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Il successo dell’alternanza passa per le piccole aziende

Ho ascoltato con molto interesse quanto è stato detto finora da chi mi ha preceduto negli interventi. Dato il tempo a disposizione, tenterò, seppur sinteticamente, di illustrare come il tema dell’Alternanza è sentito all’interno della Fondazione e più in generale tra i Consulenti del Lavoro che attraverso essa operano, con un focus particolare su quali azioni sarebbe necessario intraprendere.

L’Alternanza è un tema fondamentale: è il primo vero approccio per i giovani con il mercato del lavoro e, pertanto, impone a tutti gli attori della rete dei servizi per il lavoro un’attenzione particolare. Attenzione che, tutto sommato, rispetto a qualche anno fa è evidente. Gli interventi che abbiamo ascoltato fino ad ora testimoniano come esistano delle buone pratiche da cui si dovrebbero trarre gli elementi per azioni più diffuse.

Cerco di spiegarmi meglio. L’Istituto di Ostia o il Sarrocchi di Siena (**) hanno sviluppato interessantissimi percorsi di alternanza per alcune classi di loro studenti.

Io ho studiato a Siena, conosco molto bene il Sarrocchi che è un Istituto storico e porta avanti queste attività da molto tempo, indipendentemente dalle previsioni normative. Il problema però è che la dirigente scolastica del Sarrocchi – che ripeto, in provincia di Siena è forse la scuola più importante da questo punto di vista – descrive in un consesso importante come Luci sul Lavoro, alla presenza dei più alti rappresentanti delle Istituzioni, l’esempio di un percorso di Alternanza portato avanti in maniera estremamente brillante da una classe, una sola classe. Ma il Sarrocchi ha 1.800 studenti. Il problema è, dunque, capire come fare sistema, perché le eccellenze o le buone prassi esistono, ma continuano ancora ad essere riservate a pochi fortunati studenti. 

Dobbiamo fare uno sforzo per immaginare come questi esempi estremamente positivi, possano essere presi a modello per il futuro, così da poter rendere fruibili i percorsi di Alternanza per la generalità degli studenti del triennio degli istituti scolastici, come previsto dalla normativa. Il prof. Cecchetti diceva una cosa molto importante, su cui è necessario fare una riflessione attenta: mancano le imprese interessate ad ospitare percorsi di alternanza,  manca il contatto con queste che inoltre, se non spesso, ove si riescano a raggiungere, non riescono a comprendere cosa le si propone. 

Io, dal mio punto di vista, ragionerei su due parole: orientamento e competenze. Ma non le immagino declinate nei confronti degli studenti, compito già svolto egregiamente dalle scuole, perché le scuole, seppur con alcune difficoltà, hanno già fatto propri questi concetti, sviluppando progressivamente modelli di orientamento per valorizzare le competenze acquisite dai propri studenti. 

I concetti di orientamento e di competenze io li immagino declinati anche nei confronti delle imprese, perché le imprese molto spesso non sanno di cosa parliamo. Soprattutto nella piccola e media impresa, quando si accompagna un ragazzo in Alternanza, questo non viene considerato un valore aggiunto come invece avviene negli altri paesi. Negli altri paesi, infatti, hanno acquisito la consapevolezza che una mente elastica come quella di un giovane, impegnato in quello stesso momento negli studi, ha la possibilità di applicare realmente all’interno di un contesto produttivo ciò che vede teoricamente a scuola. L’incontro tra la scuola e il lavoro, pertanto, è considerata un’alchimia positiva. Nel nostro paese invece, nella maggioranza dei casi, è vista come una perdita di tempo, tanto dalle imprese, quanto dagli studenti. 

