Il cambiamento climatico è un rischio per tutti i settori economici: secondo la BCE avrebbe nel 2019 già concorso a ridurre il PIL di un punto percentuale. Il danno maggiore grava sul settore agricolo: l’alluvione in Emilia-Romagna del 2023 ha provocato quasi 10 miliardi di danni, cui si aggiungono i danni di altri episodi di maltempo e della siccità.
I bilanci pubblici hanno in parte fatto fronte, ma l’onere maggiore resta sulle spalle degli agricoltori. Il settore agricolo in Europa pesa per il 10% sul totale delle emissioni climalteranti ed ha contribuito sinora pochissimo alla loro riduzione. Solo con la recente riforma della PAC (bilancio 2023-2027) anche l’agricoltura è stata chiamata ad un progressivo cambiamento di passo, vincolando i fondi ad alcune prescrizioni.
Ad ogni tentativo di riforma è però seguita quasi sempre la protesta degli agricoltori, che non e’ mai stata generalizzata e bellicosa come in queste settimane. La sua rapida diffusione deriva dalla generale paura del Green Deal e dei suoi effetti sulla concorrenza internazionale con paesi meno ambientalmente vincolati. Si sono poi sommate rivendicazioni specifiche nei diversi paesi: in Germania, l’eliminazione dei sussidi per il gasolio e delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei macchinari; nell’Est Europa, gli effetti sul mercato interno dell’azzeramento dei dazi sul grano ucraino; in Francia e Spagna, il livello di pressione tributaria e l’eccessiva regolamentazione del settore; in Italia, l’eliminazione delle agevolazioni “temporanee” Irpef introdotte nel 2016 ed il caro carburanti.
La protesta ha sorpreso la Commissione che aveva già fatto marcia indietro su alcune prescrizioni e ora accantona definitivamente la bozza di regolamento per ridurre, rispetto al 2005, le emissioni del 10% nel 2030 e del 30% nel 2040. Von der Leyen ha dichiarato che sono stati fatti errori di valutazione degli impatti e di comunicazione, ha promesso un nuovo regolamento sull’uso dei fertilizzanti e ha proposto la sospensione per un anno della messa a riposo dei terreni. La Commissione ne esce indebolita, i rinvii implicano che tutto verrà ricontrattato con il nuovo Parlamento, la cui composizione sarà sicuramente meno favorevole alle politiche ambientali, ma che dovrà rispettare gli obiettivi della legge sul Clima del 2021: mentre ha rinviato le prescrizioni agricole al 2030, la Commissione ha reso così pubbliche le raccomandazioni per il decennio 2030-2040, secondo cui al 2040 si prevede una riduzione del 90% delle emissioni, per poter mantenere l’obbiettivo della piena decarbonizzazione al 2050. Il ruolo del settore agricolo non è menzionato, ma nel documento tecnico (Impact assesment) che accompagna le raccomandazioni si prevede la riduzione al 30% delle emissioni sul 2005. Il nuovo Parlamento potrebbe ridurre anche gli impegni della legge sul Clima, condannandoci a danni climatici aggiuntivi, in misura che gli scienziati dicono esponenziale. A questo punto la Commissione dovrebbe almeno indicare in modo meno opaco ai cittadini che i costi dell’inazione sono molto superiori ai costi della transizione.
*da In Più, 09/02/2024