Il 4 novembre 1869 viene pubblicato il primo numero della rivista scientifica “Nature”
Nell’Ottocento ci si rivolgeva alla Natura chiamandola con la lettera maiuscola. Non era deferenza, ma un modo per cucire un rapporto molto sfaccettato. In Leopardi, ad esempio, essa è una sacerdotessa custode del tempo, austera e severa. Dice chiaramente all’uomo che è stato uno sciocco a pensare che il mondo fosse stato fatto per lui; non a caso, l’Islandese a cui si rivolge scomparirà qualche secondo dopo questo colloquio (e per cause ignote…).
Stesso periodo, altro Stato, un altro poeta, ma un diverso dialogo: la Mente umana si affida e costruisce sul solido terreno della Natura. Sono le parole di William Wordsworth, che vennero stampate sul primo numero di “Nature”, il 4 novembre 1869. Una dichiarazione d’intenti. Infatti, potremmo spiegare il rapporto degli inglesi con la natura con il concetto di pittoresco che ha nel giardino all’inglese il suo più chiaro esempio: è un gioco tra le parti tra l’artificio umano e la signora padrona di casa. Tutto, però, con molto tatto.
Oggi, oscilliamo tra due avamposti: quel chiamare la natura per nome è stato sostituito da un “tu” così diretto che, se essa potesse parlare, ci direbbe che le è urlato in faccia. Parallelamente, arrivano altri modi di dire, e “Gaia” non è che tra i più noti: con questa parola ci si riferisce a una corrente di pensiero secondo cui la Natura avrebbe in sé tutti i meccanismi per rigenerarsi, nonostante i nostri agenti inquinanti, il surriscaldamento globale o la plastica in mare.
Il nostro in bocca al lupo va allora tutto a riviste come “Nature”: oggi è più che mai difficile riuscire a restare abbottonati, senza perdere il filo tra scienza, divulgazione, fantascienza e fake news. E finiamo con il mimetizzarci, come il camaleonte.
*da Imaginarea Daily, 05/11/2021
**designer, fondatore di Inarea, prima realtà di corporate branding