Il lavoro è la grande categoria con la quale sono state costruite antropologia e storia, gerarchie sociali e organizzazioni politiche, proprietà, produzione e distribuzione della ricchezza.
Oggi, volendo e dovendo tornare a costruire una cultura della qualità, si pone la necessità di ridefinire sia i valori culturali del lavoro sia i processi per la produzione delle merci.
Nell’ultimo secolo della modernità ha vinto nella formazione dei processi la cultura del taylorismo, dettando i tempi del lavoro, della produttività, delle specializzazioni e della separazione dei saperi. I risultati sono stati da un lato quello per cui la società ha potuto disporre di prodotti senza qualità, e dall’altro l’inizio di un progresso rapidissimo delle tecnologie che sta provando a sostituirsi sia alla coscienza critica del sapere sia al valore dello sviluppo come complessità del sistema dei saperie delle azioni.
Ancora oggi, almeno nei paesi del G20, il lavoro che si privilegia è quello che deve realizzare volumi ed eccedenze di prodotti che poi saranno svenduti nei Paesi Poveri fino a raggiungere enormi quantità di merci inutilizzabili che a loro volta trasformano troppi luoghi di terra e di mare in discariche a cielo aperto.
Per noi dell’Atelier il lavoro è una delle categorie fondamentali da definire nella struttura e nella forma per attuare processi virtuosi che portino alla sostenibilità dello sviluppo; è una categoria da studiare e verificare quando, nei casi di studio, dovremo intraprendere una politica attuativa del lavoro per produrre qualità, siano esse alimentari, urbane, ambientali.
Nello sviluppo sostenibile, ed è per questo che lo trattiamo come termine necessario per la ridefinizione dei paradigmi progettuali, il lavoro è una categoria generale non semplificabile nella sua sola variabile occupazionale ed economica; il lavoro misura la società e la sua cultura, nei rapporti sociali e individuali con il mondo.
Il lavoro si pone come sintesi del valore culturale di una società e ne disegna la storia; se saranno attuati i cambiamenti di cui necessitano la natura e la società, sarà ancora una volta la categoria sulla quale potremo far camminare il nuovo modello di sviluppo.
Un sussurro dell’utopia? Forse sì, ma se non lo ascoltiamo rischiamo grosso.
Il lavoro si pone quindi, anche nei nostri studi e nei processi progettati, come categoria generale; è con il lavoro, con la realizzazione di processi produttivi idonei e virtuosi, che i cittadini, superando tradizioni e “comodità” di alcuni, possono partecipare alla costruzione di un mondo costruito sulla sostenibilità dei processi produttivi e di alterazione degli ecosistemi.
Il Lavoro non è solo una richiesta sociale,non può essere ridotto a sola domanda; il lavoro è la categoria del governo sociale, ed è in questo suo governo che deve partecipare alla governance dei processi.
Il lavoro è un’azione partecipativa e attuativa della cultura, ne costruisce i paradigmi e ne realizza i processi. Legato Indissolubilmente al “modello di sviluppo” in essere in una società, contribuisce, con le sue componenti culturali, progettuali e attuative, a definirlo e realizzarlo con tutti i soggetti in grado di promuoverlo e attuarlo.
Il lavoro, per lo sviluppo sostenibile, dovrà essere il frutto di un’azione culturale, plurale e collettiva, capace di delineare i tratti dello sviluppo; è la matrice del grande laboratorio della creatività delle persone e delle loro passioni per il sapere, il saper fare, il saper divenire.
Anche oggi, nel tempo minimo di osservazione degli ultimi decenni, dobbiamo affermare che sono le categorie della cultura e del lavoro che ci permettono di analizzare con quale visione storica, con quale produzione e distribuzione sociale della ricchezza, e quindi con quali lavori, abbiamo messo in essere i processi conosciuti, e come possiamo mettere in essere l’uscita dalla crisi economica e di modello.
Anche per questo lavoro di conoscenza le cose da fare sono molte e vi debbono partecipare la società civile e i sistemi produttivi, le Università, e i centri di ricerca e di formazione con tutto il bagaglio delle loro conoscenze e la sapienza delle loro azioni.
Dobbiamo progettare, attuare e gestire il nuovo mondo dello sviluppo sostenibile, la progettazione delle trasformazioni in armonia con i tempi biologici per il benessere ambientale, e la modificazione del rapporto spazio-tempo che l’informatica propone e impone nel dettato del quotidiano umano e produttivo.
