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Il sistema pensionistico italiano e i rischi dei giovani di oggi

Il sistema delle pensioni rappresenta, nel nostro Paese, la componente più significativa ed importante del nostro welfare. Formalmente è fondato sui principi di solidarietà, equità e sostenibilità finanziaria, ma, per effetto di alcune tendenze della società come l’aumento della speranza di vita, i mutamenti del mercato del lavoro e gli spazi ristretti del bilancio pubblico, richiede attenzione e un processo continuo di riforma e di aggiornamento delle regole pensionistiche. 

Per capire meglio cosa ci aspetta in futuro dobbiamo tener presente che già oggi, secondo l’Istat, in Italia il numero degli ottantenni risulta superiore ai bimbi nati negli ultimi dieci anni. L’attuale sistema pensionistico prevede quest’anno una spesa di 344 miliardi di euro, (comprensiva dei contributi pagati dai lavoratori) pari al 15,3% del Pil, una delle quote più alte tra i Paesi Ocse. 

Tale cifra è destinata a crescere progressivamente fino al 2035-2040, oltre il 17% del Pil, spinta dall’invecchiamento della popolazione e dal persistere di regole di calcolo ancora favorevoli a molte generazioni di pensionati. E’ noto infatti che il metodo di calcolo delle pensioni è stato retributivo (sulla base delle retribuzioni percepite) fino al 31/12/1995, contributivo (sulla base dei contributi versati) per chi ha iniziato a lavorare dopo l’1/1/1996, misto per chi ha lavorato in entrambe le due fasi. 

Accanto alla pensione pubblica, di vecchiaia e anticipata, si è sviluppata la pensione complementare, di carattere volontario, aggiuntiva alla pensione pubblica, e finanziata, tramite fondi negoziali e piani individuali pensionistici. Il funzionamento del sistema pensionistico è influenzato da canali speciali di uscita, cioè a particolari disposizioni normative che consentono l’accesso anticipato alla pensione, spesso con requisiti più favorevoli della pensione di vecchiaia.  Si tratta di Quota 103, Opzione donna. Precoci, Usuranti, Ape sociale. 

Dal 2040 inizierà una lenta discesa del peso delle pensioni dovuto al pieno effetto del sistema contributivo sui nuovi pensionati e ad una popolazione in lieve calo (la “gobba pensionistica”).  A questo punto il sistema potrebbe manifestare una crisi strutturale dovuta, oltre al calo della popolazione in età di lavoro, all’insufficiente crescita dell’economia e ai bassi salari conseguenti alla inadeguata qualità del lavoro. 

Un pericolo previsto che può trasformarsi in reale. Per cui è giusto interrogarsi sulla politica pensionistica del governo in relazione a tale prospettiva. Il primo parametro da considerare è il Coefficiente di trasformazione, cioè il numero che traduce la somma dei contributi previdenziali versati da un lavoratore, e rivalutati in base al Pil in pensione annua, che viene rivisto ogni 2 anni. Se si vive di più, la pensione dovrà bastare per più anni e quindi il coefficiente scende, e con gli stessi contributi si prenderà meno ogni mese. Attualmente il sistema sta funzionando sulla base della riforma Fornero del 2011, che rappresenta l’ultima vera riforma organica del sistema che ha innalzato e uniformato le età di pensionamento di uomini e donne, esteso il metodo di contributivo, eliminate le pensioni di anzianità e introdotte quelle anticipate. 

Nonostante la contestazione radicale della Lega essa ha resistito nella sostanza per il suo razionale realismo e create le condizioni per un successivo aggiornamento di singole regole. L’attuale governo Meloni ha cercato di introdurre alcune modifiche in occasione delle manovre di bilancio, quasi sempre sui canali speciali di uscita e sulla previdenza integrativa, avendo riferimento più alle conseguenze a breve sui conti pubblici che alla qualità del sistema pensionistico. Ultimamente si è prospettata anche la decisione di fermare l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita che sarebbe una grave incoerenza rispetto al governo del sistema del futuro.  

Il problema del futuro rimane infatti il livello della pensione di coloro che sono giovani oggi. Con il sistema contributivo in vigore, a causa del deserto demografico, a fronte dell’aumento della speranza di vita, della qualità media del lavoro espressa dal mercato e del livello di crescita della nostra economia, avremo in media un tasso di sostituzione tra pensione e ultima retribuzione molto più basso di oggi. Per migliorare la situazione certamente sarà utile il ruolo della previdenza complementare ma, data la limitata possibilità di destinare parte del salario a tale scopo, sarà difficile modificare la tendenza di fondo. 

Rimane quindi necessario aumentare fin d’ora la consapevolezza comune di tale prospettiva in modo da indirizzare i diversi interventi di riforma in senso coerente a tale prevista riduzione. Soprattutto sarà necessario recuperare una chiara visione del futuro in modo da non essere impreparati e operare le scelte economiche e sociali effettivamente necessarie ed efficaci. 

Tra queste, di fronte al calo demografico, oltre alle scelte di politica familiare e sociale a sostegno della natalità, diventa sempre più indispensabile una politica  di accoglienza e di formazione specifica dei migranti, alternativa a quella attuale fondata sui rimpatri, in modo da inserirli positivamente nel mercato del lavoro, rendendoli anche soggetti attivi di un sistema pensionistico più equo e solidale

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