L’errore di una formula in un lavoro Excel, da parte degli economisti di Harvard, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, è degno di nota per le seguenti ragioni.
Lo studio dei due economisti, pubblicato con il titolo “Growth in a Time of Debt” è diventato da più di due anni a questa parte una sorta di manifesto dei sostenitori dell’austerità, citato, tra gli altri, da Timothy Geithner, ex Segretario di Stato al Tesoro USA, e da Olli Rehn, Commissario europeo per gli affari economici.
Si sostiene, partendo dallo studio di 63 anni di statistiche, che nei paesi il cui debito pubblico supera il 90% del PIL, la crescita è molto più bassa o addirittura negativa. L’errore è rilevante perché dai calcoli sono stati esclusi 5 paesi (Australia, Austria, Belgio, Canada e Danimarca), falsando in tal modo il tasso medio di crescita.
L’avere predicato come verità assoluta, provata scientificamente, che solamente l’austerità e i tagli possono portare alla crescita è stata una stupidaggine; scoprire, rifacendo i conti, che ci sono stati degli errori è il fondamento del metodo scientifico moderno, ma è anche stata una grande soddisfazione per chi ha sempre sostenuto che sotto le teorie del rigore ci sia stata una elaborazione accademica asservita agli interessi di chi detiene il potere economico e la ricchezza.
A fronte di chi dice che abbiamo vissuto in questi anni al di sopra delle nostre possibilità e che quindi oggi ne paghiamo le conseguenze, il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman ha scritto pochi giorni or sono: “ Gli economisti possono spiegare ad nauseam che tale interpretazione è errata e che, se oggi abbiamo una disoccupazione di massa non è perché in passato abbiamo speso troppo, ma perché adesso spendiamo troppo poco, e che questo problema potrebbe e dovrebbe essere risolto. Tutto inutile: molti nutrono la viscerale convinzione che abbiamo commesso un peccato e che dobbiamo cercare di redimerci attraverso la sofferenza” (o attraverso i compiti a casa della Merkel? N.d.R.).
Krugman ci ricorda poi che “l’influenza della dottrina dell’austerity non può essere compresa senza parlare anche di classi sociali e di diseguaglianza”. (La Repubblica, 27.04.2013)
Le teorie dell’austerità e del rigore che hanno portato alle regole europee, al pareggio di bilancio come vincolo di legge o costituzionale, al rapporto 60% da raggiungere con il Fiscal Compact, si scontrano con l’evidenza di una semplice formuletta; se, ad esempio, voglio far scendere il rapporto tra debito pubblico e PIL (Debito/PIL) dal 126% al 60% devo diminuire il numeratore e/o aumentare il denominatore. Ma se le politiche di rigore o di austerità fanno diminuire il PIL (come sta avvenendo in Italia ed in Europa), l’obiettivo diventa sempre più difficile da raggiungere in quanto, a parità del numeratore, il rapporto aumenta.
Questi sono i temi che oggi portano Europa e USA ad avere due diverse ricette per la ripresa dell’economia.
Al sesto anno della crisi cominciata nel 2008, gli USA hanno una crescita attorno al 2,5% con un tasso di disoccupazione sceso al 7,6%, mentre l’Europa è in recessione, vede la crescita della disoccupazione e anche i paesi forti come la Germania e l’Olanda cominciano ad avere contraccolpi.
Negli USA, la Fed continua a finanziare la ripresa e stampa moneta per ridurre la disoccupazione, sulla strada di un intervento diretto contro il rigore, contro l’austerità e contro i tagli alla spesa pubblica. Anche le Banche Centrali di Inghilterra e del Giapponesi stanno adeguando alle politiche della Fed.
In Europa l’austerità, i vincoli assoluti di bilancio e i diktat della Germania rendono sempre più grave la situazione. I limiti e i vincoli della BCE portano Draghi ad abbassare i tassi allo 0,5% come unica possibilità di movimento; una riduzione che le banche, almeno nel nostro paese, non trasferiranno all’economia reale sotto forma di credito alle famiglie e alle piccole e medie imprese.
Il nostro paese è il “grande malato” dell’Unione Europea. L’Istat ci ha appena detto che la disoccupazione salirà nel 2014 al 12,3%, mentre il PIL nel 2013 scenderà dell’1,3%. E le vere e proprie corde al collo della nostra economia sono il pareggio di bilancio anticipato rispetto ad altri paesi europei e le norme previste dal Fiscal Compact.
Con i nostri 2.000 miliardi di € di debiti, dovremo pagare annualmente circa 80 miliardi di interessi ed altri 40 miliardi circa all’anno per 20 anni per il Fiscal Compact. Questi oneri potranno diminuire al diminuire dello spread, ma aumenteranno al diminuire del PIL. Analogamente, se diminuisce il PIL aumenta il rapporto debito/PIL e peggiorerà il ricalcolo del Fiscal Compact. Sarà impossibile pensare di risanare i conti dell’economia in assenza di crescita.
Il Fiscal Compact, così come è stato fissato, rischia di diventare mortale per la nostra economia. Pagare il debito e risanare i conti vuol dire, come sempre, colpire i più deboli e i meno tutelati, ridimensionare scuola, sanità, servizi pubblici e servizi sociali.
Lo stesso Draghi, il 6 maggio scorso a Milano, ha denunciato come da venti anni sia in “atto una tendenza alla concentrazione dei redditi delle famiglie che penalizza i più deboli, mentre occorrerebbe una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale”. E’ difficile pensare alla crescita mantenendo il deficit entro il 3% ed è difficile avere margini per una spesa pubblica senza copertura.
Tornando all’errore dei due economisti, di cui abbiamo parlato all’inizio, esso mette in evidenza la scelta forzata e colpevole di coloro che optarono per il rigore ed il risanamento a tappe forzate: una pesante austerità avrebbe tenuto basso il rapporto deficit/PIL ed avrebbe assicurato nel lungo termine una crescita, cosi come sostenuto da Reinhart e Rogoff.
Si è così cancellata la ragione di coloro che chiedevano un risanamento più lento ed un sostegno pubblico all’economia, ancora troppo debole. Scegliendo la prima strada, il risanamento dei conti a tappe forzate, si sarebbe dovuto incontrare la crescita ed in realtà si è imboccata la via della recessione.
E’ per questo che, proprio per la tenuta dell’opzione europea e dell’euro, è necessario che si rivedano in sede europea le politiche di austerità ed i tempi e i modi del risanamento.
Aspettare che si tengano le elezioni in Germania e sperare in una posizione più morbida dei tedeschi è una posizione troppo ottimistica. E’ tra l’altro difficile valutare, dopo anni di linea comune CDU – SPD, l’uscita del leader dei socialdemocratici dell’SPD, Gabriel, che ha criticato la Merkel per la cura a cui ha sottoposto l’Europa: “ Il regime imposto dalla Merkel in Europa ha portato all’anoressia”. E’ probabile si tratti solamente di una uscita elettoralistica.
Ai lavoratori dei vari paesi, italiani compresi, serve da subito sapere se si vivrà in una Europa di lavoro, di progetto e di speranza o in una Europa di povertà, di disoccupazione, di mancanza di prospettive.