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Francia e Italia, le pensioni vittime del Patto di stabilità

Settembre, andiamo, è tempo di varare. Ora in terra d’Europa, i nostri capi di governo si trovano alle prese con le leggi di bilancio, o di stabilità che dir si voglia. Le quali leggi, come è noto, si trovano strettamente costrette all’interno delle regole del Fiscal Compact. 

L’Italia ha annunciato un deficit del 3% quest’anno, del 2,9% nel 2015 e un pareggio di bilancio nel 2017, dimostrando un onorevole rispetto degli impegni presi, seppur vagamente condito da livori che – promette il Governo – saranno estinti con pazienti negoziazioni. Atteggiamento non seguito dalla poco diplomatica Francia che respinge unilateralmente l’austerità e dice di voler adattare il cammino di riduzione del deficit alla situazione economica del Paese. Per raggiungere gli obiettivi finanziari previsti dai Trattati, il Governo d’oltralpe si è arrogato del tempo ulteriore rispetto a quello concesso l’anno scorso dalle istituzioni comunitarie. A fine ottobre sono attese le valutazioni di Bruxelles.

Nel trambusto politico, tra austerity e flessibilità, a farne le spese sono i cittadini e in particolare, naturalmente, le fasce più deboli. Consideriamo il tema pensioni. 

Le pensioni sono strette da vincoli di bilancio da una parte e difese strenuamente in nome della solidarietà sociale dall’altra. La spesa per le pensioni è la voce più consistente dei bilanci nazionali: per molti Paesi, tra cui proprio Italia e Francia, si pone la scelta di onorare i patti presi con la Banca Centrale Europea ovvero onorare i patti presi con i propri cittadini, tutti, dai già pensionati, ai prossimi alla pensione, a coloro che sono ancora nel mondo del lavoro fino ai più giovani. A livello comunitario si fanno oggi sempre più pressanti gli inviti a ridiscutere l’ineluttabilità di questa alternativa, intervenendo sui numeri, sulle soglie, sulle voci, oppure immaginando nuove strategie complessive.

La crisi finanziaria ed economica ha avuto un’incidenza molto forte sui sistemi pensionistici sia a ripartizione che a capitalizzazione. Sono stati proprio i regimi a ripartizione ad aver costituito un importante elemento di stabilità di fronte alla crisi, perché hanno consentito di preservare i redditi dei pensionati. Di contro, la questione si è spostata sulla capacità degli Stati di gestire la crescita dell’indebitamento, aggravata da una ripresa non sufficientemente dinamica. L’aumento del bisogno di finanziamento, in cui si tiene conto dell’impatto demografico legato all’invecchiamento della popolazione, ha inevitabilmente condotto all’adozione di nuove misure.

La Francia, che da sempre adotta un sistema pensionistico a ripartizione e a prestazioni definite e dove le pensioni vengono rivalutate sulla base dei prezzi di mercato, aveva finora sperimentato un relativamente basso impatto della crisi sui redditi. Tuttavia, ad aprile il primo ministro Valls ha presentato un piano di 50 miliardi di risparmi fino al 2017, di cui 21 pescati dal settore della protezione sociale. Così, pur di trovare risorse per tagliare il debito pubblico, è stato previsto un gelo di un anno per tutte le prestazioni sociali, comprese le pensioni. Una misura senza precedenti nella Repubblica: la rivalorizzazione all’inflazione era normalmente adottata ogni anno. Se Sarkozy nel 2010 non aveva toccato la rivalorizzazione delle pensioni, l’ultima riforma (gennaio 2014) aveva disposto un decalage di sei mesi (da aprile ad ottobre). Adesso, prevedendo diciotto mesi di blocco della rivalorizzazione delle pensioni – la prossima solamente in ottobre 2015 – si risparmierebbero circa 1,3 miliardi. Ad essere coinvolte sarebbero quindici milioni di persone, indistintamente nel pubblico e nel privato, con la sola esclusione dei percepenti l’Aspa (Allocation de solidarité aux personnes âgées, ex “minimum vieillesse”).

Come ci si poteva ben aspettare, sin da subito si sono levati i cori di chi chiedeva di rivedere le misure e risparmiare le pensioni più basse. Inizialmente lo stesso governo confessava di non conoscere il livello complessivo delle singole pensioni, composte da pensione base e pensione complementare e soprattutto da più prestazioni derivanti dall’adesione a differenti regimi. In un secondo momento, sotto le pressioni dei deputati della maggioranza, la loi rectificative de financement de la Sécurité sociale pour 2014 dell’8 agosto aveva individuato una soglia di 1200 euro netti al mese, al di sotto della quale le pensioni avrebbero ottenuto una rivalutazione al 1 ottobre 2014, come da calendario.

Dopo un periodo di relativa calma, il 12 settembre il ministero degli Affari sociali ha comunicato che non si darà luogo all’indicizzazioni delle pensioni più modeste a causa della debole inflazione prevista per il 2014. Per far fronte alla nuova ondata di proteste, il governo ha poi parzialmente ceduto e il 16 settembre il Primo Ministro ha annunciato all’Assemblée Nationale che i pensionati considerati percepiranno un «emolumento eccezionale» il cui montante, forfettario, consisterebbe in 40 euro. La misura coinvolgerebbe circa 6 milioni di persone. Assieme all’innalzamento di 8 euro al mese dell’Aspa (che fino ad ora ammontava a 792 euro), lo Stato dovrà erogare circa 250 milioni di euro. Quanto all’implementazione della misura, ancora è ignoto l’organismo a cui sarà assegnato l’esborso, tra la direction générale des finances publiques e le caisses de retraites; e sebbene Valls non abbia precisato quando i pensionati riceveranno l’emolumento, fonti ufficiose fanno riferimento al periodo iniziale del prossimo anno.

In generale, nel progetto di legge di bilancio non si registrano significativi interventi sul settore pensionistico, fatta eccezione per la rivalorizzazione delle pensioni; questo perché la necessità riformatrice si è esaurita con l’ultima riforma del gennaio 2014. Gli aggiustamenti hanno piuttosto riguardato altri settori sociali (assicurazione medica, bonus alle famiglie ecc.).

Disponendo il bonus di 40 euro, a detta del Primo Ministro francese, la preoccupazione è quella di preservare il potere d’acquisto – e la dignità – delle fasce più deboli. Non può non palesarsi un parallelo con la situazione italiana. Cosa sta facendo il Governo per preservare il potere d’acquisto – e la dignità – dei pensionati? Quanto e come i vincoli finanziari comunitari influenzano l’azione riformatrice sulle pensioni?

Quanto alla seconda domanda, una risposta richiederebbe non poche righe. Ci limitiamo a ricordare come anche il FMI abbia recentemente invitato l’Italia a ridurre drasticamente la spesa per le pensioni, e che è facile che sia questo monito a guidare qualsiasi ulteriore intervento nel settore, a scapito di altre preoccupazioni, quali la solidarietà, una progettazione a lungo termine che garantisca redditi adeguati, o la conservazione del potere d’acquisto. Ci ricolleghiamo così alla prima domanda, potendo ora fornire una breve risposta, che anche se non esaustiva, è emblematica: il bonus degli 80 euro non vede tra i beneficiari la categoria dei pensionati.

P.s.:

Proprio in questi giorni in Belgio la coalizione di destra che guida il nuovo governo con a capo Charles Michel si è formata attorno a un programma che elimina l’indicizzazione automatica delle pensioni e aumenta l’età pensionabile a 67 anni entro il 2030.

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