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I leader non sanno come affrontare il “cigno verde”

Ogni anno, alla vigilia dell’incontro di Davos, il World economic forum (Wef) diffonde il Global risks report, ricavato da un’indagine tra top manager ed esperti sui maggiori rischi che corre l’umanità, in termini sia di gravità che di probabilità. Rispetto all’anno scorso, si accentuano le preoccupazioni (e il pessimismo) per il fallimento degli accordi sul clima, per l’impatto dei fenomeni meteorologici estremi, per la perdita di biodiversità. Se poi si analizzano le risposte dei “global shapers” cioè del network del Wef che riunisce giovani impegnati in dialogue, action and change, si vede che per ciascuna di queste catastrofi le preoccupazioni dei giovani sono ancora maggiori.

La domanda che sorge spontanea, se si guardano i grafici del Rapporto, è come mai i potenti del mondo, consapevoli dei rischi che stiamo correndo, non si impegnino maggiormente per cambiare rotta. Sembra quasi che a Davos si assista a un teatrino (nel primo giorno, da una parte l’attivista Greta Thunberg, dall’altra il negazionista Donald Trump) senza davvero rendersi conto dell’entità della posta in gioco.

Una parziale risposta può venirci da un rapporto appena diffuso dalla Banca dei regolamenti internazionali sul “cigno verde”, cioè sui rischi alla stabilità finanziaria che derivano dal cambiamento climatico. Nell’abstract si legge che “il cambiamento climatico pone nuove sfide alle banche centrali, ai regolatori e dai supervisori (…) La valutazione dei rischi correlati al clima nel monitoraggio della stabilità finanziaria è particolarmente difficile per la totale incertezza associata con un fenomeno fisico, sociale ed economico in continuo cambiamento e tale da coinvolgere complesse dinamiche e reazioni a catena. Le analisi tradizionali dei rischi, costruite guardando al passato, e anche i modelli esistenti clima – economia non possono anticipare con adeguata accuratezza le caratteristiche che avranno i rischi legati al clima. Tra questi, quello che definiamo “cigno verde”: eventi finanziari con un potenziale estremamente distruttivo che potrebbero portare alla prossima crisi finanziaria sistemica”.

Le verità è che siamo in un territorio inesplorato, nel quale le esperienze precedenti valgono ben poco; non ci sono modelli econometrici o scenari sociopolitici che possano dirci con un ragionevole grado di approssimazione quello che può accadere.  Da questa analisi si può intuire il problema che angoscia anche i grandi del mondo che sono convinti di dover intervenire: l’entità della trasformazione è troppo grande per poter essere gestita con successo; meglio occuparsi di problemi “risolvibili”, che possano fornire anche un ritorno elettorale.

Una bussola per affrontare i problemi odierni e le grandi incognite del futuro ci viene però dall’Agenda 2030 dell’Onu: mercoledì il Segretario generale António Guterres ha lanciato la “Decade of action”, per intensificare l’impegno sui 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile nei dieci anni che mancano alla scadenza degli impegni sottoscritti da tutti i Paesi del mondo. L’Agenda 2030 non basta certamente a fornire tutte le risposte che ci servono, ma è comunque un percorso condiviso, per affrontare le sfide del futuro. Purtroppo, tutte le analisi compiute finora ci dicono che il mondo non è su un percorso di sviluppo sostenibile. Non lo è per quanto riguarda la crisi climatica, ma anche per gli altri impegni contenuti negli SDGs a partire dalla lotta alle diseguaglianze. Il rapporto “Time to care” presentato da Oxfam alla vigilia di Davos non solo segnala che le 2153 persone che nel mondo possiedono più di un miliardo di dollari nel complesso detengono una ricchezza pari ai 4,6 miliardi più poveri (il dato che più ha colpito i media), ma ha messo l’accento anche su altri elementi importanti. Per esempio, il valore del lavoro domestico che ricade quasi totalmente sulle spalle delle donne, stimato a quasi 11mila miliardi di dollari all’anno, tre volte il fatturato delle industrie tecnologiche. E anche la proposta di prelevare annualmente, per dieci anni, uno 0,5% dalla ricchezza dell’1% di popolazione più ricca: sarebbe sufficiente, secondo Oxfam, per creare 117 milioni di posti di lavoro in education, health and elderly care.

Senza un’azione decisiva la situazione peggiorerà di molto. Le popolazioni che invecchiano, i tagli della spesa pubblica e il cambiamento climatico minacciano di esacerbare ulteriormente le disuguaglianze economiche e di genere e di alimentare una spirale di crisi che minaccerà le attività di cura e i caregivers. Mentre l’elite dei ricchi e dei potenti sarà in grado di comprarsi la via per sfuggire al peggio di queste crisi, i poveri e le masse prive di potere non potranno farlo. I governi devono avviare azioni coraggiose per costruire una nuova economia a misura d’uomo, che distribuisca a tutti anziché soltanto a pochi ricchi, e che valorizzi la cura e il benessere più che il profitto e la ricchezza.

Anche dal Wef è arrivato un grido d’allarme sulle diseguaglianze, o meglio sull’impossibilità di correggerle attraverso la mobilità sociale. Il rapporto, il primo del genere, delinea anche un global social mobility index, che colloca ai primi posti i Paesi nordici e solo al 34esimo l’Italia, tra gli ultimi in Europa. Tra gli handicap che limitano la possibilità di crescere socialmente nel nostro Paese, gli svantaggi di cui soffrono i giovani, con l’elevata percentuale di Neet, che non studiano e non lavorano, e le carenze della formazione continua: uno svantaggio sottolineato anche dall’ultimo rapporto dell’Anpal dedicato ai risultati del programma “Garanzia giovani”.

Riuscirà l’Italia a fare la sua parte nell’affrontare le sfide del futuro? Un ruolo importante è stato affidato alla Cabina di regia “Benessere Italia”, attraverso la quale il governo deve coordinare le politiche di sviluppo sostenibile. Il nuovo organo è stato presentato lunedì al Cnel, con un programma impegnativo. La parte più critica di questo impegno è chiaramente quella della interazione con tutte le altre strutture di governo, per ottenere rapidamente risultati concreti, perché gli Obiettivi di sviluppo sostenibile coinvolgono pressoché tutti i ministeri. Per ottenere risultati è ovviamente necessaria una forte volontà politica, che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha più volte ribadito.  Da parte nostra non possiamo che fare i nostri migliori auguri alla Cabina e alla sua coordinatrice Filomena Maggino, ben consapevoli delle difficoltà che avrà di fronte.

Segnaliamo intanto un passo positivo verso una politica italiana orientata allo sviluppo sostenibile: la proposta di legge costituzionale d’iniziativa del Consiglio regionale del Veneto per inserire il concetto di tutela delle generazioni future e l’impegno a promuovere le condizioni per uno sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della Repubblica. La proposta, che riprende, parola per parola, il testo messo a punto dall’ASviS fin dal 2017, è stata assegnata in sede referente alla commissione Affari costituzionali e alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera per un parere consultivo. Mira a modificare gli articoli 2, 9, 41 e 44 della Costituzione ed è particolarmente significativa in quanto proviene da una Regione a maggioranza leghista, formazione politica che finora, anche prima delle ultime elezioni, non aveva voluto sottoscrivere impegni in materia di sviluppo sostenibile.

*da newsletter ASVIS, 24/01/ 2020

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