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Homo homini lupus

Vado a intervistare un vecchio amico, una persona che ha sempre insegnato cultura e mai dottrina; abita in un casaletto di campagna con uno spazio esterno che ricorda un’agorà, ombreggiato da un tiglio e rinfrescato da un antico pozzo-cisterna. Ovunque vigne e olivi, cavalli, animali da cortile; dentro c’è il pieno di storia, antropologia, ecologia; la casa non ha ambiti definiti, si articola e si svolge su internessione e spazi relativi, mai certi, plurimi e integrati. Hai la sensazione che la sua realtà, come i suoi studi, esprima i valori della complessità.

Ci sediamo sotto il tiglio, accanto al pozzo.

 

Buono il tuo vino, e poi bevuto sotto il tiglio con una fetta di prosciutto uscito a sorpresa dal pozzo, è una meraviglia.

Grazie, ma a scanso di equivoci ti dico che non c’entra il risparmio energetico ma il valore organolettico; sono convinto che il gusto che dà ai cibi il fresco del pozzo sia paragonabile solo con quello delle nostre cantine scavate nel tufo. 

 

Vuoi che iniziamo con energia e sostenibilità?

No, per quello abbiamo tempo e poi sai che mi piacciono gli inizi formali.

 

Perché hai voluto che l’intervista si titolasse homo homini lupus

Parto da una considerazione semplice. Il lupo è, nel nostro immaginario, il predatore per antonomasia; però non è l’orco, non mangia i bambini (nel peggiore dei casi ingoia le nonne lasciandole intatte e pronte al dialogo); mangia erbivori o mammiferi gerarchicamente sotto di lui. Quando con città, pascoli e deserti verdi abbiamo sostituito il suo habitat, gli abbiamo sottratto anche il “cacciabile”; ma lui deve continuare a mangiare: e allora che fa? Prende quello che gli mettiamo a disposizione nei prati-pascolo e mangia; se non gli sparassimo, 

sono sicuro che ci ringrazierebbe. Vagli a spiegare che ciò che c’era prima era a sua disposizione, e quello che c’è adesso no. 

 

Chiaro, in natura si prende secondo le leggi della catena alimentare; la teoria del limite “è cosa nostra” (anche se non la pratichiamo). Se sottraiamo habitat ai predatori, è normale che loro predino nei nuovi terreni di caccia; peccato le schioppettate.

Quando leggo sui giornali lo stupore di chi vede cinghiali, volpi e … nelle periferie delle città piene di ratti, anche piccoli mammiferi e residui di cibo, mi viene da ridere. E allora, dove vuoi che vadano? La loro catena alimentare soffre per città e deserti verdi, i predatori stanno scomparendo, i cinghiali e gli altri erbivori non più predati aumentano e superano l’equilibrio dei loro habitat naturali tra l’altro ristretti; e noi ci stupiamo che vengano a mangiare in una città che per loro è comoda e la vivono come tavola imbandita? Eppure siamo abituati agli intrufoloni, sempre primi a saccheggiare i tavoli degli antipasti o delle colazioni a buffet.

 

Nel mondo si stanno sommando gli squilibri e tutto è avvenuto in fretta. Pensiamo all’aumento sia demografico sia della domanda-offerta di merci e cibo, e alla ricchezza globale che non ha rispettato nessuna equa ripartizione. E c’è di più. Questi cambiamenti, proprio perché tumultuosi, non hanno rispettato i tempi biologici dell’adattamento e della resilienza, sono diventati artefici e prede di naturalità insostenibili

Le risposte sono tante. Conosci i parvenus? Chi ha lasciato da poco la fame diventa avido; in cento anni siamo passati dall’indigenza dei più alla civiltà dei consumi, dall’analfabetismo diffuso alla scolarizzazione di massa. Eravamo bambini poveri davanti alla vetrina della pasticceria la vigilia di Natale e ora mangiamo i lieviti per colazione; i nostri figli e nipoti sono studenti Erasmus.

Ti propongo un salto indietro di 700 anni. Fra’ Dolcino è il pauperista valsesiano bruciato a Vercelli nel 1307: forse dobbiamo a lui il termine credenza, il mobile che diventerà l’emblema delle cucine delle povere case. Fino a pochi decenni fa nei suoi scaffali alti erano riposti i pochi vasetti di frutta conservata per i giorni di grande festa, un po’ di 

zucchero e sale, cose per allora preziose. Nonne e mamme erano certe che nessuno ne avrebbe approfittato e forse è da questa certezza che nasce il detto “l’hanno scoperto con il dito nella marmellata”. Oggi le crostate intere o spezzate, avanzate in casa o nelle rivenditorie sono tra i cibi che mangiano i cinghiali che rovistano nella spazzatura.

 

in questo quadro l’uomo è lupo all’uomo?

