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Occorre accendere le luci della pista delle P.A.

Il problema fondamentale delle nostre pubbliche amministrazioni non è tanto il costo, ma la mancanza di un sistema di misurazione delle performance, che sia uno strumento di governance moderno, trasparente, partecipato e, dunque funzionale. 

Avere indicatori affidabili dei risultati dell’azione è una condizione indispensabile per un buon esito della spending review, in termini di successo, tempi di implementazione, bassa conflittualità. Perché la revisione della spesa arrivi a colpire gli sprechi e a rafforzare la qualità della spesa pubblica, c’è necessità di un sistema messo in opera e funzionante di valutazioni delle prestazioni rese da ciascuna amministrazione pubblica; un sistema indipendente dal soggetto controllato, non fine a sé stesso, ma che dia ai cittadini informazioni chiare e confrontabili sulla qualità dei servizi e che sia funzionale alla definizione delle politiche e delle gestioni.

 

Gli indicatori macro a livello internazionale mostrano che la macchina delle amministrazione pubbliche italiane non è troppo costosa, ovvero non assorbe una quantità esagerata di risorse rispetto agli altri paesi partners. 

Lo dimostrano una serie di parametri, che in questa sede vengono analizzati e commentati. La quota di spesa pubblica sul PIL al netto degli interessi era in Italia nel 2013 al 45,5% del PIL, ovvero circa un punto e mezzo sotto il livello medio dell’area euro. 

La spesa pubblica per abitante, calcolata a parità di potere d’acquisto, cioè tenuto conto del tasso di cambio e del diverso livello dei prezzi, era secondo l’OCSE nel 2011, inferiore del 30 – 40% rispetto ai paesi scandinavi, oltre che del 15 – 25 % rispetto a Germania e Francia. D’altra parte né la quota dei salari corrisposti nelle pubbliche amministrazioni sul PIL, né l’incidenza degli occupati pubblici sul totale degli attivi divergono. 

La situazione è più complessa riguardo alla comparazione di retribuzioni e costi del lavoro pro capite per figure tipiche. Emerge un rilevante maggior onere in Italia per i livelli più elevati della dirigenza; le interpretazioni possibili sono due: o il datore di lavoro pubblica amministrazione ha puntato a migliorare i livelli stipendiali degli alti dirigenti con l’idea che questo avrebbe attratto migliori professionalità e, quindi, spinto l’efficacia e l’efficienza nella pubblica amministrazione; con risultati non all’altezza. Oppure vi è stata una strisciante autodeterminazione delle remunerazioni da parte dell’alta dirigenza (cui si è aggiunta, peraltro, una larga attribuzione di plurincarichi), scarsamente o per nulla contenuta da parte del datore di lavoro PA. 

Secondo gli stessi dati, invece, il personale operativo e di segreteria ha retribuzioni del tutto allineate a quelle medie OCSE ed un costo un po’ più elevato in ragione del minore orario e della maggiore incidenza degli oneri sociali rispetto ad altri paesi. Molto penalizzati, invece, appaiono i professionals, cioè le professionalità più elevate, i funzionari che non hanno fatto il salto nella dirigenza; queste figure hanno le retribuzioni comparativamente più basse a livello internazionale. Viene da pensare che la ricerca di migliori risultati sia stata fatta puntando a premiare il manager pubblico piuttosto che la squadra; nell’un caso come nell’altro senza collegare quote di retribuzione a risultati effettivamente conseguiti.

Dire che la macchina pubblica non è nel suo insieme troppo dispendiosa non è un argomento che smentisce la necessità di una seria e duratura strategia di spending review. La dimensione non troppo ampia della spesa non è, infatti, indicativa di efficacia e di produttività della stessa. I risultati della spesa appaiono molto spesso sotto gli standard internazionali. Ed in effetti c’è una larga insoddisfazione dei cittadini / utenti rispetto ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione, in via diretta o indiretta. Vengono qui presentati alcuni esempi in diverse aree di intervento. Soprattutto emerge una fortissima variabilità a livello territoriale a danno delle regioni meridionali.  

