Partecipando a un seminario all’Arel sulle prospettive economiche dopo i primi 100 cento giorni di Trump ho sentito affermare che senza un nuovo accordo del Plaza, the Donald va a sbattere.
Per chi non se lo ricordasse l’accordo del Plaza è del 1985, sottoscritto dall’allora G5 (Usa, Germania O., Francia, G. Bretagna, Giappone) e Canada. Prevedeva la svalutazione guidata del dollaro. Reagan, inizialmente contrario, vi fu costretto dalle pressioni del mondo industriale e agricolo americano colpito dalla supervalutazione del dollaro che invece favoriva il mondo finanziario. La svalutazione favorì per alcuni anni le esportazioni americane verso l’Europa ma non verso il Giappone; poi il processo di globalizzazione riprese la sua marcia e i suoi effetti.
Questo per ricordare che quello che fa oggi Trump non è una novità nel comportamento “imperiale” americano. Nixon nel 1971 ha sospeso unilateralmente la convertibilità del dollaro in oro e imposto dazi del 10%, arrivando solo successivamente a nuovi accordi sostitutivi a quelli di Bretton Woods del 1944.
Trump è in scia; poi, invece di usare un linguaggio diplomatico, usa un linguaggio da bullo. Ma i suoi predecessori che usavano linguaggi più consoni in concreto spesso hanno fatto lo stesso, se non peggio.
Il superdiplomatico per eccellenza, fu Kissinger. Noi anziani siamo tutti contenti che ha posto fina alla guerra in Vietnam; per i vietnamiti del sud anticomunisti forse la situazione era simile a quelle degli afgani mollati da Trump o degli ucraini che corrono lo stesso pericolo. E non parliamo del Cile. Finora Trump non ha sulla coscienza una cosa simile, Non voglio salvare Trump; voglio soltanto ricordare che, al netto dei modi, l’impero ha le sue regole.
Tornando al suggerimento del Plaza, vediamo com’è messa la situazione attuale. Trump sembra avere un atteggiamento schizofrenico rispetto ai dazi: li mette, li sospende, li rimette. Accusa l’Europa di allungare la trattativa e quindi, per premere, ne annuncia l’imposizione dal 1o giugno. Poi la risposta a luglio. Il problema è che gli USA non solo hanno un passivo di bilancia commerciale, ma hanno anche un enorme debito pubblico e Trump si trova a dover fronteggiare entrambi i problemi.
L’annuncio dei dazi sulle merci europee forse serve a due obbiettivi. Il primo è fare pressione sull’Europa. La trattativa non è facile. Non si tratta solo di mettersi d’accordo su tariffe e prodotti. Il problema per quello che riguarda l’Unione sono le regole sulla salute dei consumatori che limitano le importazioni dagli Usa di molti prodotti americani, sono le regole che impongono multe alle Big tech americane, sono le possibili web tax. Con la Cina e altri paesi, gli USA non hanno questi problemi. A dazi zero molti prodotti americani sono bloccati da norme regolamentari, Trump vuole che siano eliminate. A meno che l’Unione non cali le brache mi pare un obiettivo difficile da raggiungere per Trump.
La seconda motivazione è interna e concerne il debito. La Camera ha appena rinnovato i tagli delle tasse che Trump aveva concesso nel primo mandato e ne ha aggiunti altri. Tagli ovviamente non coperti da analoghe riduzioni di spesa. Per coprire l’ulteriore disavanzo prodotto da questi tagli di tasse la misura approvata dalla camera prevede di tassare gli investimenti finanziari degli stranieri negli USA dal 5% al 20% nel caso vivano in paesi accusati dal governo americano di pratiche fiscali sleali. Con questi chiari di luna, se avevate intenzione, rinunciate a comprare titoli del tesoro americano.
La misura è passata per un voto alla Camera e non è sicura la sua approvazione al Senato. I Dazi sulle merci europee garantirebbero secondo Trump le entrate per coprire non solo questa misura ma per dare una bella sforbiciata al disavanzo e al debito.
Ora i casi sono due, come sempre. I dazi si possono mettere per due obbiettivi opposti: impedire l’ingresso di un prodotto e quindi non producono entrata fiscale, oppure realizzare un’entrata fiscale, ma in questo caso incidono negativamente sulla bilancia commerciale, e, dato l’aumento dei prezzi, sull’inflazione interna.
Se le merci europee continueranno ad entrare in USA nonostante i dazi, Trump avrà un vantaggio sui conti pubblici, nessun vantaggio sulla bilancia commerciale, sul sistema industriale, e maggiore inflazione. In sintesi problemi con il mondo MAGA.
Se blocca le importazioni avrà problemi di bilancio e senza accordo con l’Europa, quello che rischia è una crisi a livello mondiale. Se poi l’accordo complessivo è quello tratteggiato da Miran con gli altri che comprano i titoli del debito pubblico americano con scadenza a 100 anni e a basso tasso di interesse, credo che Mira e Trump dovrebbero riflettere sulla differenza tra il mondo dell’accordo del Plaza con il G5 formato da Usa, Germania O., Francia, G. Bretagna, Giappone e il mondo di oggi.