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I giorni del congiuntivo*

I milioni di persone davanti alla tv per il Papa e per il rosario segnalano un bisogno di pregare che forse si riteneva superato. Ma cosa significa pregare? 

Nel 1916 Wittgenstein si trovava sul fronte orientale della Prima guerra mondiale mentre si scatenava il più grande attacco nemico, la cosiddetta Offensiva Brusilov. In mezzo a perdite altissime la sua azione ebbe un certo rilievo, visto che il 1° giugno venne promosso caporale e il 4 decorato. 

Pochi giorni dopo, l’11, colui che diventerà uno dei più grandi logici e filosofi del Novecento, annotava: “Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio… Pregare è pensare al senso della vita”. Nelle trincee del fronte, tra il sangue e la sporcizia, Wittgenstein pregava pensando al senso della vita …

Ma pregare è veramente pensare al senso della vita? Pregare viene dal verbo latino precari da cui anche l’aggettivo “precario”. Ovvero: chi non ha problemi non prega, chi è nella precarietà prega. Le parole non mentono. A sua volta l’etimologia del verbo pensare viene da pesare: chi pensa pesa, soppesa, pondera, dà un peso alla realtà.

Che peso ha la realtà? Prendiamo la natura che in questi giorni ci mostra il suo volto terribile: che peso ha? Domandarselo significa fare della mente una bilancia che pondera i vari argomenti a favore del senso o del non-senso della natura, del suo essere madre o matrigna. 

Lo stesso vale per la vita, la morte, l’amore, la bellezza, il diritto, il divino e chissà che altro: che peso hanno tutte queste cose? E che peso dare loro nella nostra esistenza? Porsi queste domande significa pensare, pensare al senso della vita. Ma perché allora Wittgenstein scriveva che “pregare” è pensare al senso della vita?

Il rigore del pensiero esige che si valutino i singoli argomenti in modo obiettivo, senza sbilanciarsi a favore del bene o del male, ma piuttosto collocandosi “al di là del bene e del male”. Noi però non siamo solo freddo pensiero: siamo anche passione, desiderio, volontà. E quando in noi si afferma questa dimensione calda, il pensiero non è più puro ma diviene di parte, parteggia, si fa partigiano. 

Chi prega è un partigiano della realtà: del suo senso e della sua carica positiva. Se la mente di chi pensa è una bilancia che pesa in perfetto equilibrio, la mente di chi pensando prega è una bilancia sbilanciata a favore del bene rispetto al male, della vita rispetto alla morte, del senso rispetto all’assurdo.

Per questo la preghiera è al congiuntivo. Se fosse puro pensiero, essa sarebbe all’indicativo, come Emanuele Severino ritrascriveva il Padre nostro: “Padre nostro che sei nei cieli, è santificato il tuo nome, viene il tuo regno, è fatta la tua volontà”. Ma la preghiera di Gesù è al congiuntivo, un modo verbale che non si limita a indicare ma vuole congiungere, unire ciò che unito non è. 

Che cosa non lo è? La volontà di Dio e lo stato del mondo. Il mondo nella sua libertà spesso non rispecchia la volontà di Dio e per questo Gesù insegnò a pregare al congiuntivo: “Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”. L’indicativo è neutrale, il congiuntivo è partigiano.

Io penso che oggi, quando siamo così separati che non possiamo più neppure darci la mano, tutti abbiamo un grande bisogno di sentirci congiunti, di sperimentare la forza congiuntiva del pensiero che prega, cioè parteggi a favore del bene. Questi sono i giorni del congiuntivo.

La preghiera può essere rivolta a un Dio o a una Dea, a un santo o a un saggio, a una montagna o al mistero muto dietro le stelle. Può essere fatta di parole o di silenzi. Può essere religiosa o laica. 

In tutte le sue forme essa si manifesta come forza congiuntiva. E noi abbiamo un bisogno immenso di essere congiunti per far pendere il piatto del nostro amato Paese a favore della salute, dell’armonia, dell’unità. Perché la vera differenza, diceva Norberto Bobbio e ripeteva il cardinal Martini, non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa. Pregare significa pensare al senso della vita, perché venga, perché sia fatto, in qualunque modo ne siamo capaci. Come un secolo fa aveva intuito Wittgenstein.

 

 *da Repubblica,03/04/2020

**teologo e saggista

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