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Italia e Spagna fanalini di coda nelle politiche attive

E’ stato pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il Report Intermedio di Valutazione ex-ante degli strumenti finanziari da attivare nell’ambito del PON “Iniziativa Occupazione Giovani 2014-2015” e PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione 2014-2020”, disponibile sul portale Europalavoro.

Il rapporto ha l’obiettivo di fornire i primi risultati e le indicazioni necessarie alla Autorità di Gestione per procedere con la costituzione e implementazione dello strumento finanziario ed approfondisce alcuni aspetti relativi ai risultati consolidati derivanti dall’analisi della domanda e dell’offerta, dall’analisi delle eventuali sovrapposizioni con altri strumenti finanziari e il conseguente valore aggiunto atteso dello strumento finanziario, nonché fornire un quadro consolidato delle lezioni tratte dall’esperienza, della strategia dello strumento e della sua struttura di governance, completo di una stima delle risorse complementari ed aggiuntive e primi risultati della “stakeholders consultation”.

Tra i diversi argomenti trattati vale la pena citare, nella sezione dedicata all’analisi della documentazione esistente, l’andamento della spesa per le politiche del mercato del lavoro, che contiene un interessante confronto a livello europeo, con un focus sulle politiche attive volte a sostenere l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità.

Da quello che emerge nel rapporto, le politiche del mercato del lavoro possono essere essenzialmente distinte in tre macro-tipologie di intervento: servizi, misure e supporto. I “servizi” coprono i costi dei servizi pubblici di accompagnamento per la ricerca di lavoro (guida, orientamento e assistenza) e le altre spese dei servizi pubblici per l’impiego che non sono già coperte da altre categorie di politiche. Le “misure” coprono sia gli interventi attivi che hanno l’obiettivo di aumentare l’occupabilità delle persone attraverso la creazione di nuove competenze o esperienze, sia gli interventi volti a incoraggiare i datori di lavoro a creare nuovi posti di lavoro e assumere persone disoccupate o svantaggiate. Le “politiche di supporto” (interventi passivi) coprono, infine, l’assistenza finanziaria finalizzata a sostenere gli individui per la perdita salariale e supportarli nella ricerca attiva di lavoro (soprattutto sussidi alla disoccupazione).

In tal senso, le politiche del lavoro si possono classificare in maniera più generale tra politiche attive (che mirano a rimuovere le cause della disoccupazione e ad aumentare le probabilità di occupazione) e passive, che mirano ad alleviare la perdita di benessere connessa allo stato di disoccupazione, ma non intervengono sulle cause di tale stato.

La crisi economica iniziata nel 2008 ha impattato notevolmente sulla spesa totale per politiche del mercato del lavoro, aumentando notevolmente il ricorso a politiche passive (sussidi di disoccupazione) a svantaggio delle politiche attive, i cui costi sono sempre più difficili da mantenere. 

L’andamento della spesa italiana per le politiche del lavoro, coerentemente con quella degli altri Paesi UE, segna infatti un picco nel biennio 2008-2009, per poi contrarsi nel 2010-2011 e tornare a crescere solo nel 2012 (ultimo anno disponibile). Tali spese, come già indicato, comprendono sia quelle per le politiche attive che per le politiche passive. 

 

Figura 1 – Tasso di variazione della spesa per politiche del lavoro (valori %)

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

 

A livello comparato, l’Italia registra nel 2012 una quota dedicata alle spese per politiche del lavoro pari al 2% del Prodotto Interno Lordo, dato che risulta appena inferiore a quello registrato da Francia e Spagna ed addirittura superiore, seppure di poco a quello della Germania, come mostra la figura n.2.

Il peso della spesa per politiche del lavoro è invece tradizionalmente inferiore nel Regno Unito, che ha fatto del “Welfare to Work” il proprio cavallo di battaglia: anche durante la crisi economica le spese nel Regno Unito non superano mai quota 0,1% del PIL.

 

Figura 2 – Spesa totale per politiche del lavoro in % sul PIL 

 

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

 

Analizzando il peso complessivo delle politiche del lavoro, l’Italia sembra quindi in linea con gli altri Paesi europei, ma il quadro cambia radicalmente se si prendono in considerazione separatamente le spese per le politiche attive e quelle per le politiche passive. Se per le seconde, infatti, l’Italia raggiunge nel 2012 una valore rispetto al PIL pari all’1,6%, superiore a quello di tutti gli altri Paesi indicati nella figura 3 (Spagna a parte, che supera il 3%), il discorso si capovolge completamente se si prendono in considerazione le sole spese per la politiche attive (Figura 4), in cui l’Italia mostra il valore più basso (0,35%) rispetto a Francia, Germania e Spagna (rispettivamente 0,64%, 0,45% e 0,55%), ben al di sotto della media europea (0,47%). Solamente il già citato Regno Unito porta valori inferiori ai nostri, con un’incidenza rispetto al PIL inferiore allo 0,1%.

