Sono giunte nel luogo e nel momento giusti le parole del Presidente Mattarella: “L’Europa non può essere una somma temporanea e mutevole di umori e di interessi nazionali”. Le ha pronunciate a Cracovia il 19 aprile 2023 dinanzi alle allieve e agli allievi della locale Università, rendendole ancora più penetranti con la citazione di Liliana Segre: “la memoria è l’unico vaccino contro l’indifferenza”.
Con chiarezza esemplare ha marcato la pericolosità dell’ossimoro democrazia illiberale, già praticato in Polonia e Ungheria, prendendo le distanze dai conati di sovranismo, versione edulcorata del male anticodel nazionalismo e del tutto incompatibile col progetto dell’Unione europea.
Prese di posizioni tanto lucide, espresse in un contesto mondiale inquieto come l’attuale, dovrebbero far da leva a un nuovo protagonismo collettivo che vada oltre il chiacchiericcio mediatico e si ponga come obiettivo la costruzione dal basso di una piattaforma da portare all’odg delle forze politiche che si misureranno nella tornata elettorale del 2024 per il rinnovo del Parlamento europeo e ne tracci il percorso nel successivo confronto/scontro con la Commissione e il Consiglio.
Lo strumento per questa svolta partecipativa è disponibile ed è l’ICE (Iniziativa popolare dei Cittadini Europei), istituto introdotto dal Trattato di Lisbona del 2009 (TUE, art. 11, par. 4, e TFUE, art. 24, co. 1, e Regolamento (UE) n. 211/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011). In base a questa normativa, i cittadini dell’Unione, in numero di un milione e con cittadinanza in almeno sette Stati membri, “possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati”.
È una forma di proposta di legge d’iniziativa popolare, che, per il numero di elettrici, elettori e Stati che coinvolge, potrebbe fare uscire le tematiche europee dai paludati rituali dei palazzi del potere e aprirebbe un confronto diretto tra Istituzioni e società civile.
L’ICE consentirebbe di far maturare una sensibilizzazione di massa sul tema epocale dell’integrazione europea, tanto più che nel già citato Reg. n. 211/2011, art. 6 è previsto il ricorso agli strumenti informatici,vale a dire i social, croce e delizia della comunicazione digitale, che, nella fattispecie, diverrebbero vettori di democrazia partecipativa a disposizione dei cittadini.
La quantità di tematiche da affrontare è debordante, ma conviene, nella prima esperienza pratica, focalizzare l’attenzione su due che sono di sicuro prioritarie: una, con natura squisitamente politica, l’altra, con natura socio-economica:
- La prima riguarderebbe la fissazione dell’assoluta intangibilità dei principî della democrazia liberale, che di sicuro sono la libertà di pensiero, associazione, genere, religione, razza e il principio della separazione dei poteri. Quali che siano le giustificazioni di volta in volta esibite, è un dato di fatto che molti dei governi dei Paesi del Centro Europa, già parte dell’area di influenza sovietica, manifestano senza remore e talvolta anche con atti palesemente costrittivi la propensione a violare quei principî, esponendosi soltanto a qualche blando richiamo.
- La seconda si dovrebbe concentrare sull’adozione dello “Statuto dei lavoratori europei” che, in considerazione dell’estrema mutevolezza dell’organizzazione del lavoro:a) fissi i criteri della flexsecurity, integrando fasi di lavoro, di apprendimento e di sostegno sociale secondo regole uniformi, b) affidi alla contrattazione sindacale ildisegno delle scale retributive, riducendone significativamente i gradini, c) definisca per i lavori ad alta discontinuità nei servizi e in agricoltura un salario non inferiore al montante più basso della scala retributiva negoziata, accompagnandolo con l’accesso favorito nei percorsi formativi finalizzati alla crescita delle competenze, d) garantisca la formazione approfondita, ricorrente e retribuita in materia di sicurezza sul lavoro, e) vieti ogni uso improprio dei controlli digitali, f) garantisca forme di cogestione sulle scelte organizzative, tecnologiche e finanziarie di maggior rilievo, influenti sulle condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori, compreso il mantenimento dei posti di lavoro.
Nel 1989, il 18 giugno, nella medesima data per il rinnovo del Parlamento, si sperimentò in Italia il primo e unico referendum di indirizzo, che affidò ai neoeletti, con l’88,03% dei sì su una platea mai più registrata da allora di 80,86% degli aventi diritto al voto, il mandato costituente dell’Europa unita.
Quell’appuntamento fu un lascito dell’eredità morale di Altiero Spinelli; considerato che ci lasciò nel 1986, si potrebbe pensare che sia stato poco più che un omaggio alla memoria. Sarebbe, però, ingeneroso non riconoscere che, nella terza e quarta legislatura del Parlamento Europeo, si realizzò l’archiviazione della CEE e si costruì il passaggio all’Unione Europea, che è ancora lontana dal traguardo federalista, ma è di sicuro sulla linea dell’avvicinamento.
Ora tocca ai cittadini europei di appropriarsi di un progetto immaginato da pochi, sostenuto da molti all’indomani di lutti e miserie, posto oggi in stallo da gruppi dirigenti regrediti nella tutela del destino personale e nel particolarismo di quello nazionale.
Il Movimento Federalista Europeo, con la sua rete di presenza in tutti i Paesi europei, avrebbe tutti i titoli per divenire il soggetto promotore del primo utilizzo dell’Iniziativa popolare dei Cittadini Europei; la prima di un serie da mettere in campo con scadenza almeno annuale.