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Il lavoro di oggi e la politica di ieri

Il quadro della situazione del lavoro nel nostro Paese si presenta sotto il segno di una duplice contraddizione. Da un punto di vista più generale sta prendendo corpo la contraddizione tra le enormi potenzialità di innovazione e di crescita qualitativa e quantitativa del lavoro dietro la spinta della tecnologia digitale e dell’Intelligenza Artificiale, e i ritardi della loro applicazione nel nostro Paese. 

Manca, in tale ambito, una adeguata politica di ricerca, di innovazione e di formazione del fattore umano a sostegno della gestione dei diversi problemi che nascono nella fase di applicazione di tali tecnologie per cui il pericolo che l’effetto prevalente sia una sorta di dittatura dell’algoritmo è tutt’altro che scongiurato. Dall’altro la contraddizione recente tra la necessità di un governo innovativo delle forme di lavoro anche più tradizionali, sottoposte a una serie di cambiamenti regressivi, specie a partire dalla diffusione del Covid, e i limiti di strategia e di intervento diretto da parte del sistema di relazioni industriali e della politica. 

Il ruolo attuale del sindacato italiano, presenta problemi complessi, politici e strutturali, che richiedono un esame particolare da approfondire in un’altra occasione, per cui mi concentro sul ruolo della politica, del governo e dell’opposizione. Il governo di destra in materia di lavoro si esalta nell’illustrare l’aumento dei posti di lavoro che sarebbero il frutto della sua buona politica, senza approfondire la realtà dei fatti. In buona parte, tale aumento rimane frutto di un eccesso di flessibilità sregolata del lavoro per cui la crescita degli occupati coincide con la riduzione delle ore lavorate e condizioni di lavoro e di salario insoddisfacenti. A causa degli evidenti limiti di cultura del lavoro della sua classe dirigente, questo governo affronta i problemi del lavoro come può, e in gran parte tramite interventi esterni al rapporto di lavoro mediante bonus e aiuti di vario genere che cercano di mitigare gli aspetti più negativi della condizione lavorativa. 

In generale si cerca di difendere il potere d’acquisto dei salari con la riforma del cuneo fiscale e qualche riduzione dell’Irpef per i redditi più bassi, di combattere le forme più gravi di sfruttamento come il caporalato in agricoltura, senza rinunciare alla scelta demagogica di voler anticipare il pensionamento di alcune categorie, nonostante i limiti di bilancio derivante dall’enorme peso del debito pubblico che naviga oltre il 135%. Mancano inoltre gran parte degli interventi di carattere strutturale, relativi a ricerca, innovazione, investimenti, formazione che risultano determinanti per la crescita della qualità e della produttività del lavoro.  In tal modo non si riesce a governare, anche per errori e ritardi della politica industriale, settori storicamente trainanti del nostro sviluppo industriale come quello dell’auto, oggi in difficoltà grazie anche alle posizioni del governo, di segno antiambientalista, a livello europeo. Infine, lo stesso doveroso, anche se ritardato, intervento teso a rendere più sicuro il lavoro è diventato occasione per aumentare la repressione delle manifestazioni di strada e l’occupazione abusiva di case. 

Il quadro delle misure dell’opposizione, benché di segno diverso, non determina effetti granché alternativi nella tutela complessiva del lavoro. Il M5S, in coerenza con la sua identità populista, si è affidato a misure di crescita economica come il Superbonus, e di tutela del reddito come il Reddito di cittadinanza, con effetti del tutto incontrollati sulla spesa pubblica. Più articolata ma strategicamente debole è la linea del Pd per il quale la tutela del lavoro è inserita come uno dei cinque punti in cui si articola la sua strategia alternativa al governo, proposta di recente (sanità pubblica, istruzione e ricerca, lavoro e salari, politica industriale per la conversione ecologica, diritti sociali e civili). Mentre la rilevanza dei temi è ridimensionata dai limiti delle richieste. Sul punto specifico del lavoro gli obiettivi rimangono il salario minimo, la crescita contrattuale del salario, la riduzione dell’orario di lavoro, più investimenti nella sicurezza del lavoro. Un insieme di misure necessarie in un contesto strategicamente limitato. 

Nel complesso, pur rilevando la direzione contrapposta degli obiettivi del Pd rispetto a quelli del governo, rimane per entrambi una distanza enorme da una strategia di intervento adeguata alla profonda trasformazione del lavoro di oggi.  La politica nel suo complesso si rivela incapace di una proposta idonea ad affrontare adeguatamente le novità impressionati che stanno rivoluzionando il lavoro e la sua collocazione nella società. Perdurando tale situazione è lecito attendersi effetti non positivi per la stessa nostra democrazia.

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