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La salute del lavoratore, Covid 19 e l’ INAIL

Parlare di classe operaia è fuori tempo. Ma appunto la scomparsa della forza e delle elaborazioni che erano scaturite dalla “classe operaia”, ha indebolito la strategia del movimento sindacale sui temi della salute.

Le lotte per la salute e la sicurezza nel lavoro della fine degli anni ’60 e primi anni ’70 hanno inciso nella definizione identitaria della riforma sanitaria del 1978. Una delle parole chiave era la “prevenzione” che aveva nello slogan “la salute non si vende” la sua maggiore forza espressiva. Nella Riforma sanitaria i servizi di base di prevenzione della salute sono stati generalizzati e garantiti sull’intero territorio nazionale. A livello nazionale la costituzione dell’ISPESL, Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro, avrebbe dovuto accompagnare e coordinare e in qualche modo pilotare e indirizzare l’attività degli Spresal, i Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro. Nel tempo questi servizi sono stati continuamente ridotti e marginalizzati. Sostanzialmente non alimentavano il mercato, il ciclo remunerativo della mercificazione della malattia. Infine le leggi di mercato hanno inglobato l’Ispesl nell’Inail.                       

Poteva essere l’occasione per una potente innovazione della struttura dell’Inail, capace di combinare le necessarie politiche di risarcimento delle vittime, con lo sviluppo di reti ramificate sul territorio per lo studio epidemiologico, la ricerca delle cause e delle dinamiche degli infortuni e delle malattie professionali, per sviluppare più efficaci politiche di prevenzione e sviluppo di diagnosi precoci e terapie risolutive. Tutto questo non è mai avvenuto, perché la “nuova” Inail non è mai decollata, anzi la stessa Inail è diventata sempre più un’articolazione del Ministero dell’Economia e sempre meno un Istituto vigilato dal Ministero del Lavoro con la condivisione programmatica del Ministero della Salute.

Oltre 33 miliardi sono i depositi infruttiferi dell’Inail nel bilancio dello Stato, di cui quasi 2 solo con l’ultimo bilancio del 2018. Nel frattempo, ogni anno diminuiscono i risarcimenti a fronte del numero crescente degli infortuni e delle malattie professionali. Per l’Amianto ogni anno si finanzia meno del 30% delle domande delle aziende per avere i contributi per la bonifica dell’amianto ancora massicciamente presente nei processi produttivi. Ma il massimo di cinismo sanitario si raggiunge con i tumori professionali. Non solo si indennizza molto meno del 10% dei tumori professionali statisticamente stimati, ma non si ottempera al mandato di legge di supportare la rete dei medici epidemiologici per il monitoraggio e lo studio dei tumori professionali.  In particolare, da una parte l’Inail (con la parte ex Ispesl) certifica che il 70% dei mesoteliomi, il terribile tumore dovuto all’esposizione all’amianto, ha una causa direttamente lavorativa, più un altro 10% ha una causa indirettamente di esposizione lavorativa, e dall’altra non si fa carico di nessun intervento di cura e di ricerca clinica per le opportune terapie. Un tumore che sostanzialmente per l’80% ha alla fonte una causa lavorativa, non riceve gli interventi che sono previsti per gli infortuni. Questi infatti vedono impegnata direttamente l’Inail in ogni regione con più centri di cura e di riabilitazione e reinserimento lavorativo.

Covid 19: che c’entra l’Inail?                                                                                                                                    

Oggi le strutture più accreditate per gli studi, il monitoraggio e il tracciamento epidemiologico dei malati e contaggiati dal corona virus sono i COR, i Centri Operativi Regionali per il monitoraggio e la ricerca dei tumori professionali. Sono strutture più o meno presenti in tutte le strutture regionali e hanno appunto la cultura e la strumentazione per gestire il monitoraggio, la raccolta e la lettura dei dati utili al tracciamento e alla ricostruzione delle dinamiche epidemiologiche delle patologie del virus. 

Queste strutture possono essere rapidamente potenziate ed essere il fulcro per lo studio epidemiologico capillare delle dinamiche diffusive del corona virus. La rete dei COR , potenziata e maggiormente strutturata, potrebbe essere estrapolata dalla gestione delle Regioni e costituire una rete nazionale unica con la compartecipazione dell’Inail e del Ministero della Salute. 

La gestione dell’Inail assicurerebbe la garanzia della unicità e uniformità del monitoraggio e degli studi epidemiologici, premesse indispensabili per le attività di prevenzione, contenimento e dello sviluppo delle strategie efficaci delle terapie. La missione epidemiologica continuativa e permanente dovrebbe rimanere sui tumori professionali, ma la specializzazione dell’approccio epidemiologico consente di utilizzarne le competenze per altre situazioni ed eventi eccezionali, come la pandemia del corona virus ed altre situazioni particolari ed eccezionali che purtroppo non mancheranno nel nostro futuro. Le risorse del MES possono tornare utili per un progetto simile. La compartecipazione del Ministero della Salute in questa nuova struttura dell’Inail, intrinsecamente connessa con le politiche della Prevenzione, ne garantirebbe il dialogo e la compenetrazione con la totalità del sistema sanitario nazionale.

Il mondo del lavoro, unitamente ai contributi delle specializzazioni mediche, deve essere capace di indicare le linee strategiche della sanità nazionale e la Prevenzione, stella polare della medicina pubblica e non profittevole, può e deve essere rilanciata e deve poter disporre di una rete capillare di monitoraggio sul territorio composto da epidemiologi, medici del lavoro e medici di base.                                                    L’esatto contrario di quanto avvenuto negli ultimi 30 anni. 

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