La comunità internazionale guarda con grande preoccupazione alla crisi tra Russia e Ucraina. Quali scenari si possono prevedere? Ne parliamo con la politologa Mara Morini, docente di Politics of Eastern Europe all’Università di Genova
Professoressa, tra Usa e Russia la tensione cresce. La presenza di oltre 100 mila soldati russi (c’è chi dice 170 mila) al confine con l’Ucraina e la decisione degli Usa di ritirare le famiglie dei diplomatici da Kiev, e quella di mobilitare 8500 soldati da inviare nell’Europa dell’est non fanno presagire nulla di buono. Tuttavia, il ministro della difesa dell’Ucraina ha affermato che “ad oggi non c’è nessuna minaccia di invasione russa”. Però la storia ci insegna che basta pochissimo per far scoppiare il “casus belli”. Putin bluffa? Insomma, che scenari si possono intravedere?
Le dichiarazioni del ministro della difesa ucraino e del presidente Zelensky sono sostanzialmente simili a quelle che ha rilasciato il portavoce del presidente russo, DmitrjPeskov. I primi hanno cercato di tranquillizzare la popolazione, affermando che i venti di guerra sono solamente “voci” dei partner occidentali. I russi hanno ribadito il fatto che si tratta di “azioni isteriche” dei leader occidentali che non influiscono sulle trattative in corso. Non dimentichiamoci, infatti, che il Cremlino è tuttora in attesa delle risposte scritte della presidenza americana riguardo il negoziato che è scaturito dai vertici della settimana scorsa. A tal proposito, l’amministrazione presidenziale americana ha chiesto che le risposte non vengano rese pubbliche. Questo ci induce a pensare che ci siano ancora dei margini di manovra per trovare un accordo di base che prolungherà anche i tempi del negoziato.
La maggior parte degli esperti di politica russa è concorde nel ritenere che non vi sarà un’invasione e, quindi, Putin stia bluffando, puntando in alto, per ottenere un altro obiettivo: essere un protagonista alla pari, insieme agli Stati Uniti, della ridefinizione dell’ordine internazionale e delle trattative sul nuovo assetto di sicurezza europeo. Tuttavia, non si può escludere l’aspetto irrazionale della situazione che si è venuta a creare e, pertanto, è verosimile che un qualsiasi incidente, indotto o meno, possa determinare il casus belli. Si tratterebbe di un conflitto di cui è difficile prevedere la fine, ma, a mio avviso, credo che tutte le parti in gioco siano consapevoli dei costi di una simile operazione e facciano il possibile per evitare questo scenario.
Cerchiamo di capire il perché dell’escalation al confine con l’Ucraina. Che “necessità” (le mettiamo tra molte virgolette) ha Mosca di schierare un numero così enorme di truppe (con annesse armi altamente distruttive)?
Si tratta, semplicemente, di una dimostrazione di forza. Dopo la fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica, il Cremlino aveva perso il ruolo di superpotenza a causa anche dell’obsolescenza degli armamenti e delle difficoltà economiche di modernizzare l’esercito militare. La nascita della federazione russa, avvenuta con l’approvazione del referendum del 12 dicembre 1993, coincide con un periodo di caos politico, sociale ed economico. Mai come allora, il paese era stato così profondamente umiliato dagli avversari storici. Uno dei compiti della presidenza putiniana è stato proprio quello di far rinascere un sentimento di orgoglio patriottico, di dignità ritrovata, grazie al nuovo ruolo internazionale che la Russia di Putin è riuscita ad ottenere in questi decenni (si pensi al Medio Oriente). È anche la chiave di lettura principale del consenso di Putin che mira a dimostrare al popolo russo e al mondo che la Russia è ritornata nello scenario internazionale con un ruolo da protagonista, con un nuovo apparato militare, altamente modernizzato e tecnologico. Sotto questo punto di vista l’escalation rappresenta più un’azione propagandistica e mediatica rispetto alla reale volontà di invadere l’Ucraina. I missili di cui è in dotazione il ministero della difesa sarebbero sufficienti per attaccare l’Ucraina senza dover necessariamente schierare un così alto numero di uomini al confine. A tal riguardo è bene precisare che già 90.000 soldati erano presenti al confine sin dallo scorso marzo 2021, ma solamente in queste settimane i media hanno puntato l’attenzione al numero crescente di soldati. Tra questi, come ci spiegano gli esperti di studi strategici e militari, si trovano anche soldati specializzati nella logistica, nella attrezzatura sanitaria e alimentare, ecc.
Guardiamo all’ Ucraina. Come si è comportato il governo di Volodymyr Zelensky nei confronti dei russi? È una “colpa” guardare all’occidente? Quanto pesa il riarmo dell’Ucraina in questa escalation?
La serie televisiva “Servo del popolo” ha consentito, con una magistrale operazione di marketing, di trasportare dalla realtà virtuale a quella politica il ruolo di presidente dell’Ucraina che Zelensky recitava in prima serata nella televisione statale.
