È una bella giornata ad Al Arish. I partecipanti alla Carovana Solidale si muovono al ritmo del risveglio di una giornata di mare fra reciproche domande se veramente i rumori sordi della notte fossero bombe. Uno di questi ha fatto tremare i vetri delle nostre stanze rendendo pleonastico il senso delle domande, ma risaltandone la funzione scaramantica. D’altronde fra noi, generazione di dimentichi privilegiati, pochi hanno avuto la ventura nella propria vita di sentire e riconoscere il rumore delle bombe.
La strada verso il valico è quasi completamente fiancheggiata da un alto muro di cemento, posto, dicono, ad eventuale difesa del confine. Il dispiegarsi continuo dei blocchi di cemento e la vicinanza con la strada carrabile trasmettono un’immediata sensazione di oppressione costringendo il nostro sguardo a spostarsi e perdersi nel paesaggio parzialmente antropizzato del deserto del Sinai. Attraversata la parte egiziana della città di Rafah che, come noi, si sta lentamente svegliando, percorriamo, scortati, il lungo rettilineo che conduce al valico.
A differenza della strada che porta a Rafah, nessun controllo ulteriore, come se non fosse più necessario controllare l’ampia strada che va verso il nulla. Il Valico di Rafah è uno dei soli 3 passaggi nella barriera che delimita la Striscia di Gaza. Un tempo da questi passavano gli approvvigionamenti per garantire vita, attività produttive e commerci degli oltre due milioni di abitanti. Di quei movimenti restano, oggi, solo ampi spazi vuoti e i ricordi di chi anche solo un anno fa ha potuto arrivare al Varco.
Al valico oltre i militari ci accolgono schierati gli operatori della mezza luna rossa e i sanitari addetti al servizio ambulanze. Continuano a ripetere che loro sarebbero pronti da subito a far partire le miglia di metri cubi di aiuti fermi nelle warehouse e a descrivere le procedure di accoglienza e assistenza dei malati e feriti che potessero uscire dal valico. Mentre ci parlano e giriamo smarriti nel piazzale vuoto davanti alla porta del valico, risuonano in maniera irregolare ma continua i boati dei bombardamenti che martellano il sud della Striscia, ad Al Mawasi, Khan Yunis… Un’area ristretta dove si dice che il governo israeliano vorrebbe concentrare gran parte degli abitanti di un territorio che nella dimensione ordinaria di 360 kmq era già fra le più densamente abitate al mondo.
Lasciare il valico alla sua vacuità trasmette forte la sensazione di estremo saluto e quella vacuità diventa sensazione di inutilità, frustrazione, rabbia. Una vacuità che ti invade, ti svuota e ti lascia senza parole.
Il valico è un’alternanza di vuoto e pieno. Alla sensazione di “vuoto”, fisico e di senso, che trasmette la porta di quello che sembra ormai essere un mausoleo, fanno da contraltare decine di migliaia di metri cubi di aiuti, stoccati a deperire sotto il sole mediorientale. Si dice che siano almeno 120.000 i metri cubi di aiuti accumulati, la distanza fra Torino e Milano, in attesa che sia troppo tardi per essere di una qualche utilità.
In questi spazi le linee rette che definiscono confini, strade, norme sono anche il contraltare di quello che è il groviglio di Gaza. Un groviglio in cui ci si perde e ci si ingarbuglia proprio come il popolo ebraico in uscita dall’Egitto.
Gaza è l’umanità che si sgretola; la vendetta che diventa principio; il diritto che diventa arbitrio; la ragione che lascia spazio all’opportunismo; tomba del nostro ordinamento internazionale; è la sensazione di quanti si svegliano spaventati dalla ripugnanza della propria inutilità. Ma Gaza è anche chi prova a rompere il silenzio e dare speranza a chi la sta perdendo; chi contesta e si dissocia dai terroristi di Hamas; sono i disertori israeliani; gli israeliani che da mesi chiedono la fine delle ostilità con il rientro degli ostaggi; sono le esperienze di riconciliazione che vanno avanti nonostante tutto; è la Corte di Giustizia Penale Internazionale che lentamente prosegue il suo lavoro. Gaza è Luisa Morgantini che ad 84 anni ti dice che è contenta di ritrovarti qui e che non bisogna smettere di raccontare, denunciare e sostenere chi vuole terra e libertà per tutti.
*Presidente IPSIA (Istituto Pace Sviluppo Innovazione Acli)