Professor Prodi, oggi una marea di giovani ha invaso le strade di molte città del mondo per manifestare contro l’inerzia dei governi rispetto al cambiamento climatico. Lei che opinione si è fatto di questa protesta?
Saluto con piacere il fatto che le generazioni si rendano conto della gravità del problema. Ma da qui a pensare che possano avere una opinione scientificamente fondata della situazione ce ne passa. Andrebbe chiarito nell’ambiente scolastico che le parole ambiente, clima e meteorologia vanno ben individuate nel loro ambito. La mia convinzione è che la conoscenza scientifica del sistema clima è ancora molto incompleta, e non è in condizione di consentirci di fare quelle previsioni che oggi ci vengono proposte come tali ma che in realtà sono solo degli scenari. Quando diciamo che alla fine del secolo la temperatura globale del pianeta a due metri dal suolo sarà aumentata tra 1,5 e 7 o 8 gradi vuol dire che non sappiamo cosa succederà. Ci sono diversi modelli, sempre più affinati ma sempre incompleti, e che ci danno risposte diverse.
Quindi le nostre conoscenze non ci permettono di fare quelle previsioni che oggi diamo per assodate.
Non sono negazionista né catastrofista, perché uno scienziato non deve essere classificato con i parametri del tifo sportivo. C’è una necessità di accelerare la conoscenza scientifica su altri ambiti che non siano quelli dell’Ipcc (gruppo di esperti che parla all’Onu e ai Governi) e delle sue modalità.
Quindi che fare?
Curiamo l’ambiente. Il deterioramento ambientale, quello sì è quantificabile, attraverso i metalli pesanti negli oceani, la qualità dell’aria, il brown cloud dell’Asia ad esempio. Serve una ripartenza degli accordi internazionali per limitare l’inquinamento, tenere sotto controllo i combustibili fossili. Bisogna ripensare collettivamente i modi di produzione, per salvaguardare la qualità dell’ambiente.
Anche per questo sono scesi in piazza gli studenti.
Ai ragazzi direi che è giusta e condividiamo l’urgenza perché c’è un modo di fare dei politici a breve scadenza, un approccio che guarda solo alle prossime elezioni.
Però…
Però serve anche un invito a capire veramente qual è la natura del problema. E siccome parliamo di studenti, dalla scuola e poi dall’università e dalla ricerca deve iniziare la comprensione della sfida autentica di questo secolo: una conoscenza del clima che ci consenta una previsione e soprattutto una quantificazione dell’effetto antropico, che c’è senz’altro ma deve anche essere inquadrato nell’evoluzione naturale del clima. Il clima non può non cambiare, perché è determinato da una stella, il Sole, una lampada non costante con la sua variabilità: e da un pianeta, la Terra, che ha una distanza che varia, ed è circondato da un involucro molto complicato.
Tra i punti del manifesto dei ragazzi c’è lo sforzo a contenere l’aumento medio della temperatura entro 1,5 gradi.
La frase “contenere l’aumento della temperatura” implica che l’umanità lo possa fare. Immagini tra 50 anni: se l’aumento della temperatura sarà contenuto entro un grado e mezzo allora si dirà che le nostre azioni avranno avuto effetto. Ma questa frase non sarebbe corretta. Perché oggi non possiamo quantificare l’effetto delle nostre azioni. Abbiamo di fronte scenari tra i più vari, proposti da modelli numerici complicatissimi che richiedono il lavoro di centinaia di ricercatori nelle diverse equipe tra Giappone, Stati Uniti, Regno Unito e via dicendo.
Su cosa concentrarsi quindi?
Noi abbiamo un deterioramento ambientale di cui conosciamo le cause, e lo possiamo quantificare. E gli accordi mondiali su questo si possono fare. Quanto al clima, ci sono convinzioni diffuse e accettate da tutti, senza una analisi ben dettagliata. Bisognerebbe fare più attenzione a questa parte della ricerca che non è quella dialogante con le Nazione Unite. C’è troppa gente che parla senza sapere le equazioni di trasferimento radiattivo in atmosfera. Ci sono aspetti di fisica molto complessi: capisco il principio di precauzione ma non è un principio scientifico. La nostra situazione è che siamo in una corriera in corsa con i finestrini offuscati. Ma attribuire sicuramente il riscaldamento globale alle emissioni della sola Co2 è scientificamente quantomeno avventato.
(*) intervistato da Claudio Paudice su Huffingtonpost.it 15/03/2019