La necessità di una robusta revisione della spesa è rafforzata dall’osservazione di un’analisi della Banca d’Italia che ad una qualità dei servizi molto differenziata sul territorio corrisponde una quantità di risorse spese a livello locale relativamente uniforme. Dunque vi è  necessità di una strategia che contenga la spesa a parità di risultato e migliori i risultati a parità di spesa.

Ma questo presuppone la necessità di spingere concretamente sulla strada della verifica delle performance della pubblica amministrazione a livello centrale e, soprattutto, a livello decentrato. Purtroppo l’Italia segna un ritardo metodologico grave rispetto agli altri paesi. Ma, così facendo, la politica e l’amministrazione rinunciano ad accendere le luci segnaletiche, che dovrebbero guidare il percorso. Al contrario, gli indicatori delle performance devono diventare il pannello di controllo della pubblica amministrazione a tutti i livelli. 

La lettura del sistema degli indicatori dovrebbe dare a chi ha responsabilità politiche, ai cittadini ed alla società un check up continuo su quale è la situazione effettiva della macchina e dare quindi modo di confrontarsi su quali siano le priorità ed i passi da compiere. La fissazione di obiettivi, il monitoraggio dei risultati in corso d’opera, la presa d’atto dei consuntivi devono diventare l’ordinario modo di operare non solo a livello strategico ma anche negli uffici decentrati. La scelta delle variabili, che indicano l’andamento dei fenomeni da controllare, e la rilevazione dei dati più opportuni sono, quindi, tra gli aspetti da curare con maggiore attenzione e da integrare in base alle specifiche esigenze degli obiettivi di carattere strategico.

Ed in questo quadro, è la stessa contrattazione che può essere uno strumento / opportunità. La negoziazione decentrata ha sempre sofferto in questi anni della mancanza di un quadro chiaro di quali siano i risultati dell’azione amministrativa, andando, quindi, molto spesso a degradare in somme erogate a pioggia ed in modo indifferenziato ovvero in cervellotiche ipotesi a priori su quale dovesse essere la distribuzione dei premi. I sistemi di valutazione della performance devono essere ampiamente usati per determinare le retribuzioni e gli avanzamenti di carriera con retribuzioni di risultato nella forma di incrementi della paga base collegati alla performance.  

 

2. LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE ITALIANA: UNA MACCHINA NON TROPPO COSTOSA

 

2.1 Spesa pubblica al netto degli interessi sul PIL

Negli ultimi anni la caduta del Prodotto interno lordo ha portato nella stragrande maggioranza dei paesi dell’Unione ad un peggioramento del rapporto tra la spesa pubblica al netto degli interessi ed il PIL. In Italia la spesa, detratto il costo del debito, era pari al 39,6% nel 2000, circa 3 punti sotto il valore registrato nella media dell’Area Euro. Già nel 2008 la bassa crescita del PIL dei primi anni duemila aveva portato il valore a lievitare al 43,5%, avvicinandosi molto alla media dell’Unione. La crisi economica finanziaria che ha colpito allora le economie europee ha largamente deteriorato le condizioni della finanza pubblica; la media dell’Unione, nonostante gli interventi di contenimento della spesa nel frattempo effettuati, ha visto una spesa pubblica al netto degli interessi toccare il 47%. La Germania, in un periodo così travagliato, è stata (con il 42,5% a fine periodo) tra i pochi paesi in grado di mantenere un’incidenza più o meno invariata. Al contrario la crescita della spesa pubblica sul PIL dal 2008 ad oggi è stata più ampia per alcuni paesi scandinavi, come Finlandia e Danimarca, che si trovavano già ai primi posti per incidenza; lo stesso si può dire per il Belgio, l’Olanda, per la stessa Francia ( dove la spesa al netto aveva nel 2013 un’incidenza del 54,8% del PIL, quasi dieci punti in più dell’Italia). Se si esclude la Grecia, che ha subito un vero e proprio tracollo del PIL, i paesi che hanno attraversato le maggiori turbolenze finanziarie hanno avuto un aumento dell’incidenza, ma relativamente contenuto per le politiche di austerity ed inferiore a quello della media dell’area della moneta unica. E’ il caso del Portogallo, della Spagna, soprattutto dell’Irlanda, che è riuscita ad invertire la tendenza. La stessa Italia, nonostante l’incidenza della crisi, si colloca ancora, con il 45,5% del PIL, in una posizione mediana tra i paesi. 