Quando il giovane comico Zelensky si è candidato alle presidenziali, c’erano molte aspettative e speranze sulla sua volontà e capacità di cambiare il paese, affrontando uno degli argomenti principali della sua campagna elettorale: la lotta alla corruzione.
Si riteneva anche che potesse diventare un buon interlocutore con il suo omologo russo, Vladimir Putin, per le sue origini ebraiche e per l’utilizzo della lingua russa nei dibattiti politici. Gran parte del suo sostegno/bacino elettorale si trovava, infatti, nelle zone meridionale del paese e tra i russofoni. Avrebbe, quindi, potuto costituire un’opportunità per unire un paese altamente polarizzato sin dalla sua indipendenza del 1991.
Come, però, capita spesso ai leader populisti, arrivato al potere Zelensky ha dovuto fare i conti con l’élite conservatrice e ha, progressivamente, cambiato linea politica. I suoi detrattori sostengono che sia stato decisamente influenzato dal ruolo degli oligarchi e delle fazioni più radicali ed estremiste, ma è anche vero che ha dimostrato di essere un personaggio volubile che cambia spesso idea da un giorno all’altro, inficiando il suo livello di credibilità non solo a livello nazionale, ma anche a livello internazionale. Dal 73% di consenso di voti ottenuti alle presidenziali, i sondaggi stimano l’indice di fiducia nei suoi confronti al 15-20%: un dato che mette in dubbio la sua rielezione nel 2024.
Aver guardato all’occidente non ha costituito una colpa, ma sinora Zelensky ha puntato ad ottenere numerosi sovvenzioni e prestiti economici per affrontare la grave situazione economica del paese, ben peggiore rispetto a quella della Moldova nell’ultimo anno.
Infine, l’Ucraina, grazie ai sostegni economici degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, può contare su un elevato numero di soldati. Resta il fatto che il paese ha più di 45 milioni di abitanti e un territorio molto vasto; eventuali ambizioni di “prendere” le città più importanti provocherebbero, comunque, molti morti anche tra la popolazione.
Guardiamo agli Usa e alla Nato. Cosa non sta funzionando nella strategia americana?
La questione è che cosa non ha funzionato in passato. Le leadership russe rinfacciano agli americani il fatto di aver sfruttato il crollo dell’Unione Sovietica come una vittoria di un blocco rispetto ad un altro, senza tener conto della necessità di ridefinire un nuovo assetto internazionale. Gorbaciov aveva insistito nella creazione di un’Eurasia ovvero un continente che si estendesse da Vladivostok a Lisbona nella quale la Russia avrebbe avuto un atteggiamento inclusivo e propositivo per la pace nel mondo. Si tratta, tuttavia, di parole che non hanno trovato alcun riscontro scritto; ancora oggi Putin rinfaccia a Gorbaciov di non aver stilato un documento congiunto con l’amministrazione americana. Putin ha ormai rinunciato da tempo al fatto che la Russia possa essere riconosciuta come un attore globale, rilevante sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione Europea. Quest’ultima è ritenuta dal Cremlino come una succursale americana incapace di avere una politica indipendente. Se così non fosse per Putin, l’Ue avrebbe potuto giocare il ruolo di una forza equilibratrice tra i due blocchi contrapposti. Queste sono anche alcune delle principali motivazioni che hanno indotto la presidenza putiniana ad orientarsi verso oriente e non vi sono presupposti che lasciano intendere un suo ripensamento.
Le varie presidenze americane, compresa quella di Joe Biden, hanno una certa continuità in politica estera rispetto a come rapportarsi nei confronti della Russia di Putin e sinora non sono stati ottenuti risultati significativi, eccetto il riavvio di un dialogo tra i due presidenti. Alla luce di quanto è successo sinora, è auspicabile che gli Stati Uniti che si devono concentrare nella zona del Pacifico per cercare di ridurre l’egemonia cinese, rivalutino la loro politica nei confronti della Russia e congelino quella che è la situazione in Europa orientale, continuando ad aiutare i paesi nel loro processo di democratizzazione, ma senza creare presupposti per eventuali conflitti in attesa di tempi migliori. Pur garantendo alla NATO di tenere “le porte aperte” verso i paesi che vogliono accedere, non vi sono, comunque, elementi nel breve e medio periodo che possano favorire un’adesione della Georgia e dell’Ucraina. Gli Usa e La NATO lo sanno perfettamente. E non solo loro.
Può l’Ucraina entrare nella NATO? Su questo ci sono dubbi secondo lei?
