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Il lavoro agile nella Pa deve modificare i contratti*

È fuor di dubbio che il livello molto alto di persone collocate in smart working, per necessità di contenimento della diffusione della epidemia, ha determinato una rottura con il passato, modificando completamente il tradizionale modo di concepire il lavoro soprattutto nella Pubblica amministrazione. L’auspicio è che non si disperdano le esperienze, come quella del lavoro agile, che possono realmente contribuire a spingere finalmente la Pubblica amministrazione verso i lidi della innovazione e della modernità.

Il lavoro agile è una sfida che non può avere il carattere della straordinarietà. Sfruttare questa occasione per portare a sistema questa modalità di lavoro non è solo un intervento che va nella direzione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nella Pa (come auspicato dall’articolo 14 della legge 124/2015), ma è soprattutto il modo più moderno, attuale e innovativo di garantire ai cittadini e alle imprese l’erogazione di servizi in modalità digitale, riducendo la necessità dell’accesso fisico agli uffici pubblici. Solo così potremo modificare il rapporto tra cittadino e Pubblica amministrazione.

Mauro Minenna di Aci Informatica, nel roadshow del Gruppo 24 Ore dedicato all’innovazione, ha utilizzato un’immagine molto eloquente del rapporto tra cittadino e Pubblica amministrazione: il «suddito camminatore».

È un’immagine tanto suggestiva quanto, purtroppo, reale.

Le peripatetiche peripezie del cittadino costretto nella sua condizione di sudditanza sono quotidiane. Per poter completare una pratica o pagare un tributo è costretto a fare spola tra i vari uffici delle Pa con la continua richiesta di fornire ripetutamente le stesse informazioni che lo Stato, peraltro, già conosce.

In questo contesto, lo smart working può finalmente e compiutamente realizzare quel processo di semplificazione e sburocratizzazione che ha vissuto nel nostro Paese fasi alterne a partire dal 1997 e che, purtroppo, non si è mai concretamente concluso.

La ministra della Funzione Pubblica, anche per la sensibilità politica su certi temi, ha una grande occasione che le viene offerta dal momento emergenziale, cioè quella di provare a valorizzare l’esperienza vissuta in questi due mesi, in modo un po’ affrettato e disorganizzato, per metterla a sistema, per cambiare la modalità prevalente di effettuare la prestazione lavorativa da parte del dipendente della Pa. Solo così si potrà tentare di realizzare pienamente la cittadinanza digitale.

Per sistematizzare lo smart working è necessario superare dunque il principio per cui la produttività è commisurata alle ore lavorate, è necessario rivedere i contratti collettivi nazionali ed è, soprattutto, necessario adottare delle iniziative che accompagnino progressivamente il lavoratore a sentirsi protagonista dell’innovazione.

Sostanzialmente, al cambiamento deve corrispondere anche un approccio culturale diverso: l’innovazione non è il trattamento di favore al dipendente ma un processo di ottimizzazione, attraverso il miglioramento dei tempi famiglia/lavoro del dipendente, dei servizi erogati da quest’ultimo in favore del cittadino.

In questo percorso, ovviamente, sarà importante anche il ruolo della parte sindacale che non potrà non essere coinvolta nell’innovazione e che dovrà dimostrare di essere all’altezza della sfida. La modernizzazione e la semplificazione della amministrazione pubblica passa anche attraverso un processo di riforma del “back office”. Per esempio, è indispensabile, se vogliamo stare al passo con i tempi, rivedere profondamente la filiera della contrattazione collettiva. Non è possibile che vengano firmati contratti che, al momento della stessa sottoscrizione, sono già formalmente scaduti.

È opportuno, se vogliamo che dal guasto (pandemia) nasca l’aggiusto (modernizzazione) ragionare su questi temi, evitando però di istituire l’ennesima task force perché proprio la proliferazione di strutture straordinarie è il segnale che si sta andando nella direzione opposta. Laddove il contrario di semplificare è ingarbugliare, complicare, impasticciare. E questo il nostro Paese non può più permetterselo.

 

(*) da Il Sole 24 Ore, 04/05/2020

(**) L’autore è componente del comitato di indirizzo e controllo dell’Aran 

 

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