All’incirca nell’anno 260 a. C. la città di Orcomeno appartenente alla Federazione della Beozia (ΚοινόνΒεοτιωv) inaugurò una stele onoraria a un certo Glaucone, ponendola a fianco del tempio di Giove Eleuterio nella piana di Platea. In quella pianura nell’anno 479 a. C. si era svolta la battaglia che aveva segnato la definitiva sconfitta dell’esercito persiano, ricacciandolo oltre il Bosforo: l’invasione della Grecia era fallita. Questa vittoria assicurò la libertà della Grecia peninsulare e probabilmente anche quella dei greci di occidente.
Intorno alla vittoria si formò l’identità dei greci; essere greco non voleva dire solo parlare greco o vestire alla moda dei greci, ma credere nella libertà, nella cultura, nella vita civile, nell’organizzazione sociale, e, non ultima, nella democrazia; e ciò pur in presenza di frequenti litigi e guerre fra le città.
Si pensò che dovesse essere tramandata alle future generazioni la memoria di quella vittoria che aveva assicurato la libertà e dato ai greci una comune identità ed appartenenza: per conservare la memoria,nella pianura della battaglia fu eretto un tempio a Giove Eleuterio e furono realizzate strutture perché potessero svolgersi gli agoni atletici all’uopo istituiti: era il modo tutto greco di onorare eternamente i caduti, ai quali già, sul campo di battaglia, era stato dedicato un funerale collettivo ed innanzata una stele che ne riportava i nomi e la cittadinanza. Non solo: la presenza fisica delle opere, le ricorrenti cerimonie religiose e le periodiche competizioni degli atleti avrebbero perennemente ricordato il significato di quella vittoria per i greci tutti.
Trascorse un secolo e mezzo. Nel 338 le città greche coalizzate a difesa della libertà contro la potenza macedone furono sconfitte a Cheronea da Filippo II. L’identità greca fondata sulla libertà entrò in crisi; si formarono qua e là nelle città partiti filo-macedoni che erano pronti a scambiare spazi di libertà in cambio della sicurezza militare e della concordia. Ma c’era chi non accettava alcuna limitazione della libertà (che i greci intendevano in modo molto più estensivo rispetto a noi) e non accettava la supremazia della Macedonia, non potendo sopportare la ferita che all’orgoglio greco causava il fatto obbiettivo di avere, in casa propria, una potenza egemone.
Più volte i greci provarono a riacquistare la libertà con le armi: una prima volta – nel 322 – appena si diffuse la notizia che Alessandro pretendeva la προσκìνεσις, l’inchino col ginocchio a toccare il pavimento e il baciamano e richiedeva onori divini con cerimonie che i greci riservavano solo agli Dei. Si sollevò Atene, che sul finire del IV secolo – 317/307- venne “commissariata”, e poi ancora, nei primi decenni del III secolo, contro i macedoni si coalizzarono, in apposite συμμαχìαι, alleanze militari, città e Stati federali.
In verità, i Re macedoni non imponevano alle città greche regimi costituzionali troppo diversi da quelli che esse tradizionalmente avevano, limitavano la partecipazione popolare alla politica attiva e alle magistrature a coloro che avessero un certo patrimonio (2000 o 1000 dracme, pari a 200.000 o 100.000 euro), non vietavano le associazioni politiche, sociali e culturali delle città; ginnasi e scuole filosofiche erano liberi; non restringevano la libertà di commercio, né proibivano di vivere alla moda dei greci.
La preoccupazione degli antimacedoni derivava dalla sensazione di perdita della libertà che essi avvertivano, quella libertà – piena, assoluta, come loro la intendevano – che era nel dna dei greci. Ed era una costante delle classi colte ed agiate l’impegno di mantenere viva la memoria della vittoria di Platea sui Persiani avvenuta nel lontano 479, perché lì era nata la Grecia libera, lì era nato il loro mondo fondato sull’idea della libertà.
Purtroppo con gli anni, il tempio di Giove Eleuterio invecchiò ed in parte rovinò, rovinarono anche lo stadio e gli impianti per gli agoni atletici, peraltro divenuti costosissimi; il tempo dappertutto lasciava, impietoso, i segni del suo passaggio: sulle cose, sulle persone e sulla memoria. Rischiava di apparire accettabile la soggezione alla Macedonia, complici una diversa idea di libertà e il fallimento delle rivolte armate.