 

La situazione, come è noto, è molto diversa per il pagamento degli interessi. In questo caso l’Italia aveva nel 2000 ed ha ancora un primato negativo, pure registrando una riduzione dal 6,3% al 5,1%. 

 

2.2 Spesa pubblica per abitante

Anche nel caso della spesa pubblica per abitante, depurata dalla variazione dei prezzi e dei tassi di cambio, i valori italiani paiono contenuti. Le stime dell’OCSE al riguardo raffrontano i valori espressi in parità di potere d’acquisto in Dollari al 2001 e al 2011. Concentrandosi sull’ultimo anno si vede che il livello della spesa pro capite era in Italia inferiore tra il 30 ed il 40% rispetto a quanto registrato nei paesi Scandinavi, in Belgio, in Olanda, intorno al 25% con la Francia e del 16% con la Germania. Il dato ancora più significativo è che nel decennio, da noi la variazione è nulla; la spesa pro capite, dunque, non è aumentata in termini reali rispetto ad una crescita del 2,2% nella media OCSE. Gli incrementi percentuali nei diversi paesi sono molto dispersi (tra l’1 ed il 4%), ma comunque positivi. 

 

 

  

2.3 Quota del reddito da lavoro dipendente nella PA sul PIL

Ma quanta parte del Prodotto interno lordo è destinata alla remunerazione dei dipendenti pubblici? La tabella 3 e il grafico 1 mostrano l’incidenza dei salari pubblici sul PIL. Per quanto sia difficile comparare i diversi paesi con criteri uniformi, da essi si vede che la quota per l’Italia (10,5% nel 2013) era molto vicina alla media dell’Europa a 27, così come dell’area Euro. Anzi, mentre nel 2008, anno ancora poco toccato dalla crisi, l’incidenza in Italia era più elevata di qualche decimo, cinque anni dopo era appena al di sotto. I livelli nel 2013 erano decisamente più elevati nei paesi scandinavi con la Danimarca al 18,2%, la Finlandia e la Svezia intorno al 14%. Quote più alte dell’Italia presentavano la Francia ed il Belgio e poi la Grecia, la Spagna, l’Irlanda ed il Portogallo. Incidenze minori, invece, avevano i Paesi Bassi (9,5%), la Polonia (9,3%) e la Germania (7,6%); nel caso olandese e tedesco, però, una parte rilevante dei servizi pubblici è finanziata dalle stesse amministrazioni, ma erogata dal settore privato, senza remunerazione di dipendenti pubblici. 

In termini dinamici un dato molto interessante è che dal 2008 al 2013 l’incidenza dei salari pubblici sul PIL aumenta nei paesi meno colpiti dalla crisi e dove essa era già alta. Invece, nelle economie investite dalle turbolenze finanziarie, nonostante la forte riduzione del PIL, la quota è stata per lo più stazionaria, come in Grecia, o in calo, come in Portogallo ed Irlanda; i tagli di spesa, dunque, hanno sopravanzato o almeno pareggiato gli effetti recessivi.

