E’ la terza edizione del Rapporto sul lavoro domestico quella presentata ad inizi aprile dall’Osservatorio di Domina, associazione dei datori del lavoro domestico.
La dimensione quantitativa e qualitativa riferita al 2020, sulla quale ci soffermeremo, è integrata da interessanti contenuti che ricostruisconoil profilo storico del settore, sia da un punto di vista associativo che giuridico e le tappe fondamentali del percorso di legittimazione giuridica progressivamente acquisita come area economico sociale e legislazione di sostegno[i].
Viene infatti menzionato l’evolversi della progressiva costituzione dell’associazionismo di rappresentanza delle parti: datori di lavoro e lavoratrici, propedeutico al reciproco riconoscimento contrattuale e alsuo progressivo arricchimento, nella componente associativa (il pluralismo della rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori) e nei contenuti, ispirati ad un modello partecipativo ( gli istituti contrattuali riferiti al rapporto di lavoro, alla bilateralità, al welfare contrattuale). Ma anche l’attuale elaborazione congiunta di una piattaforma[ii] da sostenere nei confronti dell’attore pubblico (stato, regioni) per rendere sempre più dignitoso, trasparenteericonoscibile il lavoro domestico nei confronti di altre aree produttive[iii].E al fine di rendere sostenibili i contenuti della piattaforma vengono evidenziate le stesse ricadute economiche e fiscali delle proposte formulate.
Non manca, altresì, nel Rapporto il riferimento all’evoluzione europea del lavoro domestico e una valutazione riferita all’applicazione della Convenzione OIL n. 189 “sul lavoro dignitoso perle lavoratrici e i lavoratori domestici”.
Quanto mai opportuno è richiamare l’attenzione,soprattutto dell’insieme degli operatori politici, ad un settore che contribuisce in maniera significativa in ambito occupazionale, nell’inclusione e nel welfare.
Infatti notevole è il suo apporto all’occupazione femminile, per cui impiega la quota maggiore tra tutti i settori produttivi, anche se, pur nel contrasto al lavoro irregolare, in termini non stabili e regolari; significativo il ruolo nell’inclusione dei migranti, in termini occupazionali ma anche per la quota di housingdiretto propria di alcune forme di badantato; il contributo al welfare nelsostegno, con il lavoro di cura, all’invecchiamento della popolazione, anche con il mantenimento degli anziani nella propria abitazione; il sostegno alla natalità con le forme di babysitting,in sostegno di genitori- soprattutto le madri-nel mantenimento dell’impiego.
E le prospettive demografiche nazionali a medio periodo vedono la crescita del fabbisogno di servizi di cura contestuale alla necessità di apporto del lavoro dei migranti.
2. QUALE LA DIMENSIONE DEL LAVORO DOMESTICO IN ITALIA
Il lavoro dipendente.
Il numero di lavoratori domestici in Italia nel 2020 secondo i dati INPS (quindi regolarizzati) ammonta a 920.722. Rispetto all’anno precedente si è registrato un incremento del 7,5%, dopo la progressiva diminuzione a partire dal 2013. Per area geografica maggior presenza nel Nord Ovest e Centro[iv]. L’incremento è messo in relazione alla sanatoria e agli interventi relativi ai vincoli introdotti dai provvedimenti anti pandemia che hanno spinto per la regolarizzazione del lavoro di cura.
In maggioranza si tratta di colf ( 52,3%) rispetto a badanti (47,5%). In netta prevalenza le donne (87,6%). La classe d’età prevalente è 50-59 anni (34%) seguita da 40-49 anni (26,6%).L’impegno in orario settimanale prevalente è di 20-29 ore (32,7 %) seguito da 40 e oltre (21,5%). Rilevante è la quota sotto le 20 ore settimanali[v]. Il frazionamento dell’orario settimanale corrisponde in parte al diverso fabbisogno quantitativo di prestazione da parte delle famiglie e degli assistiti, in parte alla esistenza di rapporti grigi, caratterizzati da quote regolari-irregolari con lo stesso datore di lavoro.
La distribuzione delle 73.666 badanti è maggioritaria in Lombardia seguita dall’Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Le 481.697 colf sono prevalenti il Lombardia, seguita da Lazio, Piemonte Toscana, Veneto[vi]
Sono lavoratrici/lavoratori di prevalente nazionalità straniera (68,8%) rispetto agli italiani (31,2%) provenienti, con percentuali a scalare, da Romania, Ucraina, Filippine, Moldavia, Perù. La prevalenza di stranieri, oltre per i motivi di limitato appeal del lavoro di cura, non si riscontra in alcune regioni (Sardegna, Molise, Puglia, Basilicata) caratterizzate in generale da limitate esperienze di immigrazione.
Nel Rapporto viene effettuata una stima di un milione e cento persone impegnate nel lavoro domestico irregolare. Traendo la conclusione di oltre due milioni di addetti nel settore[vii].
