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Sindacato a trazione Cgil, la politica, in attesa di strategia

Provo un certo disagio a discutere sul sindacato confederale italiano, nel quale ho vissuto gran parte della mia vita di lavoro, perché considero negativamente lo schema secondo il quale i sindacalisti del passato criticano quelli di oggi sulla base di una presunta superiorità. 

Troppo grande è la differenza della realtà odierna rispetto a quella di ieri per cui troppo facilmente si corre il rischio di scivolare su giudizi semplicistici e, in buona parte, sbagliati. Tuttavia, sento il dovere di intervenire, non sulle singole scelte ma su come il sindacato sta interpretando questo tempo del Paese.

 L’Italia vive oggi una fase eccezionale, caratterizzata dalla lotta a una pandemia che sta colpendo l’intero pianeta, ai cui effetti drammatici stiamo reagendo, oltre che con la vaccinazione, con un programma di investimenti produttivi e sociali, di provenienza europea e di dimensioni mai realizzate nella storia della nostra Repubblica. Il tutto in un contesto di tre processi di transizione di rilevanza storica, relativi al cambiamento climatico, al salto tecnologico digitale e a quello energetico. Una condizione che può permetterci non solo di vincere la sfida della pandemia, ma di reimpostare i caratteri del nostro modello di sviluppo sulla base delle priorità della riduzione del divario storico Nord-Sud del Paese, della crescita del lavoro di qualità, della lotta alle disuguaglianze e della giustizia sociale. 

Come sta collocandosi il sindacato dentro queto processo decisivo per i prossimi decenni della vita dei cittadini? In generale, si ipotizza per l’organizzazione dei lavoratori un ruolo fondamentale e protagonista, dal momento che gran parte delle scelte da compiere convergono e influenzano la realtà del lavoro, destinato a essere, sempre più, la misura decisiva del bene o del male dell’esito dell’intero processo. Nella concreta realtà, l’eccezionalità e la novità di questa fase non sembrano sollecitare particolari spinte innovative nell’azione sindacale, né tanto meno tensioni e conflitti interni, come avveniva in passato. Si procede unitariamente, con una evidente leadership della Cgil che, come primo sindacato per numero di iscritti, propone quasi sempre le scelte da compiere, incontrando normalmente il consenso di Cisl e Uil. 

Nel merito, le proposte formulate attengono in netta prevalenza al rapporto con il governo, nei confronti del quale si rivendicano ovviamente obiettivi a favore dei lavoratori e dei pensionati che dovrebbero far parte di un non meglio precisato patto sociale tra governo e parti sociali come bussola strategica per gestire il Piano nazionale di ripresa e resilienza. In tal modo il sindacato opera una scelta di campo verso il governo come suo interlocutore prevalente e della legge come strumento più idoneo per risolvere i problemi del lavoro. Rendono esplicita tale scelta la reiterata richiesta del blocco dei licenziamenti, la estensione degli ammortizzatori sociali, le incertezze o i dissensi sul salario minimo, e sul Reddito di cittadinanza e su Quota 100 nelle pensioni. 

Si tratta, in gran parte, di politiche passive del lavoro e di segno difensivo, mentre, nel complesso, resta lontana da tale intervento la fabbrica di oggi in profonda trasformazione, in particolare nel lavoro, per cui si dà l’impressione di voler affrontare, con alcuni aspetti delle scelte di ieri, i problemi di oggi e del futuro. Inoltre, ha suscitato non poca sorpresa la posizione ambigua del sindacato sulla necessità della vaccinazione e del green pass nelle aziende, e di Landini in particolare, nei confronti dei non vax e no pass. Quando il segretario generale della Cgil ha affermato: “Non si deve pagare il tampone per lavorare” ha dato la netta impressione di una apertura di dialogo con potenziali partecipanti a quel “sindacato della strada” da lui teorizzato più volte. CoN ciò il sindacato, di fronte alla drammaticità della pandemia, manifesta una sorta di arretramento da quel ruolo attivo di soggetto promotore dello sviluppo democratico e civile che ha caratterizzato i momenti salienti della sua storia. 

Ma ciò che in questa fase più preoccupa, risulta il ruolo secondario e marginale assegnato alla contrattazione collettiva, che rimane lo strumento principale e identitario del sindacato, specialmente nelle fasi di grande trasformazione come l’attuale. La necessità e la forza della contrattazione collettiva sta infatti nella sua flessibilità e aderenza ai processi produttivi e lavorativi in atto, che consente di raggiungere, anche attraverso passaggi conflittuali, intese da parte dei protagonisti di tali processi, che, sulla base dei loro risultati, possono anche trasformarsi in legge. Per la verità non è che oggi non si contratti, tanto che i contratti nazionali di categoria, censiti dal CNEL, hanno ormai raggiunto il migliaio. Ma quasi mai riescono ad affrontare i temi decisivi della comune condizione dei lavoratori, mentre la crescita del loro numero evidenzia la maggiore presenza di contratti pirata e di comodo. Del resto, lo testimoniano diffuse condizioni medie dei lavoratori italiani, caratterizzate da crescenti difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro, quasi sempre dovuta a insufficiente competenza dei lavoratori disponibili, insufficienze e ritardi della formazione scolastica e professionale, crescita del lavoro precario, forti disuguaglianze nei livelli retributivi, e insufficienza strutturale di sicurezza nel lavoro. 

Per tutto questo ritendo che la grande opportunità, derivante dalla coincidenza tra fase finale della pandemia e rilancio strutturale dell’economia e della società italiane con il PNRR, possa rappresentare per il sindacato una occasione unica per un ripensamento radicale della sua strategia contrattuale e concertativa, rielaborando e ridefinendo i propri obiettivi di lungo periodo, i propri strumenti e modalità di azione, e infine la stessa propria unità. 

Tre sindacati confederali in Italia si spiegano soltanto con la loro storia passata, ma non c’è niente che li giustifichino nel futuro. L’unità sindacale rimane un grande obiettivo storico, che in passato non è stato raggiunto per l’opposizione del sistema dei partiti (Pci e Dc in particolare). Oggi, nell’attuale sistema politico questa opposizione non esiste più, per cui il processo unitario potrebbe essere ripensato. Alla condizione che si tratti non di un semplice assemblaggio delle attuali tre organizzazioni, ma di un processo che parta da una riflessione strategica sul ruolo del sindacato nella società italiana e nel mondo di oggi, e proceda tramite la ricerca e le esperienze maturate assieme, anche attraverso inevitabili momenti di dissenso e di conflitto. Ma l’unità sindacale sarebbe un risultato storico, con effetti del tutto nuovi sulla promozione di una diversa condizione dei lavoratori e sulla qualità della nostra democrazia. Poiché prima o poi dovremo fare i conti con essa, credo sarebbe bene cominciare a pensarci.

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