 

Figura 1

 

 

 

2.4 Occupazione nella Pubblica Amministrazione sul totale della forza lavoro

L’OCSE consente, con le cautele sopra già indicate, di comparare le quote dell’occupazione pubblica sul totale della forza di lavoro.  Nella media dell’area questa è rimasta relativamente invariata tra il 2001 e il 2011, attestandosi a un livello appena inferiore al 16% del totale della forza lavoro. Dai dati risulta che l’Italia non presenta un’incidenza particolarmente elevata dell’occupazione pubblica. Inoltre, se nel 2001 da noi il pubblico impiego assorbiva il 15,4 per cento degli attivi, la percentuale si è abbassata al 13,7% nel 2011; si tratta di un valore inferiore a quello dell’area, mentre all’inizio del periodo i valori erano appaiati. Sotto la media si trovano Germania, Spagna, Olanda e la stessa Grecia. Fra i paesi a incidenza maggiore del pubblico impiego si ricorda la Francia, che arrivava nel 2011 ad una quota del 22 per cento, e soprattutto i paesi nordici; fra questi Svezia e Danimarca realizzavano una punta massima, con una quota dei dipendenti pubblici tra il 25 ed il 30 per cento del totale della forza lavoro.

 

 

 

2.5 La retribuzione ed il reddito da lavoro pro capite

Il recente Government at a glance dell’OCSE consente con qualche cautela di stimare le differenze di costo del lavoro per alcune figure tipiche delle Amministrazioni centrali pubbliche sulla base della situazione nel 2011. La valutazione in parità di potere d’acquisto (PPA) migliora la confrontabilità internazionale, in quanto viene depurata l’influenza dei differenti livelli dei prezzi nei vari paesi. La comparazione viene fatta per alcune figure tipiche (non tutte vengono considerate) in situazioni, si potrebbe dire, ordinarie; non si tratta, dunque, di dati medi, ma piuttosto di casi tipo; il contributo più interessante dell’analisi dell’OCSE è quello di cercare di rappresentare situazioni abbastanza omogenee nei diversi paesi. Si parte dai dati della retribuzione lorda per i dipendenti a tempo pieno. A questi si aggiungono gli oneri sociali a carico del datore di lavoro; il costo del lavoro è, quindi, corretto dall’OCSE per tener conto del diverso numero di ore lavorate e di ferie/festività nei diversi paesi; si allineano, quindi, le diverse situazioni ad un orario comune teorico. 

 

 

  

Nella sua pubblicazione l’OCSE ha posto sotto i riflettori i dati del costo del lavoro corretto (tabella 5), mentre qui vengono presentati anche i dati della sola retribuzione lorda (tabella 4). Le tavole mostrano che per il personale operativo e di segreteria, dove si colloca la maggioranza dei dipendenti, il costo complessivo era valutato dall’OCSE in Italia pari a 40.500 euro a parità di potere d’acquisto a fronte dei 36.000 euro per l’insieme dell’area ( tabella 5); la differenza è da ricondurre al minore numero di ore lavorabili in Italia rispetto agli altri paesi (all’incirca per il 10%) e anche alla maggiore incidenza degli oneri sociali. In termini di stipendi effettivi la remunerazione in Italia è allineata alla media OCSE; la tabella 4 mostra che la retribuzione lorda annua era pari a 23.800 €, da noi come nell’insieme dell’area; gli stipendi erano più alti in Germania (circa 30 mila €), nei Paesi Bassi (39 mila €), nella stessa Spagna (26 mila €), mentre le differenze non sono grandi rispetto alla Francia (24,7 mila €). Le retribuzioni annue del personale di professionalità base sono, invece, decisamente ridotte in Svezia (22 mila €) e, soprattutto in Gran Bretagna (meno di 21 mila €).

 

 

