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“L’uomo bianco”. Intervista a Ezio Mauro

Un libro denso, scritto da un vero maestro del giornalismo italiano. Non è solo un reportage sull’Italia di oggi, sui rischi di degrado che corre il nostro Paese. Ma è anche una riflessione di un intellettuale che si interroga sulla nostra civiltà in preda alla paura e sulle colpe della politica che non ha saputo rispondere adeguatamente alle sfide di questo momento storico. Ezio Mauro nel  libro, pubblicato da Feltrinelli (L’Uomo bianco, pag. 134), ci offre spunti profondi. In questa intervista abbiamo sviluppato alcuni punti della sua riflessione.

 

EZIO Mauro, lei ha scritto un libro “doppio”, come lo ha definito acutamente Adriano Sofri, in quanto si muove nel doppio registro tra la cronaca e la riflessione “lunga” di tipo socio-politico. Per cui il libro diventa una inchiesta sul mutamento antropologico del nostro vivere quotidiano. Come cambia la cosiddetta “normalità” italiana?

Cambia perché ci permettiamo delle cose che non ci saremmo mai concessi qualche anno fa: una metamorfosi dovuta alla paura, alla globalizzazione e dovuta alla crisi più lunga del secolo (anche più lunga della Grande depressione del ’29), la crisi economica finanziaria, perché il nostro paese è il più lento ad uscire dalla crisi e questo lascia uno strascico perché c’è la fatica ad entrare nel mondo del lavoro da parte dei giovani. Così lascia quel rancore che determina un mutamento nel linguaggio, nel comportamento degli italiani cui non eravamo abituati. 

 

Ora nel suo libro ci parla dei tragici fatti, avvenuti nel febbraio di quest’anno a Macerata, che ha come lugubre protagonista Luca Traini, un neonazista vicino alla Lega di Salvini ( è stato candidato alle elezioni comunali in un Comune della Provincia di Macerata). Perché, per lei, la vicenda è un “paradigma” drammatico del cambiamento italiano?

Perché l’uomo di Macerata è un giovane uomo di 29 anni, che ha un’esistenza normale, che vive in una famiglia normale e che ha questa mutazione che parla della mutazione cui siamo sottoposti un po’ tutti. È chiaramente un caso limite, ma non è un caso isolato. La prima volta che parlai dell’ “Uomo bianco” su Repubblica fu nel 2010, quando tre africani sono stati lasciati a terra sulla grande strada a Rosarno quando tornavano dai campi dove raccoglievano pomodori e due uomini spararono con fucili ad aria compressa. Poi il caso della fornace di San Calogero in Calabria, quando Soumalia viene colpito da un uomo bianco perché aiutava due braccianti a prendere dei pezzi di lamiera di ferro per fare da tetto alle loro baracche dove vivevano. Da questi poi fioriscono altri casi, soprattutto nell’ultimo anno. Macerata è un po’ il detonatore: questo uomo che annuncia, prendendo l’ultimo caffè, “vado a sparare ai negri”.

Lei parla dell’apparizione dell’uomo bianco come qualcosa di spettrale, ed è veramente spettrale. Perché lo definisce così? E’ davvero un “inedito” nella storia italiana?

La nostra storia ha conosciuto il fascismo e un razzismo organizzato dal regime, ma c’è una storia di democrazia che credevamo ci avesse immunizzato, aiutato a risparmiare saggezza, ci avessero insegnato ad accumulare altra civiltà. Invece non è così, non c’è ovviamente un regime però questi casi isolati ci devono far riflettere. La democrazia italiana non aveva ancora conosciuto queste torsioni. L’uomo bianco è anche ciò che non ci siamo mai accontentati di essere, caricato di sovrastrutture. Noi siamo ciò che abbiamo accumulato, per nostra fortuna. Siamo diventati qualcosa di molto più complesso, ma l’uomo bianco è una spogliazione, un ritorno all’essenza primordiale. È un ritorno indietro, alla natura primitiva, mentre noi non ci siamo mai accontentati di essere soltanto quello.

 

Tutto questo si nutre di un clima di legittimazione strisciante. E qui arriviamo alle colpe della politica. Qual è la principale colpa della politica italiana?

È una colpa doppia: non aver visto nascere e crescere l’inquietudine degli italiani quando poteva essere raccolta, spiegata e governata e proporzionata per quella che era e questo particolarmente mi viene da dire per la sinistra italiana, perché queste paure coinvolgono soprattutto la parte più debole della nostra popolazione che la dovrebbe interpellare più da vicina, le persone anziane, le persone sole. Nella periferia italiana bisognava chinarsi su questa fetta di popolazione e rassicurarla e starle vicini, dicendole che non è vero che c’è un’invasione, sbarrare le nostre porte non è la soluzione. Il secondo errore è stato quello di ingigantire la paura e farla coincidere con l’immigrazione, ma guardando da vicino il problema della paura capiremo che la paura della nostra popolazione è fatta da tanti elementi: dal tema del lavoro, del sociale, dalla paura che i nostri figli non avranno la pensione, è fatta dalla mancanza di copertura da parte della politica che spesso non ci rappresenta più. Oggi la popolazione viene tenuta dentro una paura indistinta che viene fatta coincidere con l’immigrazione. Questo è un errore fatto non per caso, ma per una precisa scelta ideologica: la politica ricorda i monaci del Medioevo che percorrevano le contrade dicendo alle persone ricordati di avere paura.

 

 Esiste una barriera a questo dilagare? 

Bisognerebbe ricordarsi, in un momento in cui si parla molto di preservare la civiltà italiana, il costume italiano, che la Lega dovrebbe preoccuparsi della custodia della civiltà italiana delle nostre madri e dei nostri padri. Noi stiamo cedendo ad una ferocia nel linguaggio, nella postura, negli atteggiamenti nei confronti dei più deboli, nei confronti degli stranieri, nei confronti dei migranti che fa a pezzi la civiltà italiana dei nostri padri e delle nostre madri, che è la cosa più sacra che abbiamo ed è l’elemento italiano che abbiamo, ma che stiamo perdendo.

*Dal sito: http://confini.blog.rainews.it/2018/10/29/luomo-bianco-e-una-regressione-della-nostra-civilta-intervista-a-ezio-mauro/

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