Ad oggi noi possiamo tranquillamente verificare che i progetti di Alternanza che risultano positivi,  funzionano sulla base della conoscenza personale tra i soggetti: tra il professore e l’impresa o tra il dirigente scolastico e l’impresa, o ancora in alcuni casi estremi tra il genitore dello studente e l’impresa. Il problema è come rendere generalizzato questo incontro, come dare la possibilità a tutti gli studenti di impegnarsi in percorsi virtuosi di alternanza. 

Sicuramente la campagna del MIUR, sollecitata tra gli altri anche qualche minuto fa dal prof. Cecchetti, è un’ottima idea, ma non può bastare. A mio avviso è necessario investire sugli intermediari del mercato del lavoro che, in tale ottica, assumono un ruolo determinante, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. 

Se nell’ attivazione e gestione di politiche attive è oramai considerato fondamentale il ruolo degli intermediari, lo stesso deve venire riconosciuto anche per attivare percorsi di Alternanza scuola lavoro. So che ci sono allo studio i famosi  mille tutor da mettere intensamente al lavoro su questo progetto, ma non so quanto possano essere risolutivi. Noi attraverso la rete dei Consulenti del Lavoro nelle imprese ci siamo, tenete in considerazione che attiviamo circa 25000  tirocini l’anno, e spesso ci rendiamo conto come sia necessario una sorta di “mediatore culturale” fra la scuola e l’impresa. Io ringrazio Raffaele Morese che ci ha candidato ad entrare nella cabina di regia; lo faremo volentieri perché il Consulente del lavoro conosce la piccola e media impresa. L’Enel, abbiamo visto,  ha buonissime prassi su tali tematiche, ma quante persone l’Enel potrà accogliere in Alternanza scuola lavoro? Non possiamo pensare che solamente le grandi imprese si facciano carico di ospitare tutti gli studenti in alternanza; nonostante la massima disponibilità, il numero sarà comunque risicato. Bisogna puntare anche sulla piccola e media impresa, con uno sforzo di accompagnamento anche culturale verso soluzioni di questo tipo.

Anche noi come Fondazione abbiamo portato avanti un progetto che reputo, se letto in tale prospettiva, molto interessante. Abbiamo preso in carico alcuni studenti che frequentano un istituto alberghiero di Palermo e li abbiamo inseriti in contesti diversi, con la finalità ultima di inserirli con contratto di apprendistato di primo livello presso strutture alberghiere di alto livello in provincia di Bolzano. Questi sono modelli che sicuramente funzionano, ma purtroppo di studenti inseriti attraverso tale soluzione ne possiamo contare solamente 17. In definitiva, sì è una cosa sicuramente interessante, ma per fare un servizio alla collettività dobbiamo sforzarci di generalizzarla, di portarla a sistema. Vi dico un’altra cosa prima di chiudere; bisogna chiarire alcuni punti della normativa che ancora in alcuni casi risultano poco chiari. Vi faccio un esempio: le scuole dove questi ragazzi studiano, dopo l’inserimento in apprendistato di primo livello a Bolzano, hanno chiamato il nostro consulente sul territorio chiedendogli di organizzare in aggiunta all’apprendistato anche il percorso di Alternanza. Ma se uno studente sta facendo un apprendistato di primo livello, sicuramente dobbiamo ritenere superata la problematica dell’Alternanza. Magari tutti gli studenti potessero fare un percorso in apprendistato di primo livello, superando così l’Alternanza! 

In conclusione, se si deciderà di andare verso una sensibilizzazione delle piccole e medie imprese nei confronti dell’alternanza, valorizzando le buone prassi e allo stesso tempo disegnando percorsi fruibili ad una maggiore platea di studenti, potrete contare anche sulla disponibilità della rete dei Consulenti del Lavoro, anche attraverso la Fondazione,  su tutto il territorio nazionale.

 (*) Direttore Fondazione Consulenti per il Lavoro

 (**) Nel corso del convegno, c’è stata una illustrazione dell’esperienza che alcuni studenti del Sarrocchi hanno realizzato, ma che non si è potuto trascrivere (nota di redazione)

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