Per altre figure la situazione è più complessa. I funzionari italiani della pubblica amministrazione, personale per lo più laureato o comunque con una professionalità medio – alta, ha un costo annuo corretto pari a circa 50 mila €, molto meno rispetto ai 64 mila € della media Ocse. La differenza è ancora più evidente, ovviamente, in termini di retribuzione lorda; questa è da noi pari a 29 mila € contro le 42 mila dell’area OCSE. Il confronto fra paesi, poi, mostra che il dato italiano è il più basso (Germania 51 mila €, Francia 40 mila €, Gran Bretagna 35 mila), se si esclude il solo Portogallo (con 27 mila €). A riprova l’OCSE stima che i nostri funzionari ricevono all’incirca poco più dei 2/3 di quanto ricevono in media i laureati in Italia. La situazione è più favorevole per le figure assimilabili ai nostri dirigenti di seconda fascia, il cui costo viene stimato in 92 mila € l’anno, al di sopra della media Ocse di 82 mila. In termini retributivi la differenza si riduce con un valore annuo da noi di 60 mila € a fronte dei 56 mila dell’insieme dell’area; la remunerazione per questa fascia è più elevata in Belgio e Olanda ( con oltre 80 mila €) e non troppo distanti in Francia e Gran Bretagna. La comparazione dell’OCSE pone, però, in evidenza soprattutto la situazione di maggior favore dell’alta dirigenza pubblica, corrispondente ai segretari generali di un nostro Ministero. Il costo complessivo corretto è valutato in Italia pari 467 mila € l’anno, al netto di eventuali altri incarichi, e quasi tre volte la media dei paesi Ocse che è pari a 166 mila €. Si tratta di un rapporto uno a tre, che appare veramente fori misura. La retribuzione lorda è di 300 mila euro, veramente molto distante da quella di tutti gli altri paesi.

 

 

3. LA QUALITA’ E LA SODDISFAZIONE DEI SERVIZI DELLA PA LASCIANO MOLTO A DESIDERARE

 

I costi della Pubblica amministrazione, dunque, non appaiono troppo disallineati rispetto agli altri paesi partner. Il problema è che i risultati, pur con notevoli e benemerite eccezioni, spesso non sono soddisfacenti. Essi tendono a stare generalmente sotto la media a livello internazionale ed hanno una notevole differenziazione territoriale a danno delle regioni meridionali. Le non molte risorse dedicate sono in taluni casi distorte e/o sprecate. E’ un problema che attiene, dunque, all’efficienza ed alla produttività della spesa. Indichiamo qui solo alcuni esempi.

 

3.1 Durata dei processi civili

La durata dei processi in Italia è la maggiore in assoluto rispetto a tutti i paesi OCSE. In Italia i procedimenti civili in prima istanza hanno una durata media di oltre 550 giorni rispetto ad una media dell’area di 220 giorni e in Germania di meno di 200. Occorre evidenziare che in questo caso le performances delle regioni del Nord Italia sono molto spesso sensibilmente peggiori di quelle rilevate in altri paesi.

 

 

 

3.2 Trattamento dei rifiuti

Il Rapporto CNEL – ISTAT sul Benessere Equo e sostenibile in Italia (BES) 2014 evidenzia, sulla base degli ultimi dati disponibili confrontabili a livello europeo, che il nostro paese ha una produzione di rifiuti superiore alla media (501 kg per abitante contro i 487 della media europea), ma soprattutto è elevata la quota conferita in discarica. A livello regionale le differenze al riguardo sono, come è noto, elevatissime. Si va, secondo la stessa fonte con i dati del 2012, dal 7% del Friuli Venezia Giulia a percentuali intorno al 65% per Liguria e Lazio e valori oltre l’80% per Calabria e Sicilia. La percentuale nel tempo è migliorata in Campania. I valori di Puglia e Molise comprendono anche rifiuti provenienti da questa regione.  

 

 

 

