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L’espressione di una fiera autonomia

E’ scomparso uno straordinario protagonista della vita sociale e della storia sindacale del nostro Paese. “Io, Pierre Carniti avendo fatto quasi solo il sindacalista, so bene che non è una professione, un mestiere come un altro. Il fare il sindacato è cosa impossibile da dire; per me è un modo di condividere la condizione umana, economica e sociale di chi lavora”. Sono le parole che appena due anni fa egli affida a Paolo Feltrin che, con un saggio auto-biografico, lo segue nel racconto della sua vita. 

Ho goduto il grande privilegio di poter spendere il mio impegno sindacale nel momento storico e nei luoghi in cui Pierre, insieme a Giorgio Benvenuto ed a Bruno Trentin guidavano le lotte unitarie dei metalmeccanici. Nella sua azione vedevo nitidamente scolpiti il senso della giustizia, la forza delle sue convinzioni, un rigore morale quasi giacobino. E poi il suo coraggio politico, fermo restando che quel coraggio lo manifesta nella forma di una robusta dialettica con la sfera politica rispetto alla quale rivendica una fiera autonomia. E’ un elemento che emerge nettamente nel rapporto con il sistema dei partiti. 

E’ cattolico fervente, ma non vota per la DC, manifestando così una urticante eresia nei confronti di una CISL, che invece è convintamente schierata a fianco del partito di maggioranza relativa. E’ un uomo di sinistra, senza reticenze, vicino alle idee socialiste (nelle elezioni politiche del 1968 sostiene la candidatura di Riccardo Lombardi), ma dichiara senza soggezione il suo anti-comunismo. “io, i comunisti non li ho mai temuti perché ho sempre pensato, fin dalle prime iniziative unitarie, che le nostre idee fossero migliori e che alla fine l’avremmo spuntata noi”. Ecco dunque affiorare una delle chiavi più forti del suo pensiero politico. Il sociale ha – deve avere – la sua autonomia di fronte al politico. La dialettica tra queste due sfere è necessaria perché alimenta la democrazia e promuove la partecipazione. E quando questa dialettica si esprime attraverso l’iniziativa delle forze sindacali non sono ammissibili pretese di subalternità del primo rispetto al secondo. 

In questa visione di fondo, per Carniti l’unità, lungi dall’essere un ostacolo all’affermazione   dell’autonomia del sindacato, ne costituisce la condizione. E’ la storia che di solito si incarica di eleggere sul campo i suoi condottieri. Le grandi lotte operaie che segnano il passaggio dagli anni 60 al decennio successivo mettono in campo una straordinaria domanda di egualitarismo, di partecipazione, ma soprattutto, di unità. In quel tornante temporale Carniti lascia la segretaria confederale per essere eletto, nell’aprile del 1970, segretario generale della FIM. Con lui si ritrovano Pippo Morelli, l’acuto, pacato ragionatore conosciuto anni prima al Centro Studi di Firenze e che aveva avuto accanto a Milano come autentico stratega della contrattazione aziendale nel momento in cui le lotte degli elettromeccanici davano il via al “risveglio operaio” dei primi anni 60. Ma ci sono anche Alberto Tridente Luigi Viviani, Franco Bentivogli ed un giovanissimo Raffaele Morese, che 12 anni dopo ne prenderà il posto alla guida della categoria. 

“FIM-FIOM-UILM Uniti si vince!” E’ lo slogan che riempie gli striscioni dei cortei e gonfia di entusiasmo e di partecipazione le assemblee operaie. Accanto a lui, a dirigere la UILM e la FIOM ci sono Giorgio Benvenuto, che sta pagando la sua scelta unitaria con l’espulsione dalla UIL, e Bruno Trentin che ha lasciato il seggio parlamentare per sottolineare esemplarmente il valore delle incompatibilità come condizione per costruire il sindacato unito. La domanda unitaria che proviene dalle fabbriche non ammette esitazioni, ma per fortuna, ad interpretarla ci sono tre leaders che all’unità del mondo del lavoro ci credono. Le rispettive appartenenze ideologiche sono lontane l’una dall’altra: Carniti il cattolico di sinistra, Benvenuto il socialista riformista, Trentin il comunista eppure in quel contesto straordinario di lotte e di mobilitazione sociale, si crea un’alchimia capace di mescolare come mai prima gli ingredienti ideologici, o forse mettendoli fra parentesi dal momento che tutti e tre sono convinti che l’originalità della fase storica che è davanti al sindacato poteva essere interpretata soltanto attraverso “il dialogo e l’impegno – sono ancora parole di Pierre – alla costante ricerca di una sintesi unitaria”. Un dialogo inteso “non come competizione, ma come disponibilità a riconoscersi tra diversi”. 

