Nel 2017 il mercato del lavoro italiano ha registrato un record storico nel tasso d’occupazione femminile: il 49,1% delle donne 15-64 enni era occupato nel terzo trimestre 2017. Partiamo da tale risultato per offrire un quadro su alcuni aspetti, che tendono a caratterizzare la componente femminile nel mercato del lavoro, comparando uomini e donne nel periodo 2008-2016.
Tiziana Canal
(Valentina Gualtieri)
1. Il tasso di occupazione
Il tasso di occupazione femminile (misurato sulla popolazione di 15-64 anni), si attestava nel 2016 al 48,1%, circa 18 punti percentuali in meno rispetto a quello maschile (66,5%). L’importante differenza di genere nella quota di persone occupate si è progressivamente ridotta dal 2008, sostanzialmente, a causa della diminuzione dell’occupazione maschile in seguito alla congiuntura economica sfavorevole. La ripresa occupazionale, registrata dal 2014, ha di fatto innescato nuovamente la crescita del divario di genere (figura 1). In altri termini la lieve riduzione del gap di genere è stata determinata da un calo della presenza maschile in occupazione, più esposta a quanto pare alla crisi economica, mentre la presenza femminile, meno colpita da trend congiunturali, appare tuttora ancorata a dinamiche di tipo strutturale del mercato del lavoro italiano.
Figura 1 – Tasso di occupazione persone di 15-64 anni, Anni 2008-2016
Fonte: elaborazione su dati RCFL – Istat
2. Il lavoro part-time e le ore lavorate
Nel 2016 il 32,8% delle donne occupate lavorava a tempo parziale, per gli uomini la quota era dell’8,7%. La scomposizione per genere della quota complessiva di lavoro part-time – che nel 2016 era pari al 18,8% degli occupati – fa evidenziare che il 13,7% dei lavoratori con orario ridotto è donna e il restante 5,1% è uomo.
Il lavoro part-time è aumentato in maniera importante durante gli anni di crisi economica, a causa principalmente di scelte degli imprenditori che per fronteggiare i cali di produzione, hanno messo in campo azioni di regolazione dell’input di lavoro basate sulla riduzione temporanea dell’orario di lavoro. Nel 2008, infatti, l’incidenza del lavoro part-time si attestava al 27,8% per le donne e al 5,3% per gli uomini. L’analisi della variazione relativa del lavoro part- time durante il periodo 2008-2016 e della composizione per genere, evidenzia il significativo contributo alla crescita dovuto alla componente maschile, di nuovo più soggetta a dinamiche di tipo congiunturale (figura 2).
Figura 2 – Incidenza del part-time sul totale dell’occupazione secondo il genere e scomposizione per genere della variazione relativa del lavorato part-time, Anni 2008-2016
Fonte: elaborazioni su dati RCFL – Istat
Al riguardo, nel 2016, sia per uomini che per donne il lavoro part-time è prevalentemente causato dall’impossibilità di trovare un lavoro full-time: il 13,7% delle donne occupate nel 2016 lavora part-time per libera scelta mentre il 19,1% avrebbe preferito un lavoro full-time; solo il 2,2% degli uomini ha preferito un contratto part-time ad un contratto a tempo pieno e il 6,5% lavora part-time per volere del datore di lavoro (figura 3).
Lo studio delle variazioni relative del lavoro part-time per genere, scomposte per tipologia di part-time nel periodo 2008-2016, evidenzia da un lato che durante il periodo di crisi economica, l’aumento del lavoro con orario ridotto è dovuto quasi esclusivamente all’aumento del part- time involontario, dall’altro che nel caso degli uomini la quota di lavoro part-time volontario è rimasto pressoché costante, mentre per le donne si è registrata una riduzione della componente di volontarietà.
In sintesi, mentre a monte del periodo di crisi economica il lavoro part-time interessava in maniera preponderante la componente femminile dell’occupazione ed era in prevalenza dettato da una scelta della donna e meno frequentemente imposto dal datore di lavoro, a valle della crisi economica, il lavoro part-time interessa anche una quota rilevante di uomini e per entrambi i sessi la componente di involontarietà supera quella volontaria.