Dal 2014 sia l’Unione Europea sia gli Stati Uniti hanno fornito centinaia di milioni di dollari e di euro nella speranza che Zelesnky riuscisse a diminuire il livello di corruzione, modernizzare il paese e garantire lo stato di diritto. Tra l’altro, si tratta di requisiti necessari per l’adesione all’Unione Europea e per concretizzare la procedura con la NATO. Tuttavia, è bene precisare che allo stato attuale l’Ucraina non ha raggiunto questi requisiti e tutti gli attori coinvolti ne sono ben consapevoli. È la posizione geopolitica del paese che viene strumentalizzata ed è diventata una questione internazionale e non meramente rivolta alla democratizzazione del paese.
L’Europa si pone, pare, in maniera più prudente. Potrebbe essere più determinata? Sappiamo che ci sarà un colloquio Putin – Macron.
L’Europa è più prudente perché è al suo interno è divisa sulle modalità di intervento nei confronti della situazione che si è venuta creare. La Germania in primis, ma anche la Francia, sono alquanto reticenti nell’applicare sanzioni molto severe nei confronti dell’entourage di Putin. Alla base c’è la questione del gasdotto Nord Stream2 la cui attivazione è incerta a causa di procedure amministrative e burocratiche tra la Germania e l’Unione Europea. Putin ne è consapevole ed è anche una delle motivazioni per cui ha avviato questa escalation nei confronti dell’Ucraina. Non tanto per minacciare un eventuale chiusura dei rubinetti, ma per sbloccare la situazione del gasdotto russo-tedesco. La mancanza di una coesa politica estera, di sicurezza e di difesa europea certamente impedisce all’Unione Europea di porsi come un attore globale rilevante nella risoluzione di conflitti di livello internazionale. Alcuni paesi, tra cui la Germania e l’Italia, hanno consolidate tradizioni di rapporti culturali, commerciali ed economici con la Russia e, pertanto, sebbene condividano la necessità di stemperare la situazione, hanno oggettivi limiti nell’individuare il tipo di sanzioni che non producano pesanti ritorsioni nel loro apparato produttivo ed economico nazionale.
Macron sta seguendo le orme di Angela Merkel e già da qualche anno, a partire dal sostegno al “Formato Normandia” (Russia, Germania, Francia e Ucraina), ritiene, con un certo pragmatismo e realismo politico, di dover, comunque, dialogare con la Russia. È un buon segnale.
Quali potrebbero essere le conseguenze per l’Europa di un eventuale conflitto?
Sicuramente sarebbero devastanti perché si tratta di un conflitto nel territorio europeo che investe questioni di natura economica ed energetica. Si allargherebbe in tutta l’Europa orientale con gravi perdite nelle popolazioni e negli eserciti coinvolti e con una durata incerta. Metterebbe a dura prova la sopravvivenza dell’UE, già segnata da problemi strutturali e dalle nefaste conseguenze economiche e sociali, causate dalla pandemia.
In caso di conflitto anche per la Russia le conseguenze sarebbero pesanti. Sul piano economico e sul piano interno. Vede il potere di Putin irremovibile?
Leggendo i sondaggi dell’istituto indipendente di ricerca, Levada Center, i russi non sembrano particolarmente convinti che ci sarà in un conflitto con l’Ucraina e gradirebbero un maggiore dialogo con “i fratelli ucraini”. La propaganda mediatica statale diffonde informazioni relative all’ingerenza esterna e la presenza di truppe NATO nell’Ucraina per sottolineare la necessità di difendere i propri confini territoriali e, al contempo, aiutare l’Ucraina a liberarsi dal “nemico occidentale”. Da un punto di vista economico, sebbene si parli da qualche anno di una stagnazione economica presente nel paese, Putin ha attuato una serie di provvedimenti di politica economica di concerto con la presidente della banca centrale russa che ha consentito di creare due fondi di riserva nazionale: un tesoretto da utilizzare in caso di emergenze particolari, come, ad esempio, è successo per la pandemia.
Nella pubblicistica occidentale si è soliti descrivere il presidente Putin come il “nonno bunker”, insicuro, ormai prigioniero del suo sistema di potere, ma non escludo che abbia calcolato molto bene tutte le conseguenze che possono emergere da questa escalation. Il suo “matrimonio di convenienza” con la Cina lo pone in una situazione favorevole sia dal punto di vista economico sia da quello politico da sfruttare nella prossima campagna elettorale delle presidenziali del 2024. Al momento ci sono tutte le condizioni politiche per ritenere che Putin si candiderà, rimandando l’individuazione di un suo successore verso il 2030.
Certo è che, soprattutto, dal gennaio 2020 ovvero dal suo annuncio di una riforma costituzionale le varie fazioni che compongono il sistema di potere del Cremlino sono in lotta permanente per cercare, da un lato, di difendere e mantenere la presidenza putiniana e, dall’altro, di sostenere una candidatura alternativa. Sotto questo aspetto il conflitto con l’Ucraina e, soprattutto, una sua eventuale risoluzione pacifica rafforzerebbe l’immagine del presidente come unico leader nel paese capace di risolvere complesse situazioni domestiche ed internazionali, rendendolo sempre più indispensabile.