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Il mezzogiorno a 5 stelle

E’ ormai noto a tutti che il Movimento 5 Stelle ha fatto “en plein” nel Mezzogiorno (47% dei consensi) facendosi interprete del disagio economico e sociale che ha travolto tale area a partire dall’inizio del nuovo secolo. Non a caso ciò è avvenuto in coincidenza con l’entrata della moneta unica che ha dato vita ad un caso di euro fallimento che non trova il riscontro nelle altre aree di ritardato sviluppo d’Europa. Crollo demografico, fuga dei giovani più scolarizzati (500 mila), perdita di reddito pro-capite (27% sulla media europea), impoverimento dell’offerta di servizi pubblici essenziali (scuola, sanità, gestione rifiuti e così via).

Gli analisti non mancano di indicare segnali di ripresa, mediamente più lenti rispetto al resto del Paese che progredisce ad un ritmo di crescita che è la metà di quello realizzato nel resto dell’Unione Europea. Esistono distretti innovativi nell’agro-alimentare, nella meccatronica, medie imprese competitive e presenti nel mercato globale, in quantità, però, non tale da inserire questa grande area territoriale nei processi in corso di accelerata modernizzazione. 

Altrettanto nota è l’offerta vincente dei 5 Stelle: il reddito di cittadinanza mirante a proteggere le fasce più deboli della popolazione meridionale. Obiettivo legittimo che si iscrive in quell’insieme di politiche territoriali redistributive, sperimentate nel passato e rispondenti ad una logica risarcitoria della mancata competitività del territorio. Il Movimento 5 Stelle può ora contare su una larga rappresentanza politica, peraltro non compromessa con le vecchie clientele. Ha ottenuto un consenso maggioritario che richiede soluzioni che vanno al di là del sostegno assistenziale ai più svantaggiati. La domanda che proviene dai cittadini meridionali è quella di avere scuole, ospedali, trasporti di qualità comparabile con le analoghe strutture del Centro-Nord e quella di una rimozione delle diseconomie di sistema che rallentano l’innovazione produttiva e le possibilità di impiego per le nuove generazioni più scolarizzate. 

Le politiche di redistribuzione del reddito non possono risolvere da sole il deficit delle politiche locali. Così come non basta discutere dell’entità del trasferimenti pubblici senza approfondire le condizioni di accompagnamento, dal lato istituzionale e gestionale, che determinano l’efficacia del loro impiego. C’è un legame stretto fra politiche di cambiamento nel campo economico e sociale e politiche di cambiamento negli assetti istituzionali e nella qualità delle gestioni burocratiche.

Se guardiamo al passato, il passaggio avvenuto dal vecchio dirigismo dell’intervento straordinario alla nuova programmazione, basata su una progettualità promossa dal basso, ha dato esiti negativi producendo una frammentazione inefficiente della spesa pubblica e un rafforzamento delle clientele locali. Ciò significa che accanto alla macro-questione Centro-Nord-Sud, affidata a politiche centralizzate, occorre individuare e dare soluzioni alle micro questioni territoriali, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, dove è più carente l’azione pubblica ai diversi livelli di governo. La presenza del settore pubblico partecipa alla creazione del Pil meridionale per il 22% contro il 12% delle restanti aree del Paese. E’ dalla riqualificazione di questa presenza pubblica che occorre ripartire proponendo modelli di intervento e pratiche operative la cui trasparenza ed efficacia agisca da lievito delle iniziative private. 

Il consenso ottenuto dal Movimento 5 Stelle con le promesse elettorali può essere volatile, come già avvenuto nel passato per altre forze politiche. Creare le condizioni per mantenerlo è questione più complessa tenendo anche conto che la popolazione meridionale è stanca di fare da cavia di improvvisati apprendisti stregoni.

 (*) Isril nota n.16, 2018

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