Figura 3 – Incidenza del part-time volontario e del part time involontario sul totale dell’occupazione part-time per genere, Anni 2008-2016
Inoltre, ponendo l’attenzione sul numero medio di ore effettivamente lavorate settimanalmente – altra lente con cui leggere l’impegno femminile nel lavoro retribuito rispetto a quello maschile – si conferma quanto in parte già emerso nello studio del lavoro part-time: le donne dedicano al lavoro retribuito un numero di ore medio settimanali inferiori rispetto ai colleghi di sesso maschile.
La congiuntura economica sfavorevole ha ridotto il monte ore mediamente lavorato sia per uomini che per donne: nel 2016 gli uomini lavoravano mediamente circa 39 ore a settimana (nel 2008 il dato era pari a circa 41 ore), mentre le donne lavoravano mediamente circa 32 ore a settimana (nel 2008 il dato era pari a circa 33 ore). Il rapporto tra numero medio di ore lavorate da uomini e donne è pressoché invariato nel periodo 2008-2016 a significare che l’utilizzo, o sarebbe meglio dire il ridotto utilizzo, della componente femminile è dettata, di nuovo, da questioni di carattere strutturale (figura 4).
Figura 4 – Numero medio di ore effettivamente lavorate settimanalmente per genere e rapporto tra uomini e donne, Anni 2008-2016
Fonte: elaborazioni su dati RCFL – Istat
3. Le retribuzioni
I dati sin ora mostrati hanno messo in evidenza un ridotto utilizzo delle donne nel sistema produttivo misurato in termini di teste e in riferimento alla quantità di lavoro.
Ciò che si intende analizzare ora sono le differenze di genere in riferimento alla retribuzione netta media mensile. Al fine di effettuare dei confronti per collettivi il più possibile omogenei, sono presi ad esame i soli lavoratori dipendenti full-time di 15 anni o più.
Nel 2016 le donne dipendenti full-time guadagnavano mediamente circa 1.400 euro al mese, mentre per gli uomini il dato si attestava a circa 1.570 euro (nel 20091 i valori erano rispettivamente pari a 1.264 euro e 1.418 euro). Nel periodo 2009-2016, considerando la differenza tra la retribuzione media di uomini e donne, espressa come percentuale della retribuzione media maschile2, si rileva un aumento della differenza, a scapito delle donne, nel periodo più intenso della crisi economica (ovvero dal 2010 al 2012) e una successiva tendenza alla riduzione (figura 5).
La persistenza delle ineguaglianze di genere in riferimento alla retribuzione da lavoro conferma quanto rilevato negli studi specifici, di carattere nazionale e internazionale, sul gender pay gap.
Figura 5 – Retribuzione netta media mensile dei lavoratori dipendenti full-time di 15 anni e più per genere, Anni 2009-2016
Fonte: elaborazioni su dati RCFL – Istat
4 . Il work life balance
Lo studio del grado di conciliazione delle persone occupate nel nostro Paese, ricavato dai dati provenienti dalla IV Indagine Inapp sulla Qualità del Lavoro in Italia condotta nel 2015, conferma risultati ben noti sulla maggior capacità delle donne di conciliare impegni lavorativi e sfera privata. La componente femminile dell’occupazione, infatti, più frequentemente dei colleghi maschi dichiara di riuscire a conciliare3 vita professionale e privata. Inoltre, anche quando si osserva la soddisfazione degli occupati italiani rispetto agli orari di lavoro, ambito strettamente connesso alla capacità di conciliare, si rileva una maggior soddisfazione delle donne (figura 6). Questi risultati – di carattere percettivo – sono, fra l’altro, costanti nel tempo, non hanno subito variazioni nel periodo di congiuntura economica sfavorevole e sono confermati in letteratura e da altre fonti dati, sia di carattere nazionale che internazionale. Così come, costante nel tempo è il divario di genere nel lavoro familiare: nel 2014 fra i 25-64enni il tempo di cura familiare rappresentava il 21,7% della giornata media delle donne italiane (5h13′), al dì là della condizione occupazionale, contro il 7,6% di quella degli uomini (1 ora e 50 minuti) e tale divario si è ridotto, seppur di poco, in 20 anni4 solo grazie ad un lieve aumento dell’impegno maschile nella cura dei figli. Soprattutto fra i giovani padri, infatti, si evidenzia un nuovo modo di rapportarsi alla cura e alla paternità e un maggior impegno in termini di tempo.
