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Il lavoro resti stabile, l’impiego divenga flessibile

Non si può continuare a parlare della Questione del lavoro solo con riferimento agli effetti già prodotti o producibili dalla pandemia, focalizzando l’attenzione sulle durate del blocco dei licenziamenti e degli interventi di sostegno sociale di remota ideazione, quale è la CIG, e di nuovo conio, quali sono il reddito di cittadinanza e le varie forme di ristoro.

In contemporanea si discetta sui cambiamenti che le 6 Missioni del Piano (digitalizzazione, transizione ecologica, mobilità sostenibile, istruzione, inclusione/coesione, salute) tratteggiano senza che le sedi istituzionali, economiche e sociali propongano e discutano ognuna per sé e tutte insieme obiettivi di diverso periodo su cui costruire convergenze operative, sostenute ad un tempo da un grande coinvolgimento sociale.

Al punto in cui ci troviamo in Italia, il primo onere che si impone a chi ha responsabilità politiche e/o sociali è un’immediata ricognizione dello stato dell’arte, andando a verificare la natura delle tante attività in stato di stallo con lo scopo di accertare: 1. se ammortizzatori sociali e ristori economici siano distribuiti con l’indispensabile severità, 2. se non ci siano casi di mix tra fruizione dei sostegni e ripiegamento nell’area buia del lavoro nero e dell’evasione fiscale, 3. se non ci siano imprese nei più diversi comparti merceologici ormai giunte al collasso e come tali non recuperabili, 4. se non vi siano aziende in difficoltà finanziaria, ma in condizione di rimettersi in marcia con adeguati interventi pubblici parte a titolo oneroso, parte a fondo perduto, sempre e comunque a burocrazia semplificata al massimo. 

Il secondo onere è verificare una volta per tutte la effettiva legittimità di accesso al Reddito di cittadinanza dei nuclei familiari e dei singoli che ammonterebbero, a maggio scorso, rispettivamente, a 1.551.000 e a 3.500.000. Analoga verifica dovrebbe concentrarsi sul REM (reddito di emergenza), che coinvolge 628.000 nuclei familiari per un totale di 1.455.000 persone.

L’estensione delle situazioni di povertà nel nostro bel Paese è di sicuro molto elevata e non ho dubbi che la maggior parte dei percettori di misure di sostegno le meriti a pieno titolo. Non è possibile, però, ignorare che dal momento dell’istituzione di questi sussidi ad oggi sono stati tanti i casi di benificiari non aventi diritto; secondo l’ultimo rapporto della Guardia di finanza, presentato il 21 giugno scorso, avrebbero assorbito 50 milioni di euro, mentre 13 milioni sarebbero stati richiesti e non riscossi, con un’area di illegalità conclamata pari a 5868 denunce. 

In questa opera di ricognizione non sarebbe male sapere anche cosa stanno facendo i 2.980 navigator, figura ibrida di disoccupati ben pagati, assunti nel 2019, che avrebbero dovuto favorire l’impiego di altri disoccupati, ma che sono riusciti a fare ben poco; forse non tanto per loro responsabilità, quanto per dimenticanza o ignoranza di quel manipolo di neogovernanti che li aveva voluti e per la conflittualità tra Stato e Regioni.

Questa fase conoscitiva dovrebbe, secondo regole di ordinario buon senso, essere raccordata da subito con il cronoprogramma degli investimenti certi previsti dal PNRR, che sono fortemente concentrati sulle infrastrutture per la mobilità ferroviaria, stradale, portuale di persone e merci. Tutte opere che richiedono un forte impegno di manodopera (muratori, carpentieri, saldatori, gruisti, addetti a macchine movimento terra ecc.) oltre che, ovviamente e in misura molto minore, qualificati nelle discipline STIM (Scienze, Teconologia, Ingegneria, Matematica). Non dovrebbe essere difficile almeno per le opere in stato di progettazione più avanzata (penso alle linee per l’alta velocità da Napoli per Bari e per Reggio Calabria) quantificare il fabbisogno di lavoratori per qualificazione necessaria, distribuiti sull’arco temporale dall’autunno 2021 al 2026. 

Se riflettiamo sul fatto che per la ricostruzione del ponte Morandi la sola Fincantieri Infrastructure ha impegnato 800 persone e che le imprese coinvolte nella complessa operazione sono state ben 330, non ci vuol molto a dedurre che quel solo difficilissimo intervento ha coinvolto alcune migliaia di persone. Non sembra esistere alcuna difficoltà a prevedere quante e con quali competenze ne saranno impegnate per la realizzazione di reti ferroviarie di svariate centinaia di Km, tra l’altro in territori prevalentemente collinari.

