La Fim è il sindacato che si è costantemente caratterizzato nel guardare con curiosità e attenzione ai cambiamenti e alle innovazioni che il lavoro sempre più comporta di per sé e per i metalmeccanici. Il futuro per noi è sempre stato un’opportunità e mai un problema.
I cambiamenti che il lavoro sta vivendo non hanno fatto altro in questi tempi che ampliarsi e assumere diverse e variegate modalità. Ci sentiamo ancora più coinvolti e impegnati, non con il vezzo dei “nuovisti”, ma con lo spirito di voler sporcarci le mani e governare le sempre più profonde implicazioni concrete per la vita delle persone che lavorano.
Se abbiamo detto che il Novecento sembra tragicamente rientrare con la guerra in questo secolo, per quanto riguarda il lavoro il Novecento ci appare come un secolo sempre più lontano.
Viviamo un tempo nuovo per il lavoro, che comporta mille contraddizioni, ma che richiede coraggio, visione e capacità di accompagnare e rappresentare i lavoratori metalmeccanici.
E’ questa l’età della “mentedopera”. Anche al più semplice lavoro operaio viene sempre più chiesto ormai di pensare e di curare qualità, risultati, miglioramenti, efficacia. Resta molto lavoro manuale nel mondo metalmeccanico e l’intelligenza delle mani è un grande valore, ma il lavoro corrisponde sempre meno a mansioni unicamente esecutive. La manodopera non basta più. I risultati, gli obiettivi, le relazioni, le competenze specifiche e trasversali contano più dei tempi e metodi. E’ per questo che da tempo la Fim più di tutti sostiene e rivendica che il valore del lavoro si sta elevando e che il riconoscimento della professionalità dei metalmeccanici non solo è tema tornato di moda, ma costituisce il futuro perno della contrattazione collettiva.
E’ questa l’età del lavoro digitale trasversale. Se industria 4.0 è stato il grande salto tecnologico di parti della manifattura, ormai quasi ogni metalmeccanico deve verificare, analizzare, rielaborare, correggere dati e informazioni dentro sistemi
informatici sempre più connessi alla macchina su cui lavora. La digitalizzazione delle attività produttive e dei servizi sta facendo passi da gigante pervasivi. Il lavoro metalmeccanico si baserà sempre più su tecnologie predittive, fino allo sbocco nella intelligenza artificiale. E’ per questo che la Fim si batte per l’alfabetizzazione digitale di ogni metalmeccanico, anche di chi ha livelli di scolarità di base non elevati. L’alfabetizzazione digitale oggi vale come la terza media che le 150 ore hanno garantito ai nostri padri. Dove sono le 150 ore di oggi? Serve, come allora una massiccia campagna di investimento sulla crescita e l’apprendimento delle persone, se vogliamo creare sicurezza sociale dentro i cambiamenti.
E’ questa l’età dei “colletti blu”, nuova figura tipica del lavoro metalmeccanico che realizza il superamento della storica separazione tra operai e impiegati che da sempre ha contraddistinto la normazione dei rapporti di lavoro e della contrattazione e che ora è rimasta valida solo ai fini contributivi Inps. I colletti bianchi e le tute blu si sono ormai fusi in una figura di lavoratore ibrida, che mescola elevate competenze tecnico- specialistiche con capacità realizzative, produttive e di lavoro in team. Sono i nuovi professionals, che svolgono lavori sempre più tecnici composti sia da competenze specialistiche che da abilità trasversali.
E’ per questo che la Fim è il sindacato che più di tutti rivendica la creazione e certificazione delle competenze per ogni lavoratore. L’abbiamo posta nella piattaforma unitaria contrattuale del 2020, non la abbiamo ancora portata a casa ma insisteremo e ce la faremo. Non si tratta di dotare ogni metalmeccanico di un pezzo di carta fonte di contenzioso con l’azienda, ma di attestare le competenze di ogni lavoratore per irrobustirle e adeguarle, attraverso percorsi formativi professionali, garantendo sia la sua migliore occupabilità dentro e fuori l’impresa che l’aumento della competitività della stessa impresa. Il Made in Germany, per cui le imprese metalmeccaniche tedesche ancora oggi vincono sui mercati mondiali, ha nell’operaio qualificato e adeguatamente formato il principale investimento che le imprese curano. Per una
volta, cari imprenditori italiani, copiare da loro è utile, facciamolo insieme qualificando ogni metalmeccanico con un “passaporto delle competenze” che conviene a tutti.
