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Il posizionamento del Mezzogiorno nelle elezioni politiche

Sociologi e politologi si sono recentemente esercitati nell’interpretare il significato del voto nel Mezzogiorno che ha privilegiato il Movimento 5 Stelle.
A Napoli è avvenuta la raccolta più copiosa (il 40%) con i suoi picchi nei quartieri più disagiati, ad esempio Scampia al 64%.
Il reddito di cittadinanza è stato scandagliato in tutti i suoi aspetti applicativi quale variabile determinante nel produrre tale risultato, alimentando la contrapposizione fra sostenitori e detrattori.
Ma è questa la lente giusta su cui calibrare il giudizio sul posizionamento del Mezzogiorno nel Paese? Certo, la risposta elettorale indica che c’è una parte di tale popolazione che non ce la fa con le proprie gambe e chiede una protezione assistenziale da parte dello Stato.
Ci sarà anche una percentuale di furbi che impropriamente ne traggono benefici, ma è largamente confermata una presenza analoga anche nelle altre categorie sociali quando si abbeverano alle fonti della spesa pubblica.
Il fatto di cui occorre tener conto è una competizione elettorale che è stata spesa da parte di alcune forze politiche nel richiedere l’abolizione del reddito di cittadinanza. E, di conseguenza, la mobilitazione delle fasce sociali più deboli nel proteggerlo.

D’altro canto, quale altra occasione hanno i più bisognosi, se non attraverso il voto per far sentire la loro voce? Le categorie sociali più forti e rappresentative hanno ben altri strumenti di influenza per soddisfare le loro aspettative e lo fanno con successo nella tavola imbandita della spesa pubblica.
Ad un’offerta politica di tipo assistenziale è corrisposta una domanda di analoga natura. È improprio quindi il giudizio di quanti traggono dal responso elettorale la confermata contrapposizione fra un Nord operoso e un Sud parassitario.
Il vulnus della campagna elettorale avvenuta è lo scarso rilievo che è stato dato al Piano di Ripresa e Resilienza, che è la vera chiave di volta di un progetto di rilancio del Paese in grado di attenuare anche i tradizionali divari territoriali e settoriali che lo penalizzano.
Il Mezzogiorno è destinatario di una quota di investimenti pubblici (40%) superiore al peso della sua popolazione. Ciò significa l’opportunità di rimuovere le strozzature infrastrutturali da sempre denunciate, e disporre di risorse per migliorare la scuola, la sanità, l’ambiente, con progetti in grado di rimuovere le cause all’origine delle povertà più estreme del Mezzogiorno. L’eurobarometro ci dice che il 60% degli italiani e l’80% di quelli del Nord si dichiarano a favore di tale piano.

Se questa offerta politica fosse stata esplicitata, la risposta dei cittadini non avrebbe mancato di sollevare alcune questioni appropriate. Dispone il Mezzogiorno dei quadri tecnici amministrativi per gestire i nuovi progetti o, più concretamente, dei modi per impedire il depauperamento in atto del capitale umano che vede i migliori laureati e diplomati cercare fortuna altrove, impedendo l’emergere di una nuova classe dirigente? Come integrare gli investimenti pubblici previsti in una logica di sistema che arricchisca la società meridionale di una nuova propensione allo sviluppo e al rischio di impresa? Come recuperare al mondo del lavoro i giovani che abbandonano gli studi senza le minime competenze di base, o che non studiano, o non lavorano – i potenziali braccianti delle organizzazioni criminali? C’è già nel Mezzogiorno una vitalità di iniziative innovative, ma chi si fa carico di riaggregarle, di rappresentarle perché possano riprodursi nel territorio?

Un dibattito pubblico pre-elettorale centrato su tali questioni e altre di analogo spessore avrebbe anche chiarito, non solo ai cittadini meridionali, che la stagione dei sussidi, dei ristori, dei sostegni assistenziali ai redditi dovrà presto confrontarsi con una congiuntura economica e finanziaria che volge al peggio, segnata da un appesantimento dei saldi della finanza pubblica che riduce gli spazi di manovra del prossimo Governo. Ma che nello stesso tempo si stanno aprendo nuove opportunità, grazie alle ingenti risorse disponibili, di integrare l’economia e la società del Mezzogiorno in un processo di transizione che trovi il suo sbocco in un modello di sviluppo nazionale ed europeo più equilibrato e più solido.

In conclusione, se la politica prende sul serio gli elettori, questi possono rispondere con la stessa moneta. Il fatto che nel Mezzogiorno l’astensionismo sia più elevato riflette la maggiore solitudine dell’elettore, convinto che il suo voto non conta, che i governi si fanno e si disfano a prescindere dall’esito delle consultazioni, che i partiti sfruttano il disagio sociale anziché risolverlo.

Il Mezzogiorno soffre maggiormente, rispetto al Centro-Nord, della scarsa capacità governante della politica perché è più debole la sua economia di mercato. Ma nello stesso tempo non va dimenticato che anche le nostre regioni meglio strutturate del Nord stanno perdendo posizioni nella gerarchia europea in termini di crescita del reddito pro-capite.

C’è un problema Paese che deve ricostruire una capacità istituzionale e amministrativa. In una democrazia, un tale obiettivo richiede un coinvolgimento informato del cittadino in grado di valutare i costi/benefici delle riforme proposte dal lato degli interessi di cui è portatore.
Difficile ottenere tale risultato senza l’intermediazione di partiti dotati di una governance democratica in grado di interpretare e orientare le decisioni degli elettori. La loro fragilità rende fragile la nostra democrazia e il voto degli elettori, fluido, disaffezionato, disincantato, politicamente disinibito, né di destra né di sinistra, alla ricerca di un capo dotato di carisma.
La sovranità del popolo è ben poca cosa se è il risultato di una manipolazione del consenso, anche perché le maggioranze spurie che si creano non sono poi in grado di soddisfare le esigenze di buon governo in grado di alimentare la partecipazione dei cittadini alla vita democratica. E questo non riguarda solo il Mezzogiorno ma l’intero Paese.

*Nota ISRIL 21/09/2022

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