Da una prima analisi delle reazioni sociali sembra che ci sia più attrazione per il recupero che non per il cambiamento; eppure i minus ambientali, sociali ed economici sono sotto gli occhi di tutti e tutti ne stiamo soffrendo.
In molti studi leggiamo che l’era attuale sarà chiamata antropocene poiché la soggettività delle azioni di trasformazione imposte dall’uomo continua a produrre variazioni e alterazioni degli ecosistemi con tempi storici dissonanti dai tempi biologici necessari all’ecosistema Terra per ri–formare i suoi equilibri in continuità e non in conflitto con quelli precedenti. I nuovi equilibri prodotti spesso entrano in conflitto con gli assetti raggiunti dalle specie perché difformi dal loro lento processo di evoluzione e adattamento realizzatosi nei tempi biologici necessari.
Tutto si può adattare, correggere e, per quanto possibile, mutare ma è necessario seguire dottrine di sostenibilità formate sullo studio dei tempi biologici dei processi naturali.
Fino ad ora i segnali non sono positivi. La corsa alla legittimazione del presente è superiore alle richieste di modificazioni e cambiamenti per il futuro.
Eppure dobbiamo passare dall’energia da fonti fossili a quella da fonti rinnovabili, da città che disperdono energia, tempo e prodotti a città con consumi ecologicamente ed economicamente sostenibili riducendo (tra l’altro) la mobilità delle merci e del lavoro, utilizzando i vantaggi del nuovo rapporto spazio-tempo così come possibile con il progresso tecnologico. È anche per questo che il lavoro futuro deve impegnarsi a modificare modi e rapporti di produzione.
Ma quale lavoro? Proviamo a fare un breve elenco.
Cultura e quindi lavoro nella ricerca, educazione e formazione.
Qui i parametri si ampliano perché è proprio il mondo della cultura e della ricerca che deve essere protagonista del passaggio dallo sviluppo insostenibile a quello sostenibile.
Bisogna ridisegnare le reti di produzione e distribuzione energetica e, in questo ridisegno, riprogettare i sistemi urbani con le loro tipologie residenziali, i loro apparati produttivi e distributivi, i modi di produzione e di consumo delle merci, l’economia circolare.
Bisogna progettare la rete dei corridoi e dei nodi biologici, la permeabilità e la salubrità della litosfera per diminuire la produzione di CO2, produrre beni e non scarti di polluzione, ripensare la produzione di energie alimentari nelle quantità, qualità e sostenibilità ambientale, e porre finalmente attenzione ai processi di fotosintesi clorofilliana con un vasto piano di forestazione e di mantenimento del verde nella litosfera.
Gli ecosistemi vanno monitorati e per questo vanno costruiti Sistemi Informativi Territoriali capaci di portare a tutti la conoscenza di ciò che sta succedendo e di cosa potrà succedere in seguito alle trasformazioni richieste dalla società.
Senza conoscenza sociale e diffusa non può esserci partecipazione e senza partecipazione non può esserci sviluppo locale equo e solidale, bilanciato sui valori ambientali e sul ben-essere dei cittadini.
E ancora, non può esserci un rapporto virtuoso tra locale e globale, tra mercati interni e domanda generale, tra uso dei patrimoni locali e domanda globale senza applicare i paradigmi della sostenibilità dello sviluppo.
L’impronta ecologica va misurata, e per questo serve costruire Sistemi Informativi Territoriali capaci di leggere la salubrità degli ecosistemi e di valutarla quando vengono proposte variazioni e trasformazioni.
Il mondo della formazione (professionale, scientifica e fattuale) ha di fronte a sé praterie smisurate nelle quali ridisegnare il mondo del lavoro fino ad oggi impegnato nello sviluppo insostenibile; dobbiamo ridisegnare arti e mestieri per costruire il mondo del lavoro per lo sviluppo sostenibile.
Purtroppo stiamo perdendo tempo. Sono state sprecate molte occasioni (lockdown e lunghi periodi di cassa integrazione) in cui iniziare il percorso nella coscienza che il passaggio dallo sviluppo insostenibile a quello sostenibile non è possibile senza azioni culturali, formative e sociali.