E’ questa l’età del lavoro che si può svolgere senza più un tempo e un luogo predefinito. La dura pandemia si è rivelata un grande banco di prova che ha accelerato l’adozione del lavoro agile. In due anni si è sperimentato quello che di solito sarebbe accaduto in dieci, coinvolgendo un numero importante di persone. Pur con ancora molti aspetti ambivalenti, lavorare in remoto è una tendenza da cui non si tornerà indietro e che sta stabilmente riguardando circa 500mila metalmeccanici e milioni di lavoratori italiani. Il ritmo e il perimetro di cosa è lavoro non è più scandito dal badge né dalla scrivania.
Il 7 dicembre dello scorso anno parti sociali e ministero, nello stabilire che il lavoro agile è tale in quanto svolto a prescindere dall’orario di lavoro giornaliero, hanno impresso al sistema di tutele per il lavoro una rivoluzione copernicana, mandando per questi lavoratori in soffitta il criterio della paga oraria, che da oltre un secolo costituisce il metro di misura base per remunerare con giustezza il lavoro.
Si sta spalancando nei luoghi di lavoro una nuova era del rapporto di lavoro subordinato, basato maggiormente su fiducia, responsabilità e capacità di raggiungere i risultati e non più su controllo assoluto della prestazione. Si tratta di una stagione fatta di insidie ma anche di nuove opportunità, che vedono oggi molti lavoratori rivendicare al proprio capo o nei colloqui di assunzione giornate di lavoro agile tanto quanto aumenti retributivi.
E’ la contrattazione collettiva che è chiamata a dare risposte, regole e tutele moderne. Dimenticata dalla Legge 81/2017, sancita finalmente dal protocollo con le parti sociali in materia, come sindacato abbiamo sempre creduto che l’azione della contrattazione fosse indispensabile e con soddisfazione vediamo centinaia di accordi aziendali crescere per delineare nuove condizioni capaci di affermare la volontarietà, il diritto alla disconnessione, la necessaria conciliazione tra vita e lavoro, la formazione adatta a questa nuova prestazione.
Siamo di fronte ad una fase pioneristica delle relazioni sindacali che attraverso la regolazione del lavoro agile cambierà per sempre le regole su cui si basa la prestazione di lavoro.
Manca a questa fase la definizione contrattata degli obiettivi assegnati alle persone in lavoro agile e, a proposito di lavoro giusto, della sua corretta remunerazione. Sono questi i nuovi contenuti che vogliamo contrattare d’ora in avanti per creare nuovi criteri socialmente condivisi e non unilaterali di remunerazione del lavoro in remoto.
E’ questa l’età nella quale i metalmeccanici vogliono superare lo scontro tra famiglia e lavoro. Rendere sostenibile il lavoro per la vita e i carichi di cura delle persone è il centro dei nuovi bisogni che sentiamo sempre più farsi avanti. Lo hanno detto in questa stagione congressuale molti delegati, più di quanto ci immaginavamo: in tanti ci hanno detto basta, non vogliamo più dover scegliere tra famiglia e lavoro. Sono certamente soprattutto le donne a farsi carico di questa nuova rivendicazione che la Fim vuole rendere centrale nelle proprie politiche, ma non solo: anche tra i giovani e molti lavoratori maschi la ricerca di poter equilibrare vita e lavoro sta finalmente diventando questione rilevante.