I datori di Lavoro
Nel lavoro di cura sono le famiglie che si comportano in larga parte come datori di lavoro, pur nella specifica formalizzazione contrattuale delle singole persone fisiche. Queste risultano essere nel 2020, per i rapporti regolari, 992.587, con un incremento sull’anno precedente dell’8,5%. Significa che abbiamo in media108datori di lavoro ogni 100 lavoratori ( le prestazioni possono essere rese a più beneficiari). L’associazione Domina stima che, inclusi i contratti non dichiarati, il numero di datori di lavoro sale a 2,3 milioni.
Quali caratteristiche presentano i datori di lavoro? In maggioranza per profili tipici individuati si tratta di convivenze(219.784 casi), grandi invalidi (98.310 casi), parenti (19.085 casi), sacerdoti (3.501 casi), coniugi (633 casi). A questi si aggiungono, per un totale di 1,788 casi, persone giuridiche quali ad esempio le congregazioni religiose. Per classi di età evidente è la prevalenza degli ultra ottantenni( 35,9%) ma consistente la fascia sotto i 59 anni ( 31,5%)[viii].
La distribuzione regionale dei datori di lavoro vede maggioritaria la Lombardia (182.482) seguita da Lazio(161.356) e Toscana (83.266)[ix].
Il contributo al PIL
Il Rapporto si cimenta ampiamente nell’analisi del contributo fornito dal settore del lavoro domestico al PIL. Ne desume che per il 2020 questo sia stato pari a 16,2 miliardi di euro con una percentuale dell’1,1%. Nel computo della spesa delle famiglie inserisce i 7,2 miliardi del lavoro regolare (retribuzione, TFR, contributi vari) e i 7,7 della componente irregolare (solo retribuzione stimata delle badanti e colf)[x], con peso diverso tra le regioni[xi]
Il lavoro regolarefornisce in contribuzione fiscale, previdenziale e assistenziale ( per i circa 921mila addetti) una somma stimata pari a 1.531 milioni di euro[xii]
OSSERVAZIONI
Il Rapporto, oltre a presentare i dati relativi alla consistenza del settore, anche confrontato con altri ambiti produttivi di servizi, testimonia come le parti sociali stanno ponendosi il problema, non solo della valorizzazione e del contrasto al lavoro irregolare, ma anche lo sviluppo di un settore qualificato di servizi alla persona e alla famiglia.
Lo strumento congeniale messo in campo è il sistema contrattuale, attuato nei tradizionali istituti declinati allo specifico settore e arricchito di elementi di bilateralità quali Ebinconf (Osservatorio e Formazione), Cassacolf(Assistenza sanitaria integrativa), Fondo colf (per la gestione dei servizi contrattuali). Manca un sistema di incentivazione pubblica mirata alla composizione di un sistema.
L’intervento congiunto delle parti nei confronti dell’attore pubblico è quanto mai opportuno;oggi èlimitato all’acquisizione di un riconoscimento in maniera confrontata con altri settori. Non è portatore ancora di una visione e di un piano di azione per un sistema integrato dedicato ai servizi di cura e comprensivo di politiche di sviluppo occupazionale, professionale, socio sanitario, con le inevitabili articolazioni a livello nazionale, regionale e territoriale.
Alcuni componenti pur ci sono: – l’ente di formazione bilaterale, che potrebbe sviluppare programmi con finanziamento misto privato contrattuale/pubblico, ampliando i contenuti formativi anche in rapporto ai sistemi regionali di valutazione; – la propensione dell’associazionismo all’organizzazione di agenzie specializzate alla semplificazione e alla qualificazione dell’incontro domanda/offerta dei servizi alle persone in cerca di lavoro e ai datori di lavoro, da sostenere con voucher per la presa in carico e da strutturare in maniera coordinata a livello nazionale nei vari territori.
La contrattazione con la bilateralità potrebbe così cominciare a cimentarsi con una progettazione che riprenda e attui il dibattito sulle pratiche di successo di altri paesi europei, quali il modello francese. Proponendo a livello centrale all’attore pubblico la necessità di un piano pluriennale, co – programmando e co – progettando con la partecipazione di ANPAL.
L’abbattimento del costo di accesso e di fruizione del servizio da parte delle famiglie, oltre che a carico dell’erario ovvero di fondi pubblici, potrebbe essere sopportato dalla diffusione del secondo welfare: ilwelfare aziendale e territoriale ( originato dalla contrattazione o comunque da interventi dell’impresa, anche unilaterali, da cui dipendono i fruitori dei servizi,): il welfare filantropico (dalle iniziative delle fondazioni bancarie); ilwelfare di prossimità, (sostenuto dell’associazionismo del Terzo Settore, con o senza supporto degli enti locali territoriale).