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Gli aumenti salariali sono la ricetta giusta contro l’inflazione?

Dell’inflazione sappiamo molto, quasi tutto. Che se è blanda, fa bene allo sviluppo. Se si impenna, crea una spirale che brucia ricchezza e insidia la coesione sociale. Che se è contenuta nel tempo, può essere controllata dalla politica monetaria. Se persiste, si può trasformare in stagflation, le difficoltà crescono e occorrono scelte di politica economica e sociale, spesso drastiche. E infine, è noto che essa si nutre di effetti annunci; non aspetta gli eventi, è abile ad anticiparli.

L’inflazione “cattiva” non fa danni uguali per tutti. C’è finanche chi se la gode. A pagarne le spese sono sopratutto i lavoratori dipendenti, i disoccupati, i poveri. Quelli che non possono scaricare su altri l’innalzamento dei prezzi. Gli altri, ma non tutti, soltanto in un secondo tempo, ne possono risentire. Quindi l’interesse a non far diluire nel tempo le tensioni inflazionistiche si allarga sul tessuto sociale che teme che diventino sempre più nocive.

Meglio non attendere quel momento. Le esperienze che sono alle nostre spalle, specie quelle sul finire del secolo scorso, non vanno sprecate. Attendere che l’inflazione si sfiammi è come attendere di vincere la lotteria Italia nel giorno dell’Epifania. Ci si deve attrezzare in tempo utile, intervenendo con più strumenti di condizionamento delle spinte sui prezzi. Semmai evitando di andare in ordine sparso. Chiamando tutti i protagonisti economici, sociali e di governo a tutti i livelli, a concertare le azioni più efficaci sia per non strozzare la fase di crescita in atto, sia per tutelare le fasce sociali più fragili.

Innanzitutto, bisogna dare stabilità all’unità dell’Europa, incrociare le dita e pigiare l’acceleratore del dialogo per scongiurare l’invasione dell’Ucraina. Non sarebbe una guerra locale. Vengono i brividi a pensare cosa potrebbe produrre il mancato accordo tra le parti in causa, in fatto di morti, di distruzioni, di sconvolgimenti economici che riguarderebbero innanzitutto l’Europa e anche il nostro Paese. Altro che pandemia. Questa diventerebbe immediatamente un pallido ricordo di dolori personali e restrizioni collettive.

Al netto, dunque, delle vicende internazionali, in primo piano ci sono le misure emergenziali derivanti dalla repentina crescita dei prezzi delle materie prime e rare oltre che dei prodotti energetici. Sostegni e ristori vanno erogati mirandoli ai reali bisogni, erogati in modo selettivo, senza incentivare rilanci dei prezzi. Se, per esempio, si fa capire che i costi dell’inflazione saranno a carico dello Stato negli appalti pubblici, si indurrà immediatamente, prima ancora che si delibererà una misura di questo genere da parte del Governo, la tentazione di quelli che operano in quel campo di “mettersi al riparo” con qualche ritocco anticipato. Nello stesso tempo, avviare una campagna di controlli sugli andamenti dei principali prodotti che formano il paniere ISTAT nel calcolo dell’inflazione, sanzionando esemplarmente (tassando gli utili del doppio di quanto previsto attualmente) chi ha tentato speculazioni, specie se in posizione di monopolio o semi monopolio sul mercato interno. 

Ma quello che conta di più sarà la capacità di adottare rapide misure per il potenziamento dell’autonomia energetica del Paese. In linea con le recenti scelte europee (riguardanti gas e nucleare) è necessario che il Paese produca più fonti energetiche pulite, superando le difficoltà a costruire impianti senza i quali si limita l’attuazione di questo tipo di strategia. Nello stesso tempo, va autorizzata l’estrazione di gas naturale dai giacimenti esistenti soprattutto nel mare Adriatico, in cambio di una approvazione nell’immediato di un prezzo calmierato e va fatto di tutto per aprire il Nord Stream 2 per un supplemento di fornitura del gas russo.

In secondo luogo, bisogna accelerare l’attuazione del PNRR. C’è il rischio che il clima inflattivo faccia il gioco di chi non vuole affrontare seriamente il cambiamento indotto dalla sostenibilità ambientale e digitale. Due settori, quello chimico e quello dell’automotive, avevano registrato un’iniziativa congiunta tra le parti sociali verso il Governo per gestire correttamente la transizione verso lo sviluppo ecocompatibile. 

Se si facessero prevalere esigenze congiunturali, il rallentamento delle soluzioni sarebbe deleterio. E a catena, la politica dei rinvii trionferà. Con conseguenze disastrose anche per l’attuazione delle riforme che corredano l’acquisizione dei fondi europei. Mai dimenticare che quest’ultimi saranno resi disponibili soltanto a fronte di modifiche strutturali di alcune colonne portanti della nostra società (fiscalità, giustizia, salute, amministrazione pubblica) 

Infine la questione della risposta dei salari alla crescita dei prezzi. Una rincorsa dei primi sui secondi è senza speranza. La partita è persa in partenza e per di più acuirebbe le sperequazioni tra gli stessi lavoratori. Questo non vuol dire che i rinnovi contrattuali non devono essere realizzati. Anzi, vanno semmai anticipati, ma con un indirizzo omogeneo che può venire soltanto da una concertazione di politica di tutti i redditi. 

Non siamo nel 1984, quando si riuscì a raffreddare l’inflazione a due cifre, frenando la dinamica della scala mobile. Né nel 1992/93 quando si definì un nuovo sistema contrattuale che inaugurò le politiche d’anticipo dei fenomeni inflattivi. Né nel 2018, quando si sancì che le dinamiche dei prezzi dei combustibili importati non dovessero essere contabilizzate (considerare, come fa qualche dirigente sindacale, carta straccia quell’accordo non vuol dire assolutamente niente).  

Ora siamo in un momento di grandi cambiamenti, dove le certezze vanno costruite con il concorso di tutti, abbandonando logiche verticistiche e rinunciando a prove  muscolari. Non è una questione di technicality negoziale; ciò che occorre è la volontà di trovare modalità di orientamento delle politiche salariali, contestualmente ad altri interventi di politica economica, tali da non generare ulteriore inflazione.

La partecipazione, in definitiva, favorisce l’ampliamento delle opportunità per sbrogliare matasse aggrovigliate per cui nessuno deve considerarsi autosufficiente, neanche il Governo, specie in un momento dove il sostegno dei partiti e del parlamentarismo è fragile e ambiguo. Chiamare le parti sociali a concordare linee strategiche di lotta all’inflazione è la migliore dimostrazione dell’autorevolezza governativa e della corrispondenza con le aspettative della maggioranza degli italiani.    

 

 

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