Il mondo della produzione materiale delle merci (fabbrica, artigianato, agricoltura) e dei servizi privati e amministrativi deve essere ridefinito secondo i paradigmi dello sviluppo sostenibile, nei suoi modi di produzione e nei tempi di lavoro.
In questa fase di cambiamento dobbiamo pensare anche a soggetti imprenditoriali e gestionali nuovi come l’imprenditore collettivo e la gestione di processi, integrazioni e mercati con le piattaforme digitali. Se l’economia circolare sarà attenta ad annullare le voci spese, residui, inquinamento ecc. dai processi, una grande parte dell’economia d’area, che dell’economia circolare è l’ambito territoriale di riferimento, non potrà che essere gestita da piattaforme digitali idonee a legare al di fuori del rapporto spazio-tempo finora conosciuto le integrazioni produttive tra settori e tra prodotti.
Non è solo un problema di tecnologie: quello che serve è un mondo del lavoro formato su questi nuovi paradigmi e processi.
Formarsi! È questo l’imperativo a cui gran parte del mondo del lavoro esistente (progettuale e attuativo) deve rivolgersi per attuarlo.
Pensiamo ai processi legati alle produzioni di alimenti; oggi sono esercitati in luoghi e con metodi tra i più inquinanti e spesso formano prodotti sempre meno idonei a soddisfare parametri energetici, salutari e organolettici che siano almeno soddisfacenti.
E i servizi, le amministrazioni, la burocrazia? È un capitolo lungo ma non può non essere riportato nel grande alveo della formazione e di una cultura che si faccia carico del valore del servizio.
Infine abbiamo il mondo dell’educazione,che ha due compiti enormi: educare la società al valore della sostenibilità ambientale dei processi umani, ai valori ecologici e dell’equilibrio e a considerare l’uomo come faber ma con enormi doveri verso se stesso.
Nel nostro specifico, partiamo da un dato: in Italia abbiamo più di 12.000.000 di edifici residenziali con valori medi di 4,83 residenti per edificio. La sola riqualificazione urbana quante forme di risparmio sociale e individuale produrrebbe per la salute? quale miglioramento della qualità di vita quotidiana? quante attività di progettazione, ricerca e cultura nella ridefinizione del modello urbano?
Ma i campi di riqualificazione dell’esistente sono molteplici e vanno dalla mobilità alla riorganizzazione del sistema residenza-lavoro, alla riorganizzazione del sistema agricolo e di quello produttivo.
Non parliamo poi dei territori periferici e delle aree interne. Bisogna ricostruire i sistemi boschivi e l’intero sistema del verde, il patrimonio faunistico e floristico, ripensare l’uso del patrimonio residenziale non più ad uso esclusivo dei residenti stabili ma anche dei nuovi residenti temporanei per lavoro e studio oltre che per svago.
Non è poi così difficile ri-organizzare noi stessi e la società per rendere confortevoli e più economiche le nostre città e in queste le nostre abitazioni e i nostri luoghi di lavoro?
Si dirà: bene, ma come? È vero che siamo nella società dello spreco ma nella mia lunga permanenza nelle facoltà di Architettura ho visto tanti progetti su questi temi, che un decimo basterebbe per coprire l’intero territorio nazionale. Negli ultimi decenni gli ex studenti, oggi professionisti, si sono formati su questi temi e se non riescono ad esprimere la loro cultura e le loro competenze è perché siamo in balìa di un mercato miope capace di vedere e proporre solo il dejà vu, perché le disponibilità imprenditoriali e amministrative sono inadeguate, perché mercato nero e corruzione sono ancora protagonisti o forti comprimari.
Qualità, riqualificazione, qualificazione devono diventare anche il dettato della Pubblica Amministrazione.
Per la società serve un grande piano del lavoro che non si limiti ad essere solo un piano per l’occupazione. Abbiamo detto come lavoro sia un termine che comprende il concetto e il valore dell’occupazione ma implica i valori sociali, la cultura, la formazione culturale e professionale, la ricerca, l’innovazione, la sua distribuzione territoriale e di genere, nonché la formazione e distribuzione dei salari e dei redditi; in sintesi la formazione e distribuzione della ricchezza culturale ed economica.
*stralcio dal libro “Tempi storici in armonia con i tempi biologici”, Ed. Atelier dell’abitare L’Ecosistema, 2025