3.3 Mortalità infantile

Alle volte i problemi relativi alla qualità e all’efficienza del servizio, non si presentano tanto a livello aggregato nazionale quanto in alcune aree del paese. In effetti nel 2011 la mortalità infantile era nella media dell’area OCSE pari al 4 % con i migliori indicatori registrati nei paesi scandinavi, con tassi poco superiori al 2 per mille in Svezia e Finlandia. L’Italia con il 3,1 per mille ha una posizione decisamente migliore della media, ma anche di diversi paesi avanzati dell’Unione, come Francia, Germania, Paesi Bassi, che presentano tassi tra il 3,5 ed il 3,6. Vi è però un’ampia variabilità sul territorio; è stata qui considerata la media degli anni tra il 2009  e 2011 per evitare le oscillazioni che si hanno nei dati delle piccole regioni. La media del triennio vede valori  tra il 2 ed il 2,5 per mille in alcune regioni del Nord e del Centro (Val d’Aosta e Umbria, ma anche Trentino Alto Adige, Piemonte e Marche) e quindi sostanzialmente allineati con i migliori risultati a livello mondiale; ma anche tassi prossimi e superiori al 4 per mille in molte regioni del Mezzogiorno. E’ evidente che su una variabile come il tasso di mortalità infantile incidono diversi fattori come il livello di reddito e di istruzione del paese o regione e non solo l’offerta complessiva di servizi sanitari. Ma occorre rilevare che nella distribuzione compare un paradosso. Alcune ricerche hanno evidenziato che la spesa sanitaria erogata è più elevata al Centro nord, ma tenendo conto della mobilità le risorse sono relativamente omogenee nel territorio. Considerando la struttura per età della popolazione la spesa è più elevata nel Mezzogiorno e anche nel Lazio. Una maggiore spesa sanitaria non si accompagna a risultati  migliori nei tassi di mortalità infantile. 

  

 

 

3.4 Grado di soddisfazione dei servizi pubblici

Gli indicatori presentati sono solo alcuni degli elementi che possono identificare le molteplici attività delle pubbliche amministrazioni. Tra le analisi che trattano ampiamente il tema, si può ricordare quella del CNEL.  Uno studio della Banca d’Italia del 2011 ha posto sotto attenzione la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici in Italia a livello centrale (istruzione e giustizia), regionale (sanità) a livello locale (trasporti pubblici locali, rifiuti, acqua, distribuzione del gas e asili nido). In termini generali, si evidenziava che a fronte di una qualità dei servizi molto differenziata sul territorio corrispondeva una quantità di risorse spese a livello locale relativamente uniforme. I ritardi sembrano riconducibili alla mancanza dei processi di razionalizzazione e riorganizzazione su base industriale dell’offerta, che hanno impedito significativi recuperi di efficienza. Il sistema è rimasto specie nel Mezzogiorno frammentato, sostanzialmente auto referenziale. Si può dire che la politica non ha saputo innescare il miglioramento, ma anzi spesso l’ha contrastato. 

 

E’ evidente, perciò, una larga insoddisfazione dei cittadini / utenti rispetto ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione, in via diretta o indiretta. Il grafico sottostante mostra il grado di soddisfazione e di fiducia in alcuni servizi pubblici; è riferito al 2012 ed è ricavato da un’indagine omogenea condotta a livello internazionale dall’OCSE. Si vede che in Italia il 76 % dei cittadini aveva fiducia nelle forze dell’ordine che presidiano  il territorio, il 62% nel sistema educativo, solo il 55% in quello sanitario. Per le altre due voci la fiducia precipitava con solo il 38% per la giustizia ed il 28% nel governo nazionale. Dal grafico si vede come l’area disegnata dalla linea azzurra sia quasi tutta interna al pentagono verde, che segna i valori di fiducia che si registrano nell’insieme della area OCSE. Talvolta la distanza tra i valori non è molto grande come nell’istruzione ( nella polizia locale l’apprezzamento è da noi maggiore); negli altri casi è molto significativa. L’area in grigio corrisponde al valore segnato dai migliori paesi nella specifica dimensione, indicando gli spazi di miglioramento teorici rispetto ai benchmark.

 

 

4. UNA GOVERNANCE MIRATA DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI ATTRAVERSO INDICATORI DI RISULTATO 

 

Si è detto che la necessità di una robusta revisione della spesa è confermata da una qualità dei servizi molto differenziata sul territorio, cui corrisponde una quantità di risorse spese a livello locale relativamente uniforme. Dunque vi è  necessità di una strategia che contenga la spesa a parità di risultato e migliori i risultati a parità di spesa. La spending review, in effetti, avrà successo solo se le informazioni sulla dimensione economico – finanziaria verranno incrociate con quelle che misurano la capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini.