Il lavoro continua ad essere un fattore di sacrificio e impegno. Non lo dimentichiamo certo, né ignoriamo che molti metalmeccanici non sono ancora al centro di questi cambiamenti e vivono di lavoro tradizionale, nel cui ambito continuiamo a volerli tutelare. Ma sono sempre più le imprese che in nome della produttività investono in politiche per il benessere di quello che loro chiamano capitale umano. Il sindacato non può più considerare questi temi secondari, collaterali, buone pratiche da ricercare solo dove possibile e da sacrificare comunque alle politiche salariali. Conciliare vita e lavoro diventa l’asse di una nuova politica sindacale contrattuale generale, tutta da riorientare su nuove priorità e la Fim si candida ad interpretarla da protagonista e a fornire risposte concrete, come ci indica la ricerca svolta con Adapt e che oggi illustreremo.
E’ questa l’età nella quale sempre più metalmeccanici ricercano un lavoro che soddisfi e realizzi le proprie aspettative e la propria persona, non solo un lavoro per vivere. E’ una condizione nuova, che riguarda per lo più alcune fasce di lavoratori, ma che sta caratterizzando sempre più i movimenti nel mercato del lavoro. Non crediamo alla facile sociologia che si sta creando attorno al tema gonfiato delle “grandi dimissioni”. Ma non vi è dubbio che lavorare in un ambiente interessante e valido, nel quale crescere professionalmente e personalmente costituisce un fattore sempre più ambito e ricercato. E’ anche per questo fattore che le transizioni lavorative sono sempre più articolate e centrali, anche per il sindacato. Ed è per queste ragioni che la Fim è il sindacato che più di ogni altro ha spinto e spinge per un più stretto rapporto tra scuola e lavoro, che faccia dell’apprendistato duale un diritto certo, e per irrobustire l’accesso ad una formazione continua giusta per ogni lavoratore. È un diritto non più alienabile, ma soprattutto un investimento fondamentale in un Paese che continua ad essere in fondo alle classifiche europee per la qualità e la quantità della formazione continua erogata.
Sono i giovani quelli che più degli altri sono dentro questa dimensione e giustamente tendono a scappare da lavori banali e precari. Se vogliamo essere attraenti per loro con progetti di lavoro di senso e non con slogan, il sindacato deve essere protagonista della costruzione di un nuovo diritto del lavoro, basato meno sulle regole e più sui contenuti del lavoro svolto.
E’ questo un tempo nuovo per il lavoro, fatto di molteplici trasformazioni. I problemi che vivono le persone e le loro domande sono quelle di sempre. Sono le risposte che dobbiamo saper adattare in modo innovativo se vogliamo stare al passo con i cambiamenti ed essere interlocutori dei nuovi lavoratori.
Siamo sempre sicuri che le proposte che continuamente mettiamo nelle nostre piattaforme rispondono ai reali bisogni dei lavoratori di oggi, o non piuttosto alle nostre identità sindacali?
Intanto diciamoci anche che questa grande trasformazione deve ridare entusiasmo a noi sindacalisti. Smentendo tante profezie passate, il lavoro continua ad essere al centro della vita delle
persone e della società, non sarà sepolto dai consumi o dalla finanza come in passato si era profetizzato. Generarlo, promuoverlo, difenderlo e tutelarlo costituisce una avvincente sfida per noi della Fim, che ci sentiamo un sindacato di senso e non solo di mestiere.
Nella nostra “cassetta degli attrezzi” deve riprendere spazio il desiderio di fare il sindacalista, la principale riforma organizzativa di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo irrobustire e alimentare questa indispensabile dote. Avremo più giustizia sociale nel nuovo mondo del lavoro non con singole soluzioni, ma se sapremo desiderare di batterci per i nuovi bisogni che intravediamo.
Alla ricerca del lavoro giusto
“Partecipiamo per più lavoro giusto” è lo slogan con cui abbiamo voluto caratterizzare la nostra riflessione congressuale. permettono il giusto riconoscimento del valore e della dignità del lavoro. Costruire lavoro giusto è la massima sfida di questi tempi nella nostra società.
