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Il sovranismo scricchiola nel paese d’origine

La notizia fa rumore. L’Ungheria è scossa da scioperi e manifestazioni di lavoratori e studenti. A Budapest ma anche in altre parti del Paese. A causarli è stata una legge approvata dal Parlamento magiaro, su richiesta del Governo Orban e che riguarda il lavoro dipendente. Essa autorizza le imprese a utilizzare fino a 400 ore di lavoro straordinario annuo, facendo lavorare il singolo lavoratore tutti i sabati, o 10 ore giornaliere per 5 giorni, tutto l’anno. Inoltre, consente alle imprese di pagare gli straordinari effettuati, entro i successivi tre anni. Anche al più stakanovista, questa legge farebbe drizzare i capelli. Ad Orban ed alla sua maggioranza parlamentare (la legge è stata approvata con 130 voti a favore e 52 contrari) pare che faccia l’effetto opposto, sentito il lungo applauso che ha accompagnato l’annuncio dell’approvazione. 

In tutta l’Europa la diffusione della notizia ha rafforzato la convinzione che l’Ungheria sta facendo da battistrada dei sovranisti per minare alla base la sua coesione sociale. Anche perché la legge è stata sollecitata dalle imprese, a partire dalle multinazionali straniere tra cui Audi, Mercedes e Opel, a corto di manodopera disponibile. Il mercato del lavoro ungherese è in forte stato frizionale; la disoccupazione è da molti mesi ai minimi storici, intorno al 3,7%. Si fa sentire la denatalità, la fuga all’estero dei giovani attratti da salari più alti ma soprattutto la stretta sugli immigrati, scelta con particolare severità e cinismo dal Governo Orban. Ma quest’ultimo rovescia l’argomentazione. La legge è positiva perché “dobbiamo rimuovere la burocrazia che non consente a chi vuole lavorare di più e guadagnare di più di poterlo fare”. Così il commento del Premier magiaro. 

Non sono della stessa opinione i sindacati, i partiti dell’opposizione, le organizzazioni della società civile. Essi sottolineano che non è stato accolto l’emendamento dell’opposizione parlamentare di dichiarare esplicitamente la natura volontaristica della facoltà di fare straordinari. Anche se non si prevede l’obbligo ad accettare le indicazioni aziendali, la posizione di debolezza del singolo lavoratore verso l’azienda è evidente. Da qui, il dilagare dello slogan “E’ una legge sulla schiavitù”, evocando la famigerata “slave law” degli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento.

Vale la pena di seguire con molta attenzione l’evoluzione di questa vicenda, perché è emblematica per tutta l’Europa. Si sa, Orban finora l’ha fatta da padrone in Ungheria. Ha una grande maggioranza parlamentare, ha messo sotto controllo la stampa (432 testate messe sotto il controllo di una fondazione istituita da oligarchi), vuole creare tribunali speciali di diretta emanazione del Governo per questioni specifiche ma delicate come corruzione e leggi elettorali. Non a caso il Parlamento Europeo ha deliberato recentemente contro questa deriva della democrazia in Ungheria e sarebbe già fuori l’Europa se non ci fosse il vincolo unanimistico del decisore finale: il Consiglio europeo dei Primi Ministri.

Il vasto movimento che si è coagulato contro la legge dello straordinario rompe il clima di fiducia in Orban. Ma la dice lunga anche sul destino del sovranismo. Sventolano molte bandiere europee nelle piazze ungheresi. Il bisogno d’Europa come argine alla “democratura” in salsa ungherese si fa sentire. E questo accresce la responsabilità del resto d’Europa perché non si riducano i diritti sociali e umani in ogni punto dell’Unione. Non è una faccenda interna a quel Paese. E’ una questione cruciale del futuro della coesione sociale europea. C’è l’urgenza di mettere all’ordine del giorno della futura legislatura europea il rilancio dell’Europa sociale, messa troppo in sordina da questa che sta finendo.

Ma il sovranismo scricchiola, nel punto più avanzato del gruppo di Viségrad (guardato con interesse anche dalla coalizione legostellata del governo italiano), anche per due motivi. Il primo è che il muro che cinge kilometri di confine magiaro provoca dolorose vicende alle migliaia di emigranti assiepati nel territorio turco a ridosso del filo spinato, ma non risolve i problemi interni al Paese. Dire no alle quote modeste di immigrati da accogliere, previste dagli accordi europei, si sta trasformando in un nodo scorsoio all’economia. Gli industriali locali e stranieri hanno sollecitato la “legge della schiavitù” come rimedio alla cocciutaggine ideologica e alla miopiadi Orban. La vecchia Europa senza immigratiaccelerail suo declino e questo senza togliere nulla all’urgenza di fare del rilancio delle natalità e dell’aiuto alle famiglie una priorità che travalica le frontiere nazionali.    

Il secondo motivo, riguarda la prospettiva economica dell’intera Unione. Il sovranismo propone un ruolo “light” dell’Europa nel dare le grandi linee strategiche dello sviluppo economico e sociale. L’Ungheria, nel suo piccolo, invece, dimostra che, se ognuno agisce per proprio conto, costruisce più contraddizioni di quante ne vorrebbe superare la visione nazionalistica. E lo spiega bene Draghi (vedere testo integrale, pubblicato in questo numero), al di là di ogni strumentalizzazione politica. Semmai c’è la necessità di ridisegnare “cosa e come” deve essere l’Europa rafforzata. Ma questo ridisegno, ancora allo stato embrionale nelle stesse intenzioni dei più europeisti, ha bisogno di leadership capaci di rassicurare i cittadini europei circa la visione di medio e lungo periodo da dare all’Europa federata. 

Questo compito riguarda molto i partiti e movimenti che si confronteranno nelle elezioni del 26 maggio del prossimo anno, ma spetta anche alla società civile, ai corpi intermedi di essa dare contributi e stimoli chiari e decisivi. Devono intervenire in prima persona nella discussione che sarà sempre più aspra man mano ci si avvicinerà alla scadenza elettorale. Una Europa più sociale, più pro labour, più attenta agli ultimi e nello stesso tempo più tecnologicamente avanzata, con più sviluppo ecosostenibile e assieme a più ridotte disuguaglianze tra i suoi cittadini e più robusti processi partecipativi ha bisogno di leadership politiche ma anche economiche, sociali e culturali lungimiranti. 

 “Personalita’ forti, in situazioni difficili, hanno cambiato il mondo; personalita’ deboli, in situazioni facili, lo hanno riportato dov’era” (G. Giuliano). All’orizzonte si vedono al comando ancora troppi uomini deboli per cultura, visione e temperamento e poche donne; mentre urge disporre di personalita’ forti disposte a mettersi al servizio di grandi idee, di progetti strategici, di capacità di far partecipare le persone al rilancio della passione per l’Europa unita. Un disegno a più mani, che coinvolga tanti, nelle fabbriche, negli uffici, nelle campagne, nelle città, nelle amministrazioni; insomma, non solo sui social.

 

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