Questo significa che nel nostro Paese le spese per le politiche del lavoro sono concentrate prevalentemente sulle azioni di tipo “assistenziale”, mentre poca attenzione viene rivolta verso quelle volte a sostenere i cittadini nel processo di ricerca di una nuova occupazione. Rientrano in questo campo i servizi pubblici per l’impiego, che oggettivamente si trovano a far fronte ad una platea molto ampia di soggetti in cerca di lavoro senza possedere gli strumenti finanziari adeguati alle loro esigenze.

Figura 3 – Spesa per politiche passive in % sul PIL

 

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

 

Figura 4 – Spesa per politiche attive in % sul PIL

 

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

 

Sebbene a livello europeo si registri quindi una generale preponderanza delle spese assistenziali (sussidi di disoccupazione) rispetto a quelle indirizzate alle politiche attive, con quote che variano dal 54% del Regno Unito al 81,8% della Spagna, l’Italia si posiziona tra quelli che registrano una disparità più accentuata, con una percentuale pari al 77,2%, ben superiore alla media europea (60%) e ai nostri vicini più prossimi (Germania 57,4% e Francia 61,6%,). Non a caso Spagna e Italia sono tra i Paesi più fortemente colpiti dalla recente crisi occupazionale, soprattutto giovanile.

Nella maggior parte dei Paesi considerati, le più importanti tipologie di politiche del lavoro in termini di spesa pubblica, dopo gli strumenti di sostegno al reddito, sono quelle relative ai servizi del mercato del lavoro e alla formazione, con quote rispettivamente pari all’11% e 10% a livello europeo dell’intera spesa per le politiche del lavoro (valori che superano il 20% e il 14% in Germania; pari al 10,8% e 14,6% in Francia). Spagna e Italia dedicano quote inferiori di spesa per i servizi per il mercato del lavoro e la formazione, rispettivamente pari 2,3% e 4,1% (Spagna) e 1,3% e 7,5% (Italia). Sotto questi due fronti quindi la disparità con Francia e Germania e, più in generale, rispetto la media europea, risulta quanto mai eclatante.

Con riguardo infine alla politica attiva volta all’incentivazione della creazione di impresa (incentivi allo start-up), questa rappresenta il 2% della spesa totale per politiche del lavoro a livello europeo, l’1,9% in Francia, lo 0,9% in Spagna, lo 0,3% nel Regno Unito e appena lo 0,2% in Italia. Se la spesa per politiche attive in Italia, già inferiore ai livelli europei, ha subito un calo negli ultimi anni con riferimento a tutte le misure, quella destinata agli incentivi alle startup è diminuita in modo particolare, come mostra la figura 5.  Il dato risulta, inoltre, molto distante rispetto alle risorse pubbliche destinate all’avvio di attività imprenditoriali in paesi come Germania, Francia e Spagna, dove vengono allocati per incentivi alle startup rispettivamente € 927 milioni, € 1,1 miliardi e € 900 milioni di euro.

 

Figura 5 – Spesa per “incentivi per start-up” in Italia (milioni di euro)

 

Fonte: Elaborazione su dati Eurostat

 

Dal quadro appena stilato appare chiaro come storicamente in Italia l’attenzione sulle politiche del lavoro sia sempre ricaduta più sugli interventi di tipo assistenziale (sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro) piuttosto che sugli interventi volti a supportare il lavoratore nella ricerca di un nuovo lavoro (compresa la creazione d’impresa), prevenendone l’inattività. 

A fronte del persistere della crisi occupazionale e, conseguentemente, del crescente assorbimento delle risorse disponibili da parte di politiche passive finalizzate al sostegno al reddito di chi ha perso il lavoro e al pagamento degli ammortizzatori sociali, diventa evidente la necessità di un maggiore raccordo e di una maggiore integrazione tra risorse pubbliche e offerta privata, al fine di creare un effetto leva in grado di moltiplicare lo sforzo pubblico sulle politiche attive, in particolare sull’incentivazione alla creazione di impresa quale fonte moltiplicatore di sviluppo del sistema produttivo e di creazione di occupazione.

Se è vero che si inizia ad intravedere la luce dopo il tunnel, è altrettanto vero che questo potrebbe essere il momento opportuno per iniziare un ragionamento volto ad individuare i campi su cui lavorare nel prossimo futuro, quando potremo considerare la crisi ormai alle spalle. Tale dibattito è giusto che sia prima di tutto di natura politica, ma da un semplice confronto con i principali partner europei si può facilmente individuare nelle politiche attive per il lavoro, ed in particolare nei servizi al mercato del lavoro e alla formazione, nonché nell’incentivazione della creazione di impresa, i principali asset sui cui investire per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

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