Da queste premesse valoriali prende forma e sostanza la Federazione Lavoratori Metalmeccanici, un esperimento straordinario e generoso concepito come l’innesco di un processo che avrebbe dovuto trascinare l’intero movimento sindacale all’approdo dell’unità organica. Le conquiste contrattuali che vengono realizzate tra il 1969 ed il 1973 cambiano profondamente i rapporti di potere all’interno della fabbrica. Innovazioni come l’Inquadramento unico tra operai ed impiegati e le 150 ore per il diritto allo studio diventano punti di riferimento generale che plasmano il discorso pubblico ed interrogano da vicino le strutture sociali ed economiche. In un processo di questa portata affiora persino una “teologia” dell’unità dal basso di cui Carniti appare come l’interprete più persuasivo, sicchè la sua volontà fornisce una spinta decisiva alla costruzione di un modello organizzativo per la FLM che supera le logiche trinitarie e paritetiche per creare le “responsabilità uniche”. 

Il fatto è che le rivoluzioni sono quasi mai un buon prodotto di esportazione. Negli anni che seguono la nascita della FLM, i metalmeccanici continuano ad essere una formidabile macchina che realizza conquiste contrattuali, che mobilità grandi lotte e che esprime una potenza organizzativa senza precedenti, ma intorno a loro comincia a farsi il vuoto. E’ la fase in cui il quadro dell’iniziativa sindacale si confederalizza dando vita alla Federazione Unitaria CGIL-CISL-UIL. Il fronte della lotta per l’unità adesso è quello, ed è lì che Pierre Carniti viene chiamato a rinnovare il suo impegno. Nell’aprile del 1974 lascia la guida della FIM nelle mani di Franco Bentivogli e torna nella segreteria confederale della CISL con Luigi Macario. Gli anni che seguono tengono il sindacato inchiodato al centro dei grandi fatti sociali, politici ed economici del Paese. Sono gli anni dell’unificazione del valore-punto di contingenza, dell’inflazione scatenata, del “compromesso storico”, con l’approdo del PCI nell’area di governo; della elezione di Bettino Craxi alla carica di segretario del PSI; sono gli anni peggiori del terrorismo brigatista che culmina nel rapimento e l’assassinio di Aldo Moro; della elezione di Sandro Pertini alla presidenza della Repubblica. Sono gli anni in cui il sindacato tenta di reagire alla crisi unitaria che ormai si manifesta sempre più apertamente, mettendo in campo una piattaforma generale che sarà consegnata alla storia come “la svolta dell’EUR”.  

Nel frattempo altri dirigenti metalmeccanici hanno raggiunto le rispettive confederazioni. Bruno Trentin entra nella segreteria della CGIL mentre Giorgio Benvenuto lascia la guida dei metalmeccanici nelle mani di Enzo Mattina per essere eletto direttamente segretario della UIL, quella stessa UIL che appena 5 anni prima lo aveva espulso. Nel 1979 è la volta di Pierre Carniti; Luigi Macario lascia nelle sue mani la guida della CISL. Accade cosi che per un capriccio della storia (ancora lei!) il dirigente che aveva guidato le grandi vittorie dei metalmeccanici di un decennio prima, sia chiamato a gestire la crisi del processo unitario e l’appuntamento con la più grande sconfitta operaia del dopo-guerra. E’ l’autunno del 1980 ed ai cancelli della FIAT nulla riesce ad arrestare il disastroso epilogo di una vertenza che dopo 35 giorni di barricate consegna pressoché per intero la vittoria nella mani dell’azienda. Carniti non rinuncia all’impegno per l’unità possibile nelle nuove condizioni che si sono determinate dopo quella sconfitta, tuttavia vede con chiarezza che occorre un nuovo orizzonte strategico ed un nuovo dislocamento delle forze. L’inflazione continua ancora a mordere dolorosamente il potere d’acquisto dei salari. La difesa della scala mobile diventa sempre più tormentosa e costringe a continui ripiegamenti. 

