvere complessivamente i problemi aperti, e contribuendo ad alimentare una situazione di incertezza e confusione fra i lavoratori coinvolti.  

  • 65.000 lavoratori salvaguardati in base al decreto del Ministero del lavoro del 1° giugno 2012, attuativo della riforma “Monti – Fornero” (decreto legge “Salva Italia” del 6 dicembre 2011 e successive modifiche introdotte con il decreto “Milleproroghe”);
  • 55.000 salvaguardati in base al decreto interministeriale dell’8 ottobre 2012, sulla base della  legge n° 95 del 6 luglio 2012 (che ha convertito il decreto legge sulla “spending review”)
  • 10.000 lavoratori salvaguardati dal decreto del ministero del lavoro adottato il 28 maggio 2013, sulla base della legge sulla manovra di stabilità a suo tempo varata per lo stesso anno (legge n° 228 del 24 dicembre 2012);,;
  • 6.500 lavoratori, salvaguardati con il decreto legge n° 102, del 31/08/2013.

 

A questa situazione, già di per sé angusta, si sono aggiunti i ritardi con cui l’ente previdenziale  ha provveduto a  comunicare l’accesso alle salvaguardie  ai lavoratori interessati, anche in considerazione – va detto – delle indicazioni non sempre puntuali e tempestive fornite dal Ministero.

Ma quanti sono effettivamente gli “esodati” che sulla base delle fattispecie già previste dalle leggi avrebbero diritto alla salvaguardia? E quanti, invece, sarebbero i lavoratori bisognosi comunque di tutela?

La stima appare assai complicata, specie in un Paese come il nostro dove si fa sempre una gran fatica a recuperare “dati sensibili” che, però, dovrebbero essere di dominio pubblico. In un rimpallo continuo di responsabilità fra Governo, Ministero del lavoro, Parlamento e Inps la nebulosa, anziché diradarsi, nel corso dei mesi si è ispessita, complicata anche dal drammatico andamento dell’occupazione che, di fatto, impedisce l’eventuale e parziale assorbimento di parte della platea potenzialmente interessata.

Qualcuno, come l’Onorevole Cazzola ha provato a fare chiarezza, rielaborando i dati forniti dal Direttore generale dell’INPS nel corso di un’audizione parlamentare. Ma anche queste stime si basano su criteri di individuazione arbitrari, che provano a “delimitare” il campo dei potenziali beneficiari attraverso criteri “più realistici” di quelli contenuti nei decreti interministeriali.

Alla fine tutti convengono che gli “esodati” in senso ampio (comprendendo cioè in tale definizione tutti i lavoratori in mobilità o coinvolti in situazioni di crisi aziendali, i lavoratori titolari di prestazioni a carico dei fondi di solidarietà, i dipendenti pubblici in esonero dal servizio, i sottoscrittori di accordi di incentivo all’esodo e gli autorizzati alla prosecuzione volontaria del versamento dopo una certa data) possano oscillare in un “range” compreso fra le 360.000 e le 450.000 unità. 

Una platea che non trova capienza nelle poco più di 136.630 unità finora individuate come salvaguardabili dai diversi provvedimenti adottati.

Del resto, i soli lavoratori autorizzati alla prosecuzione volontaria prima degli ultimi 5 anni che non hanno ancora avuto accesso al pensionamento, sarebbero stimabili all’incirca in 400.000 unità. Se criteri e limiti restrittivi vanno, dunque, fissati per non vanificare del tutto i risparmi conseguiti dalla riforma, essi devono tenere conto delle reali situazioni di bisogno e del fatto che la delimitazione dei requisiti per l’accesso ai benefici dovrebbe avvenire “certificando” già ora, a tutti i soggetti interessati, la possibilità di poter usufruire dei  requisiti previgenti nel momento in cui essi matureranno, senza limitazioni numeriche che possano determinare una situazione di incertezza rispetto all’effettivo momento di accesso al pensionamento. Tale possibilità è, attualmente, compromessa dai già richiamati “tetti numerici” di salvaguardia che, sulla base delle risorse tempo per tempo stanziate dai provvedimenti legislativi, limitano di fatto l’area dei beneficiari ad un “sottoinsieme” di quello che, effettivamente sarebbe necessario per coprire tutte le situazioni di disagio che si potranno verificare di qui ai prossimi anni.