Non apparteniamo a coloro che gridano dicendo che il lavoro è stato svalutato e che la politica si dimentica del lavoro. Certo la politica si pronuncia sul lavoro spesso in modo episodico e poco legato alla visione e al ruolo delle parti sociali. Il lavoro intanto continua ad essere una esperienza centrale nella vita delle persone e nel panorama sociale e pubblico. I cambiamenti economici e tecnologici hanno scomposto in realtà le forme e i livelli di tutela del lavoro, non solo in Italia.
Ciò di cui abbiamo bisogno è quindi di una azione di “ricomposizione” attorno al lavoro, senza però pensare che il lavoro ben tutelato sia solo quello a tempo indeterminato a 40 ore settimanali.
Dare giustizia nelle regole, nelle tutele, nelle retribuzioni a tutto il lavoro per come oggi si effettua in modo assai flessibile è quanto serve alla società italiana.
La precarietà che molti lavoratori oggi vivono si supera se allargheremo le occasioni di un lavoro meglio tutelato quando è flessibile.
La Fim, puntando a creare lavoro giusto, anzitutto chiede che si investa di più in Italia per creare lavoro. I tassi di occupazione continuano, Covid o non Covid, ad essere ben inferiori a quelli di altri paesi europei. L’Europa deve essere ormai considerata non qualcosa di lontano ma fornisce gli obiettivi che dobbiamo raggiungere. Donne, giovani e Sud Italia sono i 3 fattori che stabilmente soffrono di questa debolezza strutturale del nostro mercato del lavoro. Non servono incentivi spot, servono riforme e servizi per sbloccare questa staticità cronica dei valori occupazionali.
Per la Fim il lavoro diventa giusto se è sostenibile, sia dal punto di vista ambientale, obiettivo per il quale vogliamo essere protagonisti e creativi, che dal punto di vista della sostenibilità sociale per le persone. Rendere sostenibile il lavoro per gli over 50 e gli over 60, che costituiscono una fascia crescente di lavoratori, costituisce un nuovo indispensabile impegno sindacale e contrattuale, senza pensare di doverli sempre e solo prepensionare.
Per la Fim il lavoro diventa giusto se è dignitoso, ovvero se garantisce anche alle forme più flessibili un set di tutele normative e retributive che E soprattutto il lavoro sarà dignitoso se in questo paese bandiremo le piaghe del lavoro nero, tema ormai scomparso dai radar di chi si occupa di lavoro (un fatto al quale non dobbiamo rassegnarci), e del dumping contrattuale che – ammettiamolo – avanza anche nella nostra categoria e che verrà battuto non con la presunzione ideologica di introdurre il salario minimo legale ma dando piuttosto valore legale ai trattamenti economici complessivi (il TEC del Patto per la Fabbrica) definiti in ogni settore dai CCNL siglati dalle parti sociali maggiormente rappresentative.
Il lavoro è giusto se è sicuro, sia dal punto di vista della sicurezza e salute sul lavoro che dobbiamo portare a standard più elevati non solo con più regole ma con più azione partecipativa nei luoghi di lavoro, sia dal punto di vista della sicurezza sociale e del sistema di sostegni durante e al termine dei rapporti di lavoro.
Il tasso di infortuni e di morti sul lavoro nel mondo metalmeccanico è certamente in calo rispetto a decenni fa ma è del tutto insopportabile rispetto al modo di fare impresa e alle tecnologie oggi esistenti. In azienda non possiamo più limitarci ad adempiere alle norme in materia ma dobbiamo stressare positivamente le relazioni tra le parti per abbattere del tutto i rischi di infortuni e malattie professionali.
Il lavoro diventa giusto se è inclusivo, ovvero se supera i confini tra chi è a tempo indeterminato e chi no, tra chi è occupato in attività dirette di un grande gruppo e chi in un’impresa d’appalto. Un nostro obiettivo da rilanciare è evitare che in uno stesso luogo i lavoratori siano divisi per la disparità dei trattamenti.