Le città greche non erano più il centro politico del mondo: si erano costituiti ad est e a sud grandi Stati territoriali che divennero i nuovi protagonisti della politica internazionale; da ovest si affacciava minacciosa Roma che aveva respinto Pirro e conteneva le aspirazioni del macedone Filippo V.
Parlare ai greci dell’antica libertà, oramai perduta e della libertà da riconquistare era sempre più difficile.
In questo quadro sconfortante si pone la vicenda di Glaucone.
Era ateniese,colto, figlio del mondo a suo agio dappertutto, con ampi rapporti internazionali: era consigliere del re Tolemeo II; era prosseno di tutti i Rodii che capitavano ad Atene (una sorte di console onorario); era uomo di larghi mezzi finanziari ed era angosciato perché la memoria dell’antica libertà conquistata a Platea nel 479 stava per essere definitivamente perduta nella insignificanza della Grecia. Pensò di dover fare qualcosa per salvarla, qualcosa di visibile, di tangibile, che portasse i greci ad interrogarsi, smuovesse le coscienze, e, recuperando la memoria dei fatti del 479 e del sacrificio di migliaia di soldati, li portasse ad apprezzare i valori che quegli avvenimenti avevano diffuso fra i greci.
fondo, pensava Glaucone, ed era vero, la Grecia era stata un grande faro di civiltà per il mondo intero; essa aveva negli avvenimenti del 479 e nel sacrificio dei soldati, uno dei suoi momenti genetici. Era un patrimonio di valori su cui era stata costruita una civiltà, non una semplice società; questo patrimonio non poteva andare perduto, così pensava Glaucone.Chi più, fra i greci, sapeva che la libertà e la democrazia erano nate a Platea? che da quel momento i greci presero a rifiutare le dittature ed ebbero in odio le monarchie troppo autocratiche? Chi più, dei greci, sapeva che le libertà che quotidianamente esercitava erano un patrimonio che trovava in Platea la sua origine e che occorreva tenersi stretti quella memoria e quei valori ?
Glaucone guardava i giovani e la sua angoscia cresceva. E allora si mosse. All’incirca nel 260 a. C., Glaucone finanziò la completa ristrutturazione del tempio di Giove Eleuterio restituendolo al passato splendore; ricostruì gli impianti sportivi e riattivò i giochi. Creò, per l’amministrazione, una fondazione; assegnandole un adeguato patrimonio, allo scopo di far svolgere, lì, nella piana di Platea, cerimonie religiose ed agoni atletici, di modo che la frequentazione al tempio dei fedeli, la partecipazione ai giochi degli atleti e del pubblico, provenienti da tutte le città, riportasse alla memoria di tutti gli avvenimenti del passato e cosa aveva significato quella lotta contro il re persiano e quali furono i frutti della assicurata libertà.
L’atto di Glaucone gli fece meritare il ringraziamento di tutte le città greche riunite per l’occasione in un Sinedrio comune: gli fu eretta una stele a duratura memoria, posta a lato del tempio; e gli furono assegnati molti onori e privilegi, fra cui quello di sedere sempre inprima fila in tutti gli spettacoli culturali e sportivi.
Negli stessi anni , al 260 a. C. Atene, con pochi alleati, si ribellò ancora una volta alla Macedonia; scoppiò la guerra chiamata Cremonidea dal nome di colui che l’aveva propiziata. Malgrado l’aiuto dell’Egitto, la guerra fu persa e le città ribelli sentirono la durezza della mano del re macedone.
Non si sa se l’iniziativa politica di Glaucone precedette o seguì la guerra cremonidea; ossia se Glaucone era riuscito a risvegliare l’orgoglio dei greci e li aveva indotti a lanciare una ennesima sfida alla Macedonia per riconquistare la libertà; ovvero se il suo energetismo era seguito alla sconfitta militare e fu dettato dal desiderio di mantenere viva, proprio a causa della sconfitta, la memoria dei valori fondativi della civiltà greca. Le fonti non indicano date precise.
Cosa ci insegna la storia di Glaucone, ateniese fiero di tenere viva la civiltà greca?