Ti rispondo, inizio da lontano e ti consiglio un ascolto laico: rispetto ai dettati dell’ecologia, la Bibbia organizza l’uomo nel mondo secondo le regole gerarchiche; veniamo messi all’apice della catena alimentare, ci viene detto che possiamo disporre, in quanto apice, delle risorse naturali, della fauna e della flora, degli habitat ma … nella coscienza e non nell’incoscienza del limite; ci sono state date regole sistemiche semplici ma conseguenti che possono generare disastri solo con l’uso errato o con l’abuso. Il limite (come l’equilibrio e l’unità) è una delle grandi regole dell’ecologia, il confine tra sostenibilità e insostenibilità.

Come tutti i confini, può o non può essere superato. È una scelta. È una decisione. È una coscienza. Ricorda forse il libero arbitrio?

 

Teoria del limite e libero arbitrio marciano a braccetto?

Circoscrivo quanto dico alla sola storia e preistoria dell’homo (sapiens e pre-sapiens), periodi storici in cui gli equilibri ecosistemici succedutisi hanno funzionato. Da quando l’homo ha ecceduto nel libero arbitrio superando molti limiti, gli equilibri hanno iniziato a cigolare. Siamo stati sciocchi, la Bibbia l’aveva detto, ma l’appetito vien mangiando e dopo viene la voracità e poi … le crisi ecologiche; il sistema va in tilt.

La conseguenza? Non ti mettere a ridere ma la premessa, come la conseguenza, è che se vogliamo arrivare allo sviluppo sostenibile, legato all’uso parsimonioso di alcune risorse e all’uso sfrenato di altre (sole, vento, ecc.), dobbiamo accettare il libero arbitrio come responsabilità sociale e collettiva, oltre che individuale. Estremizzando, dobbiamo andare contro natura. Dobbiamo rinunciare all’uso tout court 

delle risorse, e praticare l’amministrazione delle risorse.

 

Chi glielo dice alle gerarchie di potere economico e politico? Siamo in un mondo governato dalle lobby; le multinazionali hanno stravolto il concetto di stato, nazione, continente. La globalizzazione è spesso sinonimo di “faccio quello che mi pare”.

Per le lobby è duro accettare che le risorse non siano a loro disposizione illimitata ma a disposizione congrua di tutti rispettando le leggi dell’equilibrio. 

 

Se non rispettiamo questo, consegue che alcuni sono lupus ai molti?

Nell’abuso del libero arbitrio, abbiamo creato una nuova gerarchia all’interno dello stesso gruppo. Anche il leone mangia i cuccioli maschi per eliminare futuri concorrenti, ma noi cresciamo a dismisura e non ci possiamo certo mangiare; siamo diventati una piramide in cui vige una gerarchia che non tollera egualitarismi e divisioni eque. Siamo come i carnivori, dove mangia per primo il maschio dominante e agli altri … solo quello che avanza dopo la propria sazietà.

Per questo, abbandonare quest’abuso (ignorante) delle risorse è necessario, ma chiediamoci se in realtà vuol dire andare contro natura oppure rispettare in termini prudenti, e utili a tutti, il libero arbitrio.

Sei d’accordo se aggiungo che dobbiamo ritrovare e praticare rapidamente i valori dell’equilibrio e della comunità? 

Dobbiamo diventare investitori e amministratori, accettare che il mondo sia formato da uomini uguali.

 

Altrimenti l’uomo è lupo all’uomo?

Certo, nell’ingordigia abbiamo creato una nuova piramide; alla base i poveri, più su i meno poveri fino ad arrivare ai ricchi e a quei numeri ristrettissimi di iper-ricchi che è difficile capire. Oggi all’apice della gerarchia non c’è più l’uomo come essere appartenente a una collettività, ma alcuni uomini come singoli.

E allora il passaggio allo sviluppo sostenibile?

La sostenibilità come equilibrio e non come uso e comodità, ci obbliga paradossalmente ad andare contro natura: i predati devono sostituire nell’uso delle risorse i predatori; è un controsenso gerarchico giustificabile solo con le conseguenze dell’abuso del libero arbitrio. Del resto non sarebbe nulla di nuovo, sono storie che conosciamo, la differenza è che oggi siamo 8 miliardi (altro che libero arbitrio!).

 

Io credo allo sviluppo sostenibile, ma non credo che si vada contro natura usando le risorse messe a nostra disposizione con scienza e coscienza.

Bravo, scienza e coscienza. Ma chi la paga la scienza? Certamente non quelli che sono immersi nella sussistenza. Rischiamo di studiare e scoprire sempre quello che serve a qualcuno.

Ma ora basta, un po’ di ottimismo; per farla facile sarebbe sufficiente stabilire un rapporto corretto tra uomo e umanità, tra singolo e comunità, tra individualità e collettività. 

 

Sul tuo “per farla facile” mi vien da ridere. Abbiamo studiato l’impronta ecologica, il rapporto cioè tra risorse naturali e peso umano, e ci organizziamo sull’insostenibilità?

Sempre bravo, i pesci stanno mangiando la plastica, i polmoni di tutti stanno respirando non si sa che cosa. Non farmi fare il populista. Ma se proprio vuoi sapere come la penso, ti dico che la vera contro-natura è la predazione. Io sono per i valori dell’equilibrio e della comunità.

*Ecologista,Toledo Mancha Spagna

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