Figura 6 – Occupati di 18 anni e più per capacità di conciliare lavoro e impegni extra lavoratovi e per livello di soddisfazione rispetto agli orari di lavoro secondo il genere (%), Anno 2015
Fonte: elaborazioni su dati della IV indagine Inapp sulla QDL
Riassumendo cosa dicono i dati:
•il mercato del lavoro si avvale meno delle donne rispetto agli uomini: tassi di
occupazione femminili più bassi, quote di part-time più alte, meno ore lavorate;
•il ridotto utilizzo della componente femminile nell’occupazione è un fenomeno legato più a dinamiche strutturali che a congiunture economiche (positive o negative). La componente maschile ha subito più gli effetti della crisi, ma sta anche giovando in misura maggiore della fase di ripresa;
•le donne occupate (dipendenti e full time) hanno mediamente retribuzioni più basse dei colleghi maschi;
•le donne occupate dichiarano di stare meglio “a lavoro” rispetto agli uomini: maggiori capacità di conciliare vita professionale e vita privata e maggiore soddisfazione per gli orari di lavoro;
•le donne italiane continuano a dedicare alle attività domestiche e di cura familiare, mediamente, circa 3 ore in più al giorno rispetto agli uomini.
Rimane da capire quanto il ridotto utilizzo delle risorse umane femminili all’interno del sistema produttivo italiano e, al contempo, l’elevato impiego del tempo femminile per il lavoro non retribuito, sia il risultato di una scelta meditata e perseguita dalle donne, piuttosto che l’adattamento a modelli culturali persistesti, o ancora e semplicemente il risultato di una domanda di lavoro selettiva. In sintesi sarebbe importante capire sino in fondo quanto lo scenario descritto è in stretta relazione con scelte femminili ponderate o con “preferenze adattive”5, condizionate da un’offerta, ma anche e soprattutto da una domanda di lavoro ancora basata sul modello del male bread winner e da modelli familiari female care giver. L’ipotesi delle “preferenze adattive” svelerebbe l’apparente dissonanza fra ritenere la conciliazione come un problema tipicamente femminile (familiare e privato) e rilevare poi, maggiore soddisfazione delle donne in tale ambito, dovuta essenzialmente al parziale ricorso -in termini di teste e quantità- nel lavoro retribuito. Spiegherebbe infine la coerenza, fra il prevalente utilizzo della componente maschile nel lavoro retribuito e la minore capacità, da parte di quest’ultima, nel conciliare vita privata e lavorativa. Peraltro, l’equo ricorso a risorse maschili e femminili nel lavoro retribuito e non retribuito consentirebbe a uomini e donne di effettuare “scelte consapevoli” e andrebbe, indubbiamente, ad aumentare l’efficienza del sistema produttivo, ad oggi ancora non in grado di avvalersi a pieno di tutta la forza lavoro disponibile.
note
1 Nella Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro dell’Istat il dato sulla retribuzione netta mensile è disponibile a partire dal 2009.
2 Vale la pena sottolineare che la misura adottata, che ha il pregio di essere intuitiva e semplice da calcolare, può risentire delle differenti caratteristiche della forza lavoro maschile e femminile (età anagrafica, anzianità lavorativa, livello d’istruzione, settore, dimensioni dell’impresa ecc.), nonché della differente quantità di lavoro prestato da uomini e donne.
3 I livelli di conciliazione sono misurati attraverso un quesito di tipo percettivo posto a tutti gli individui intervistati nella IV Indagine sulla qualità del lavoro in Italia dell’Inapp. Nello specifico il quesito recita “In generale, riesce a conciliare il suo lavoro con gli impegni extra-lavorativi?”. Il grado di conciliazione è misurato su una scala che va da 1 a 10. Nel caso delle analisi presentate il grado di conciliazione è stato raggruppato in tre categorie: per nulla/poco include i valori che vanno da 1 a 3, abbastanza include i valori da 4 a 7, molto/del tutto include i valori da 8 a 10.
4 Cfr. ISTAT (2016), I tempi della vita quotidiana, Statistiche Report, 23 novembre 2016, Roma, ISTAT 7
5 Cfr. Goldman L. e Altman, M. (2008), Why do people overwork? Oversupply of hours of labour, labour market forces and adaptive preferences, in Burke, R. e Cooper, C., (eds.), The long work hours culture: Causes, consequences and choices, Emerald, Bingley, United Kingdom.
INAPP n. 6 – marzo 2018