Il punto di raccordo tra questi dati e le potenzialità di riscontro da parte dei soggetti pubblici o privati istituzionalmente preposti all’incontro tra domanda e offerta di lavoro potrebbe ben essere l’ANPAL, qualora fosse delegata a verificare le disponibilità professionali numericamente presenti nelle banche dati dei Centri per l’impiego e delle Agenzie per il lavoro, fornendo anche dati sui fabbisogni formativi e indirizzando al loro soddisfacimento quote degli interventi destinati a questo specifico obiettivo dai fondi in arrivo dall’Unione europea. Per altro, se le APL potessero accedere anche a risorse pubbliche, potrebbero amplificare di molto l’esperienza vissuta da oltre un ventennio attraverso il Formatemp, Ente di formazione bilaterale, che vanta notevoli successi nei processi di crescita delle competenze, tra l’altro senza gravare sulla spesa pubblica. 

Il punto critico del momento che attraversiamo è nella mancanza di certezze. E’ stato prodotto un buon Piano di ripresa e resilienza, c’è un Presidente del Consiglio autorevole e affidabile, ma c’è bisogno di una concretezza palpabile, perché il nostro Paese porta nella sua carne viva le cicatrici di antiche ferite: piani, leggi, provvedimenti formalmente ben fatti, ma rimasti nei cassetti o scarsamente e malamente applicati.

C’è necessità di sapere quando, da dove e come si parte. In assenza, è nelle cose che i cittadini si sentano disorientati e le Organizzazioni sindacali debbano far ricorso a forti mobilitazioni sociali a difesa del blocco dei licenziamenti e delle stesse misure assistenziali. 

La loro richiesta di riorganizzazione del sistema di welfare del Paese è non solo condivisibile, ma tempestiva, perché hanno la consapevolezza di dover assicurare organicità a vecchi e a recenti sostegni pubblici, che non tengono conto della lunga fase di transizione nella quale siamo entrati e che accelera la velocità della IV rivoluzione industriale, quella del digitale iniziata soltanto da qualche lustro e che traccia all’orizzonte innovazioni straordinarie, sperimentazioni, nuovi modelli organizzativi, nuovi stili di vita, per non parlare del nuovo Ordine mondiale, che sembra conservare tutto il peggio del vecchio. 

Ridisegnare il welfare è una sfida di enorme impegno, perché, se vogliamo conservare i valori non negoziabili (libertà, democrazia, uguaglianza, solidarietà), dobbiamo individuare nuovi modi di renderli fruibili.

Rifacendoci a esperienze storiche sperimentate, credo che in ogni ufficio anagrafe dei 7904 comuni italiani debba essere istituito l’albo sociale (alla stregua della vecchia leva, ma demascolinizzata e senza la finalizzazione  militare) in cui annotare dalla nascita i passaggi  di tutto il percorso di vita di ogni individuo, seguendolo nella fasi dell’infanzia, in appoggio alla famiglia, e via via nell’accesso al sapere e a tutte le opportunità utili all’acquisizione di una base culturale e civica, da integrare in successione con competenze che valorizzino le vocazioni e le indirizzino, ad un tempo, verso i saperi umanistici e verso competenze a valenza economica. 

Se la condizione di lavoratore, dipendente o autonomo che sia, è il fattore identitario di ogni essere umano, è necessario che le normative pubbliche assicurino a ciascuno percorsi e sostegni per non rimanerne escluso. 

Va in questa direzione l’istituzione, sia pure in una soluzione ponte, dell’assegno unico per le famiglie, utilissimo di sicuro se e in quanto sia il prodromo di una misura permanente e più strutturata. E qui, il suggerimento è di non lasciarsi condizionare dal provincialismo e di guardare oltre, per apprendere   con umiltà la lezione della vicina Francia che ha strutturato un sistema di sostegno alla famiglia che funziona ed è bello e pronto per essere importato, caso mai migliorandone qualche punto.  

Il reddito di cittadinanza va, invece, riservato da subito solo ed esclusivamente ai tanti nostri concittadini in età avanzata o in condizioni fisiche o mentali che non consentano di provvedere a sé stessi, non potendo svolgere alcun tipo di lavoro.