Il lavoro sarà giusto solo quando sarà aggredito il fenomeno del “lavoro povero” che una recente indagine ministeriale condotta brillantemente da Andrea Garnero ha analizzato. La polarizzazione del lavoro è un ulteriore fenomeno della modernità, che richiede un forte investimento pubblico e contrattuale per misure integrative che evitino la coesistenza di occupazione e condizione di povertà, un fatto per noi inaccettabile.
Il lavoro giusto non lo si raggiunge con soluzioni uguali per tutti. E’ un vecchio modo di portare avanti il sindacalismo. Significa invece dare ad ogni lavoratore certi strumenti di tutela e di promozione, facendo sì che ognuno possa qualificare il proprio lavoro a seconda delle proiezioni e dei percorsi propri, garantendo le medesime possibilità di emancipazione.
E’ per contribuire a rinnovare profondamente l’azione sindacale a tutela del lavoro che la Fim in questo percorso congressuale ha formulato un Manifesto per le transizioni lavorative.
Partiamo infatti dalla convinzione che soprattutto nel mondo metalmeccanico, in costanza di rapporto di lavoro esistono una serie di tutele importanti e concrete che permettono di rendere il lavoro dignitoso.
E’ tuttavia nelle sempre più frequenti e variegate transizioni lavorative che i lavoratori italiani sono soli e non possono godere di moderne tutele e diritti come invece, lo ribadiamo, accade ai colleghi di quasi tutti gli altri paesi europei.
La vita lavorativa è stata scandita per decenni da pochi passaggi abitudinari e standard. La vita lavorativa di oggi è molto più attraversata da momenti diversi e discontinui, che dobbiamo poter tutelare.
Le transizioni principali avvengono sia in costanza di rapporto di lavoro (quando occorre conciliare lavoro con periodi di studio, con la maternità e paternità, con i carichi di cura sia verso figli che verso genitori, ecc.) sia tra scuola e lavoro che tra lavoro e lavoro.
I metalmeccanici italiani sono soli quando devono cambiare lavoro e ricollocarsi, quando dopo un contratto a termine ne devono ricercare uno nuovo, quando dal sistema d’istruzione devono poter accedere a periodi di tirocinio o di apprendistato qualificanti e generalizzati, quando devono veder certificate le competenze acquisite, quando vogliono gestire i carichi di cura familiari, quando vogliono riqualificarsi e sviluppare il proprio percorso professionale, quando vogliono accedere ad un sistema di pensionamento flessibile che deve essere tarato sui bisogni di chi lavora.
Il sindacato non può più limitarsi a produrre tutti i propri sforzi contrattuali solo finché un lavoratore è in costanza di rapporto di lavoro, arrestando il proprio ruolo quando si è firmata una conciliazione per una buonuscita.
Guardare oltre, fornire ad ogni lavoratore più sostegni nei passaggi di miglioramento o nei momenti di bisogno non può essere una appendice da lasciare alla volontà dei singoli, deve diventare il centro di un progetto di riforme per il lavoro sia sul piano pubblico che sul piano contrattuale.
Il sindacato deve sempre più occuparsi delle persone che lavorano e non più solo dei lavoratori in modo generico, deve dare dignità e opportunità a tutti i lavori e rapporti di lavoro e non solo al contratto a tempo indeterminato, nel nome di quella nuova visione del lavoro per la quale Marco Biagi si è speso e proprio 20 anni fa ha pagato con la vita, in un Paese nel quale il lavoro è stato e ancora oggi è ostaggio e terreno di rappresentazione ideologica.
Ridare al lavoro sicurezza sociale è la missione che deve rigenerare il nostro impegno, la militanza e l’azione quotidiana di ognuno di noi. Ma le forme di questa sicurezza mutano e sta a noi essere protagonisti di un sindacalismo più creativo e innovatore, e meno nostalgico.
*stralcio dalla Relazione al XX Congresso Nazionale FIM CISL 20/21 aprile 2022 in allegatorelazione_congressonazionaletorino_benaglia 297