Si salda in quel frangente il sodalizio umano ed intellettuale con Ezio Tarantelli che fornirà alla CISL tutto il corredo scientifico e con il quale sarà elaborata la strategia di contrasto all’inflazione attraverso la “predeterminazione” della dinamica dei salari e delle principali variabili macroeconomiche. Ezio Tarantelli pagherà con la vita il suo impegno riformista, mentre il sindacato si avvia inesorabilmente verso il dissolvimento completo della stessa unità d’azione. “Bettino Craxi era uno uomo capace, con una grande considerazione di sé”. Questo dice Carniti del primo socialista che ha preso le redini del governo, ed è un giudizio importante perché sarà Craxi che offrirà ad un sindacato in grande difficoltà, la possibilità di tornare ad essere protagonista del grande gioco, chiamandolo a negoziare una vera Politica dei redditi modellata sulle intuizioni di Tarantelli. 

Il PCI di Enrico Berlinguer è decisamente contrario, e le ragioni sono quasi tutte riconducibili al conflitto politico che lo oppone a Bettino Craxi. Così quella trattativa diventa molto presto un test per misurare – insieme alla qualità dei contenuti sul tavolo – anche la questione delicatissima dell’autonomia del sindacato nella formazione delle scelte. Tra una stentata vita unitaria vissuta all’ombra del primato della volontà politica del partito che respinge pregiudizialmente ogni possibilità di intesa con un governo considerato alla stregua di un nemico, ed un accordo senza la firma della componente comunista della CGIL, Carniti vede in gioco la questione dell’autonomia sociale e contrattuale del sindacato e senza esitazione sceglie la via dell’accordo. Il 14 febbraio1984 a Palazzo Chigi viene sottoscritta l’intesa consegnata alla storia come “l’accordo di San Valentino” che impegnava il governo, la UIL di Giorgio Benvenuto, la CISL di Pierre Carniti e la componente socialista della CGIL rappresentata da Agostino Marianetti. Toccò a Pierre comunicare ai sindacalisti convocati in un Hotel romano, con la secchezza di una dichiarazione di rottura definitiva, che tra le confederazioni non era stato possibile raggiungere un accordo. Quella era l’ultima riunione del Direttivo della Federazione Unitaria. Qualcuno ebbe a dire che Carniti procedette alla demolizione del sindacato unitario con la stessa determinazione che aveva messo in campo per costruirlo. 

Il PCI decise di portare lo scontro con i firmatari di quell’accordo sul piano politico procedendo alla raccolta delle firme per indire un referendum abrogativo del “decreto di San Valentino”. Lo scontro fu frontale; investì le fabbriche, accese le piazze radicalizzò il discorso pubblico e pretese a tutti i protagonisti una mobilitazione che arrivava a coinvolgere profondamente la sfera emotiva e passionale. In quella battaglia Pierre mise tutto sé stesso, le sue risorse intellettuali, il suo tempo, le sue energie fisiche. Tutto. Ed il prezzo fu salatissimo, gli costò quello che lui chiamo un “acciacco”. Si, un acciacco che lo costrinse a lasciare la guida della CISL. 

Anche dalle parti del PCI il prezzo umano dello scontro fu tremendo. Ad Enrico Berlinguer costò la vita. Poi, per Pierre, sono venuti gli anni del rispetto della sua condizione di salute che però non hanno mai piegato la voglia di curiosare sui cambiamenti della società e della politica. Da ultimo lo ha fatto partecipando finché ha potuto, con la sua lucidità, con il suo rigore analitico e con la sua passione politica, all’avventura di “Koiné” un’associazione di cultura politica nata per stimolare la ricerca di nuovi percorsi unitari che ancora una volta facessero perno sulla volontà del dialogo e per confermare che non esistono culture politiche contrapposte quando il problema è quello di costruire l’unità del mondo del lavoro. Perché Pierre Carniti non ha mai smesso di essere di sinistra, di condividere il destino degli operai, di credere nell’unità. “Ancora oggi – confida a Paolo Feltrin – è la mia stella fissa nella sfera celeste. Eccome se ci credo all’unità del mondo del lavoro!”. Lui ora è lì. La chiesa è gremita dalle tantissime persone che lo hanno amato, rispettato e che ora lo piangono. Suo figlio va al podio e racconta. “Appena 6 giorni fa sono stato a fare visita a mio padre in ospedale. Mi ha accolto con un sorriso e mi ha messo a parte delle cure e delle visite mediche della mattinata. Il primario che mi ha visitato è bravo e competente, mi dice. Ma sai che cosa ho notato? Il camice che indossava non era quello bianco d’ordinanza dei medici, era blu: blu come il colore delle tute degli operai che porto sempre nel cuore”.

 

*già Segretario Generale della UILM

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