Diversa è la condizione di quanti sono in grado di svolgere un’attività lavorativa dipendente o autonoma, per i quali occorre recuperare e migliorare l’incautamente rottamato reddito di inclusione, che prevedeva sostegni economici e obblighi formativi, con verifiche e attestazioni influenti su durata, qualità ed entità dell’intervento pubblico. Il tutto affidato a soggetti pubblici per le funzioni di regolazione e controllo, a soggetti privati autorizzati per la funzione di qualificazione permanente extra scolastica ed extra universitaria e per quella di incontro tra domanda e offerta di lavoro. 

Un nuovo sistema di welfare urge oggi, perché è facile prevedere che quanto maggiore sarà il successo delle 6 Missioni del PNRR tanto più si verificherà discontinuità e/o riduzione della forza lavoro occupata e occupabile e che occorre prevedere a breve/medio termine una terapia d’urto, quale una riduzione dell’orario di lavoro, caso mai vincolandola all’obbligo di prestare quote del tempo libero in attività socialmente utili. 

Con un sistema di protezione adeguata il modello del lavoro stabile e sicuro, dalla gioventù al pensionamento, perde buona parte della sua sacralità; il lavoro resta stabile in quanto protetto, ma l’impiego diviene flessibile. 

Non c’è affatto l’abbandono dei lavoratori dipendenti all’incertezza, ma una rielaborazione del concetto stesso di stabilità, traducendolo in un sistema regolato da una legge di inquadramento e arricchito da interventi contrattuali che integrino periodi d’impiego più o meno lunghi, formazione per l’accrescimento delle competenze, continuità economica nelle fasi di fermo, il tutto sostenuto da Enti bilaterali con il supporto, oggi del tutto mancante, di risorse pubbliche. 

In Italia esistono da anni buone pratiche che andrebbero assunte come riferimento; penso alla Cassa edile e al Sistema della somministrazione di lavoro. Quest’ultimo continua ad essere considerato per ignoranza e pigrizia una sorta di male inguaribile, nonostante abbia prodotto, sempre attraverso negoziazioni tra le rappresentanze delle Agenzie per il lavoro e le Organizzazioni sindacali, un modello di flexsecurity che non esiste in alcun altro Paese al mondo.   

Al processo di ricostruzione della fiducia tra cittadini e istituzioni, in aggiunta ai due già tratteggiati (cronoprogramma degli investimenti infrastrutturali e posti di lavoro producibili in fase di attuazione; ridefinizione del sistema di welfare), accenno ad un terzo: la necessità di misure specifiche a supporto delle reti d’imprese e dei distretti produttivi territoriali, che hanno rappresentato i contenitori informali e formali delle eccellenze produttive del nostro Paese sia nei segmenti tradizionali (abbigliamento, accessori per la casa, rubinetteria, ceramica ecc.) che nei segmenti innovativi (macchine CNC, componentistica aeronautica e spaziale, disegnazione 3D, ideazione e utilizzo nuovi materiali ecc.). 

La ricca presenza sul territorio nazionale di Piccole e Medie Imprese deve essere sostenuta in tutti i modi possibili e deve essere attivata una linea di sostegno alla loro nascita. Servono sostegni economici diretti, semplificazioni amministrative, accesso protetto al credito, sostegni alla collaborazione con le scuole superiori e le Università. 

Nel 2013, il fisico Chris Anderson diede alle stampe un saggio di fondamentale importanza Makers – Il ritorno dei produttori, in cui si analizzavano le potenzialità del 3D e l’opportunità che offriva di semplificare l’ideazione e la produzione di beni con caratteristiche alternative a quelle sempre più ripetitive e prive d’anima figlie delle grandi produzioni di massa; e pronosticava che presto sarebbe subentrata la noia e il rigetto da parte dei consumatori occidentali. Ragionando su questa prospettiva, giungeva alla conclusione di prevedere un nuovo rinascimento per i Paesi europei e in particolare per l’Italia. Ritengo che avesse ragione; peccato che il 3D almeno in Italia era una rarità finanche nelle facoltà di ingegneria dell’epoca. Peccato che non c’era e non ci sia neanche nel modo nostrano di interpretare il New Generation EU un sostegno effettivo all’innovazione, tenuto conto che nelle regioni del Mezzogiorno, dove se ne avverte fortemente l’esigenza, si scommette ancora su investimenti di alcune decine di migliaia di Euro, quali quelli erogati con i programmi Resto al Sud e Banca delle terre abbandonate.

 

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