 

 

Ma questo presuppone la necessità di spingere concretamente sulla strada della verifica delle performance della pubblica amministrazione a livello centrale e, soprattutto, a livello decentrato. Nella valutazione della qualità dei servizi, sia a livello macro che micro, vanno considerati sia gli indicatori oggettivi, che esprimono alcune caratteristiche degli stessi, sia quelli soggettivi, che stanno a segnalare il gradimento da parte degli utenti / cittadini. 

Purtroppo l’Italia segna un ritardo metodologico grave rispetto agli altri paesi. La figura 5, tratta da Government at a glance dell’OCSE, mostra attraverso un indicatore composito che il nostro paese ricorre molto poco alle pratiche di bilancio basate sulle performance. Ma, così facendo, la politica e l’amministrazione rinunciano ad accendere le luci segnaletiche, che dovrebbero guidare il percorso. E’ il sintomo di una problematica più ampia, quale “un assetto procedurale dominato da categorie giuridico contabili che non riescono mai a coniugarsi con una valutazione degli obiettivi e dei risultati, né in sede programmatica, né in sede di misurazione ex post. E’ l’effetto della prevalenza assoluta di una cultura giuridico-contabilistica  degli uomini dellʹamministrazione, che è venuta cancellando nella storia dellʹamministrazione italiana il contributo delle culture economiche, statistiche, ingegneristiche, specialistiche nelle diverse materie amministrate e ha posto un ostacolo sostanzialmente determinante a un ingresso di nuove “tecniche e tecnologie” di amministrazione dal controllo di gestione, allʹimpiego di strumenti informatici avanzati, alla analisi delle politiche pubbliche, alla contabilità economica nazionale.

Invece altrove i governi stanno via via aumentando le informazioni sui risultati nei processi di bilancio e di governance. L’obiettivo è raggiungere risultati migliori, ottimizzare l’utilizzo delle risorse impiegate, aumentare la trasparenza delle decisioni di spesa.  Dunque, sinteticamente, aumentare la qualità della spesa pubblica rafforzando il legame tra l’allocazione delle risorse e i risultati.

Anche da noi gli indicatori delle performance devono diventare il pannello di controllo della pubblica amministrazione a tutti i livelli. La lettura del sistema degli indicatori dovrebbe dare a chi ha responsabilità politiche, ai cittadini ed alla società un check up continuo su qual’è la situazione effettiva della macchina e dare quindi modo di confrontarsi su quali siano le priorità ed i passi da compiere. La fissazione di obiettivi, il monitoraggio dei risultati in corso d’opera, la presa d’atto dei consuntivi devono diventare l’ordinario modo di operare non solo a livello strategico ma anche negli uffici decentrati. La scelta delle variabili, che indicano l’andamento dei fenomeni da controllare, e la rilevazione dei dati più opportuni sono, quindi, tra gli aspetti da curare con maggiore attenzione e da integrare in base alle specifiche esigenze degli obiettivi di carattere strategico.

Ed in questo quadro è la stessa contrattazione che può essere uno strumento / opportunità. I sistemi di valutazione della performance devono essere ampiamente usati per determinare le retribuzioni e gli avanzamenti di carriera con retribuzioni di risultato nella forma di incrementi della paga base collegati alla performance.  La negoziazione decentrata ha sempre sofferto in questi anni della mancanza di un quadro chiaro di quali siano i risultati dell’azione amministrativa, andando, quindi, molto spesso a degradare in somme erogate a pioggia ed in modo indifferenziato; oppure inventandosi cervellotiche ipotesi a priori su come distribuire i premi. 

 

Per vincere la scommessa di una Pubblica Amministrazione profondamente rinnovata non basterà allineare i dati di bilancio o rivedere le regole della mobilità dei dipendenti, ma si dovrà trovare il modo di rispondere ai bisogni dei cittadini attraverso una governance moderna, trasparente, partecipata e, dunque funzionale

 

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