Peraltro, la platea delle categorie salvaguardabili andrebbe ulteriormente migliorata, ampliandola a molti  lavoratori inoccupati o coinvolti in  accordi di  gestione delle eccedenze occupazionali, non rientranti nei requisiti attuali, ma che  a causa dell’innalzamento repentino dei requisiti pensionistici rischiano di rimanere nei prossimi anni senza reddito alcuno. 

Per sbrigliare tale matassa sono stati molti gli “esercizi” parlamentari effettuati nella scorsa legislatura e nel primo scampolo dell’attuale. L’impressione è che di fronte ad un problema “strutturale” occorra intervenire con strumenti straordinari, rimettendo ulteriormente mano, sia pure limitatamente alle situazioni di effettivo bisogno o più “sensibili sul piano sociale”, alle regole per l’accesso al pensionamento.

A tale scopo possono utilmente concorrere sia quegli interventi  che consentirebbero un ripristino della “flessibilità nell’accesso al pensionamento”, sia  quelle misure che, introducendo meccanismi di  “solidarietà intergenerazionale”, consentirebbero di realizzare nel mercato del lavoro condizioni in grado di assorbire, sia pure parzialmente, l’offerta di lavoro attualmente in eccesso.

Le soluzioni attualmente implementate, come ad esempio l’istituzione dell’apposito fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali da incrementare anche con le eventuali risorse rinvenienti dalle economie di carattere pluriennale accertate a consuntivo, rispetto agli oneri già previsti dai decreti interministeriali  nel periodo 2013 – 2020, possono sicuramente consentire di alleviare il disagio derivante dalle situazioni più critiche sul piano sociale ma non appaiono, complessivamente, in grado di mettere la parola fine ad una vicenda i cui effetti erano, francamente, prevedibili al momento dell’entrata in vigore della riforma, stante l’attuale situazione del mercato del lavoro. 

D’altronde, oltre ai “risparmi” rinvenienti dalle riforme  occorrerebbe anche valutare gli effetti economici delle decisioni adottate, anche attraverso modelli econometrici, in termini di impatto sul mercato del lavoro, di maggiori oneri derivanti dalla trasformazione dei “casi previdenziali” in casi assistenziali, della “retroazione” sul tasso di produttività complessivo, generato dalla mancata “sostituzione” dei lavoratori anziani con i lavoratori più giovani. 

L’onda d’urto demografica e l’evoluzione della composizione della struttura sociale della popolazione italiana sono fenomeni che genereranno, nei prossimi decenni, fabbisogni sociali crescenti (nel 2050 è “atteso” il raggiungimento di un tasso di dipendenza degli anziani – inteso come rapporto fra la componente della popolazione “over 65”  e quella “in età di lavoro”, compresa  fra i 20 e i 64 anni –  di poco inferiore al  70%). 

L’invecchiamento della popolazione mette in seria difficoltà il patto intergenerazionale interno al sistema pensionistico pubblico a ripartizione. Ma sono proprio questi argomenti che consigliano di chiudere quanto prima ed in ogni modo la vicenda “esodati” per concentrarsi sulle politiche necessarie a realizzare le condizioni utili per consentire una maggiore permanenza nel mercato del lavoro dei lavoratori anziani, evitando il trade – off  con il livello dell’occupazione giovanile.

Per il futuro, l’incrocio sul piano previdenziale delle opportunità  previste dalla normativa sulla previdenza complementare (anticipo fino a  5 anni delle prestazioni pensionistiche in caso di cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un  periodo  di  tempo  superiore   a   48   mesi), con quelle introdotte  dall’art. 3 (fondi di solidarietà) e dall’art. 4 (incentivi all’esodo per  l’uscita anticipata dalle aziende,con almeno 15 dipendenti) della legge 28 giugno 2012, n. 92 (riforma del mercato del lavoro) disegnano un mix di strumenti a disposizione delle Parti sociali per gestire, con maggiore efficacia,  le situazioni di crisi intervenute nell’ultima parte della vita lavorativa. 

(*)   Coordinatore Dipartimento Democrazia economica, economia sociale, fisco, previdenza e riforme istituzionali della Cisl nazionale

 

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