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Anche in Italia, fare come i tedeschi

La crescita salariale torna ad essere elemento centrale e contestualmente si afferma che il tempo può diventare un valore umano condiviso. Sono queste le novità che, nella scorsa settimana, dalla Germania hanno superato le Alpi per entrare nella discussione, non solo degli addetti ai lavori, sul futuro delle relazioni sindacali del nostro Paese. Come spesso accade in questi casi, il dibattito è stato incentrato, da subito, sulla trasferibilità o meno all’interno dei nostri confini di quanto concordato nella ricca regione del Baden-Württenberg.

Ma cosa rende così innovativa questa intesa?

Per comprenderlo meglio crediamo sia opportuno avere chiaro il background nel quale essa si inserisce. I colleghi tedeschi possono vantare oggi l’economia più forte all’interno dei paesi UE con una previsione di crescita superiore al 2,2%, con tre anni di surplus di bilancio, un tasso di disoccupazione che si attesta al 5,4% contro l’8,7% della media europea (l’Italia è all’11%). Ed è in questo contesto, suffragato dai ripetuti inviti della Banca Centrale europea e della Bundesbank ad innalzare i salari delle lavoratrici e dei lavoratori tedeschi, che si deve collocare il negoziato tra lG Metall e l’Associazione industriale Südwestmetall.

Una trattativa non semplice, che ha richiesto 24 ore di sciopero con una partecipazione pressoché totale degli occupati coinvolti, per giungere alla condivisione di un accordo. Il sindacato tedesco, quindi, ha saputo in una fase delicata ben cogliere ed indirizzare i desiderata dei sui rappresentati che hanno sostenuto il tavolo negoziale durante l’intero arco del suo sviluppo.
Dalla prima richiesta sindacale, aumentare del 6% in 12 mesi le retribuzioni, al 4,7% (in 27 mesi) di incremento e da una richiesta di riduzione ad una gestione flessibile degli orari che rimette al centro la persona, la strada è stata complicata.

Ed è lungo questo percorso che si è inserita la novità che noi abbiamo chiamato la riscoperta del lato umano del valore del tempo. A fronte di un più contenuto, ma sempre rilevante, aumento salariale, infatti, le lavoratrici e i lavoratori tedeschi, full time e con almeno due anni di servizio, hanno ottenuto la possibilità, a partire dal 2019, di chiedere una riduzione dell’orario settimanale da 35 a 28 ore, per rispondere alle proprie esigenze, familiari o di altro tipo, per un periodo che va da sei a ventiquattro mesi. Tale riduzione oraria non avverrà a parità di salario e potrà essere esercitata solo entro determinatesi condizioni, in particolare, non potrà coinvolgere contemporaneamente oltre il 10% dei dipendenti. A parziale copertura della perdita salariale, comunque, i lavoratori potranno optare per un aumento di 8 giorni delle ferie (di cui 6 pagati), oppure, in alternativa, per una “una tantum” pari al 27,5% della retribuzione mensile. E ancora, gli industriali hanno ottenuto la possibilità, sempre entro il 10% della forza lavoro, di portare l’orario effettivo da 35 a 40 ore.
Sebbene su alcuni punti non ci sia ancora la chiarezza necessaria, da una prima lettura dell’accordo sembra emergere la determinazione di una flessibilità oraria di tipo classico che riproporziona, entro limiti ben precisi, parte delle ore complessive lavorate che potranno diminuire o aumentare sulla base delle esigenze dei lavoratori e/o delle aziende. Ma è proprio qui che troviamo il vero passo in avanti che compie la contrattazione tedesca: nell’affermazione del diritto individuale alla riduzione del proprio orario di lavoro. Diritto che, certamente, si muove dentro macroregole predefinite nell’accordo prescindendo, però, in senso più stretto, dalle esigenze tecnico-organizzative dell’azienda.

Infatti, la grande e variegata esperienza della contrattazione italiana, soprattutto aziendale, da anni ha assunto il tema della flessibilità oraria come elemento indispensabile per coniugare insieme produttività e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro senza però assumere questo obiettivo fino in fondo. Molti sono gli accordi che, intervenendo sull’organizzazione del lavoro, hanno modificato l’orario per andare incontro ai problemi delle lavoratrici e dei lavoratori derivanti dalla necessità di cura e di assistenza dei propri familiari (dai bambini agli anziani) ma mai assumendo come centrale la persona ed il valore del suo tempo di vita.

Senza dubbio il sistema produttivo tedesco è diverso dal nostro che si compone prevalentemente di piccole imprese e, quindi, le soluzioni contrattuali non possono che cercare di essere aderenti ciascuna alla realtà data, ma la quarta rivoluzione industriale sta imponendo a tutti di rivalutare il lavoro e le sue modalità di svolgimento e l’accordo appena concluso compie sicuramente un passo in questa direzione.

C’è poi un’altra questione importante che da noi è rimasta solo sullo sfondo. Parliamo del salario. E anche in questo caso l’IG Metall e la Südwestmetall ci offrono un esempio da seguire: è ormai necessario approdare ad una politica salariale espansiva. Perché oltre ad intervenire sul sistema degli orari in quel Land, che conta 900.000 lavoratrici e lavoratori ma che si può desumere coinvolgerà col tempo tutti i 3,6 milioni di metalmeccanici ed elettrici tedeschi, si è dato anche un nuovo valore economico al tempo. Infatti, l’aumento in busta paga in 27 mesi è stato oltre il doppio dell’inflazione, al quale si deve aggiungere una prima una tantum pari a 100 euro a copertura dei mesi gennaio e febbraio, un premio uguale per tutti, a luglio 2019, di 400 euro e un secondo pari al 27,5% della retribuzione mensile. Erogazioni che nel 2020, ultimo anno di vigenza dell’accordo, verranno consolidate nei minimi retributivi.

Sintetizzando, in Germania si è passati dalla difesa, se non dal contenimento, del potere d’acquisto all’aumento del potere di spesa: la Uil, almeno dal 2015, sostiene che questa è la strada da seguire anche nel nostro Paese. È ora, infatti, che anche da noi si torni a valorizzare il tempo anche dal punto di vista economico. La Germania ci racconta di una importante strategia di flessibilità oraria ma, soprattutto, di crescita salariale e di benessere delle lavoratrici e dei lavoratori.

Concludendo, l’intesa tedesca può davvero essere di supporto ad una nuova stagione di relazioni sindacali anche in Italia ma solo se sapremo coglierne tutte le sfaccettature.

(*) Segretaria Confederale UIL 

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