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Lavoro, oltre l’ incastro tra individuale e collettivo

La storia che in vari decenni ha portato conquiste e diritti nel mondo del lavoro è una storia totalmente collettiva. Da quando i lavoratori si sono fatti “classe”, prima in fabbrica, e poi nella società, il mondo del lavoro ha saputo affermare diritti e condizioni prima impensabili e sensibili miglioramenti nelle condizioni salariali e di vita.
Il sindacalismo degli anni ’60 e ’70, che abbiamo mitizzato ma che non aveva certo condizioni organizzative forti come quelle di oggi, ha saputo tuttavia innescare la scintilla della condizione collettiva che gli operai vivevano nelle fabbriche.
Portando democrazia nelle fabbriche, è stato così possibile “accendere” la condizione solidale e generale che il mondo del lavoro scopriva e su cui contava. Il sindacato ha vinto prima e al di là dei ccnl rinnovati o delle riforme ottenute, dando spessore, voce e rilevanza al fatto che milioni di lavoratori vedevano solo nella dimensione collettiva la possibilità di emanciparsi e di migliorare le proprie condizioni.
A che punto siamo, negli anni ’20 del nuovo secolo, nel rapporto tra “noi” e “io” nel mondo del lavoro? Verrebbe da dire che il lavoro sembra rimasto “incastrato” e stretto tra collettivo e individuale.
Non si tratta solo di ammettere e rassegnarsi al fatto che l’individualismo ha oggi preso piede anche tra i lavoratori dipendenti, indebolendo e facendo quasi sparire i legami di solidarietà tradizionali. Il punto da cogliere è che il lavoro è cambiato, ma soprattutto quello che le persone chiedono al lavoro si è articolato.
Se entrate in una azienda, soprattutto in quelle grandi, non trovate più lavoratori che svolgono lo stesso mestiere a stretto contatto di gomito. E non basta essere operai per avere stessi interessi, bisogni, valori e quindi rivendicazioni. Non esiste più un unico mondo o mercato del lavoro.
Il mestiere del sindacalismo, che rimane un soggetto valido solo se collettivo, ha nella modernità una nuova, più complessa sfida: come fare a produrre azioni o accordi collettivi per dei lavoratori che misureranno tali risultati prevalentemente in rapporto alla dimensione personale.
Si tratta di un mutamento antropologico: possiamo ormai dire che non esistono più lavoratrici e lavoratori (accomunati da una unica condizione sociale) ma persone che lavorano. Qui sta il salto di cui prendere atto, qui bisogna lavorare per “disincagliare” l’azione collettiva dall’idea che solo “l’uguale per tutti” sia la soluzione.
La via da seguire? Fondare le vertenze e la contrattazione sui nuovi bisogni di welfare, di crescita professionale, di competenze, di remunerazione equa e professionale, di pari opportunità che le persone sempre più esprimono. Occorre ristrutturare le soluzioni contrattuali puntando ad accordi a menù, frutto del “noi” ma nel quale l’”io” possa godere di concrete nuove tutele.
Solo in questa direzione sarà possibile far risaltare la dimensione collettiva in un mondo del lavoro sempre più parcellizzato. Altrimenti saranno le imprese, anch’esse oggi spaventate dal governare generazioni di lavoratori diversissime tra loro, a puntare solo sulla ricostruzione di “comunità aziendali”.
La dimensione collettiva e del “noi” nel lavoro si è sempre espressa in Italia fortemente nella dimensione confederale e generale. Il sindacalismo italiano confederale ha spiccato anche sul piano europeo per la capacità di rappresentare tutti i lavoratori anche nei bisogni sociali e nelle riforme collegate. Saper “difendere i diritti dei lavoratori anche fuori dai cancelli della fabbrica” ha costituito un prioritario e forte riferimento non solo valoriale ma pragmatico e ricco di risultati.
Ma anche in questa dimensione dobbiamo riflettere su come le cose siano profondamente mutate. Sul piano sociale e generale non esiste più una unica classe lavoratrice, esiste ancora più forte il bisogno di mantenere uguaglianza di opportunità e di tutele dentro le polarizzazioni che stanno articolando la società italiana.
La sfida sul piano sociale è oggi quella di ricostruire un patto intergenerazionale tra “boomers” e “millenials” con diritti e bisogni troppo differenziati, di intervenire sul grigio e critico inverno demografico, di affermare e realizzare la centralità di una parità di genere sostanziale, di rendere sostenibile la transizione ecologica del nostro modo di produrre, di ridurre gli squilibri territoriali ancora più vasti di decenni fa.
Sono queste le nuove fratture per le quali vanno ricostruire risposte collettive e riforme per un Paese che si sta troppo abituando a vivere di rendita. Sono queste le emergenze e le priorità attorno alle quali costruire una nuova identità collettiva orientata al bene comune e dimostrare che nessuno ce la può fare da solo.

*Già Segretario Generale della FIM CISL

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