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Falcinelli: Il motore elettrico andrà avanti, ma senza fretta

Quando tutto sembrava ormai deciso, l’Europa ha fermato la corsa dell’auto elettrica, rinviando la scadenza del 2035 a data da destinarsi. Una decisione a sorpresa dovuta, pare, ai dubbi espressi da diversi paesi, nonché al no netto dell’Italia. Un no che tuttavia i sindacati, italiani ed europei, avevano detto per primi e dall’inizio, cioè fin da quando era stato annunciato il piano europeo per la decarbonizzazione. Rispetto a questo argomento, sul diario del lavoro si è diverse volte espresso, in questi due anni, Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil, spiegandoci le ragioni per cui la data limite del 2035 per il motore endotermico sarebbe risultata una tagliola tale da distruggere l’industria italiana.  Oggi, dunque, siamo tornati a chiedergli se sia contento di questa “vittoria”.

Allora, Falcinelli, i sindacati hanno piegato lUe?

Magari avessimo questo potere! Ma certo è che il tempo ci sta dando ragione: secondo noi la transizione va affrontata ragionando, senza distruggere l’industria. E ora che la nebbia ideologica si sta diradando, emergono con chiarezza i dubbi sui tempi di questo processo. Poi, nei giorni scorsi, l’attuale governo italiano, che ha una posizione diversa dal precedente, ha portato in Europa la sua decisione contraria, assieme ai dubbi di altri paesi. E da lì si è deciso di rinviare.

Non la stupisce questo stop inatteso? Secondo lei perché è avvenuto?

Forse perché in Europa hanno iniziato a rendersi conto del disastro che sarebbe derivato dalla conferma di quella data. Sulla opportunità o meno di mettere fine al motore endotermico dal 2035, d’altra parte, la discussione era iniziata da tempo. Non ho elementi per letture dietrologiche, mi limito a valutare che da tempo molti paesi erano arrivati alla presa d’atto che occorreva maggiore gradualità. E che occorrono anche maggiori risorse: da tempo si parla di un Fondo unico europeo per la transizione, per favorire gli investimenti e supportare le aziende, ma fin qui si sono viste solo briciole. Specie se confrontate con le cifre stellari messe a disposizione dagli Usa per lo stesso fine.

Tuttavia questo brusco arresto si può definire una vittoria un po’ anche vostra, cioè dei sindacati che hanno sempre manifestato contrarietà. Vi hanno alla fine dato ascolto?

Semplicemente si sta avverando quello che noi, come anche i sindacati di tutta Europa, avevamo preventivato. E cioè che l’Ue non può continuare a indicare obiettivi per la decarbonizzazione senza un progetto di politica industriale, lasciando che ogni paese si arrangi come può.

Comunque siete contenti del risultato?

Non è questione di essere contenti, ma certo non la pensiamo nemmeno come chi sostiene che questo rinvio abbia distrutto il futuro dell’auto elettrica. È appunto un rinvio, che consentirà di gestire più correttamente la transizione. Bisogna convincersi che non esistono scorciatoie miracolose: fermo restando l’obiettivo, per raggiungerlo occorre quella gradualità che nel piano europeo mancava. Questo, oltretutto, sarà utile anche per accelerare la ricerca sulle batterie, trovando il modo di produrne di più efficienti rispetto a oggi.

Ma da qui al 2035 cerano comunque 12 anni di tempo, non le sembrano sufficienti?

Dal punto di vista dell’industria dodici anni sono niente. Davvero si può credere che l’industria italiana possa riconvertirsi in 12 anni? Chi oggi sta avanti su queste tecnologie ha iniziato a ragionare sull’auto elettrica almeno 15 anni fa. La stessa Stellantis ha studiato la fusione con Peugeot proprio in virtù del fatto che i francesi erano molto più avanti di noi sull’auto elettrica.

E noi siamo così indietro?

Sicuramente siamo indietro da diversi punti di vista.  In primo luogo, a differenza della Francia, non saremmo in grado di produrre il fabbisogno richiesto da una mobilità tutta elettrica. Siamo indietro sulla realizzazione delle infrastrutture necessarie, a partire dalle colonnine di ricarica. E siamo indietro, checchè se ne dica, anche sulla produzione di energia da rinnovabili. Secondo gli ultimi dati di Terna, a gennaio è derivato da queste fonti appena il 28,2% del fabbisogno nazionale, con un calo in tutti i comparti: meno 13 per cento nel fotovoltaico, meno 10 per cento nell’eolico, meno 11 per cento nell’idrico, meno 14 per cento nel geotermico. Questi sono i dati della realtà, con cui occorre fare i conti.

Ma in sostanza: siete contrari o favorevoli al motore elettrico?

Noi non siamo mai stati contrari al motore elettrico, ma al percorso stabilito: che non teneva conto, per esempio, delle conseguenze occupazionali e sociali, a partire dai 350 mila posti di lavoro che sarebbero saltati in Europa, o del futuro del motore endotermico, o, anche, delle differenze tra i vari paesi rispetto alla produzione di energia e alla realizzazione delle infrastrutture necessarie. Ripeto: fissare un divieto di produzione dell’endotermico dal 2035, come ha fatto l’Ue, senza preoccuparsi di quale politica industriale sia necessaria per raggiungere l’obiettivo è sbagliato. Inoltre, noi pensiamo che sia sbagliato anche concentrarsi solo sull’elettrico, escludendo, per esempio, la possibilità di motori endotermici alimentati con biocarburanti. Considerare la possibilità di un mix energetico, che lasci aperte diverse strade, sarebbe una soluzione assai più equilibrataÈ bene ribadirlo, la transizione non può realizzarsi sulle spalle dei lavoratori che ne pagherebbero il prezzo più pesante, ma deve essere “giusta” sia sul versante industriale che su quello sociale.

*Da Diario Del Lavoro, 10/03/2023 

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