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Nei giorni scorsi si è tenuta l’annuale giornata della memoria che ricorda le leggi razziali, l’olocausto degli ebrei, la vittoria sull’oscurantismo nazifascismo, il primato dei valori sui quali è fondata la civiltà occidentale nella quale noi operiamo e viviamo. La giornata della memoria viene celebrata con discorsi delle più alte cariche dello Stato, con dichiarazioni dei rappresentanti ufficiali associazioni e di coloro che furono perseguitati ed uccisi, con la posa di corone e bandiere nei luoghi delle persecuzioni. Tutte le cerimonie sono trasmesse dai mezzi di comunicazione e riportate sui giornali del giorno dopo.
Sono celebrazioni che si svolgono all’interno di istituzioni e luoghi pubblici, con un rituale ripetitivo, sempre uguale, che ha perso capacità di mordere le coscienze dei cittadini. Gli adulti ascoltano con distrazione il resoconto dei telegiornali, ansiosi però di conoscere le notizie del giorno, i provvedimenti economici, le nuove tasse, gli esiti dell’ultimo disastro naturale, i risultati sportivi. A sera, dopo l’ultimo telegiornale, si archivia la giornata della memoria fino all’anno prossimo.
Ai giovani,che non leggono i giornali e non ascoltano radio e televisione, della giornata della memoria e di cosa essa voglia ricordare, non giunge nulla o ben poco: un rapido ricordo in classe di quegli insegnanti che hanno conservato coscienza politica. Per i giovani, la giornata della memoria dell’olocausto non è altro che una delle centinaia di giornate in cui ogni anno si commemora qualcuno, si festeggia qualcosa o si lanciano ammonimenti: stragi, vittime politiche, donne, mamme, papà, droga, fumo, mafia, milite ignoto, incidenti stradali, femminicidi, lotta alle malattie, ogni giorno dell’anno è dedicato ad una commemorazione, ad una festa, ad un ammonimento o ad una sollecitazione. Queste giornate sono tutte uguali, quale che sia l’oggetto; si svolgono con il medesimo rituale; discorsi, interviste, corone, bandiere e qualche foto su telegiornali. Non graffiano le coscienze, scorrono tutte, indifferentemente,sulla pelle delle persone senza lasciare un segno. Non sono i discorsi delle autorità, scritti da un ghost writer, letti – ad uso e consumo dei mezzi di comunicazione – col tono diplomatico e la voce asettica – che possono indurre a riflettere sulla vicenda cui la giornata è dedicata.
La stampa riporta sconfortata i risultati di indagini fra i giovani; pochi sanno cosa vuole commemorare il giorno della memoria; ancor meno hanno la percezione della mostruosità dell’accaduto, della bestialità in cui era caduto l’uomo; pochissimi sono coscienti che quella voglia di prevaricazione, quella capacità di violenza è sempre pronta a ripresentarsi (anzi: è già di nuovo presente) per cui bisogna vigilare costantemente. Ai giovani il messaggio dei discorsi delle autorità non giunge; non giunge il racconto crudo dei fatti; non giunge l’allarme che proprio in questi ultimi anni viene dato sempre più alto.
L’olocausto è un fatto del passato, finito, archiviato. La giornata della memoria è del tutto inutile. Come ha scritto con disarmante candore uno studente napoletano in un tema in classe. “so’ mmuort abbrusciat”. Beh?! Chiuso.
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Per svegliare le coscienze, soprattutto dei giovani e preservare la memoria dell’olocausto per il futuro, occorre riformulare il format, visto che l’attuale cerimoniale è stantìo ed improduttivo di effetti; occorre pensare a qualcosa di nuovo. Devono entrare in campo persone nuove, che conoscono il mondo dei giovani, che con quel mondo interagiscono (e fanno affari) per proporre le stesse strategie di comunicazione e persuasione che impegnano per vendere prodotti.
Mi si obbietterà che la memoria non è un prodotto, non è un’app. é una cosa alta, nobile, non deve essere svilita come un prodotto commerciale. Si, certo, giusto anzi verissimo, ma …. funziona l’attuale modo di preservare la memoria? di coinvolgere emotivamente i giovani ed indurli a sapere e riflettere? Se il mondo della comunicazione è cambiato da alcuni decenni, e sta cambiando in fretta giorno dopo giorno, anche la comunicazione della memoria dell’olocausto deve cambiare.