L’ultimo rapporto SVIMEZ (2013) suona come un’ulteriore campanello d’allarme sullo stato di salute del Paese: l’economia italiana continua ad essere in affanno rispetto alle performance economiche registrate in altri Paesi europei e mostra al proprio interno un processo di indebolimento che sta interessando non solo le regioni del Centro-Nord, ma anche (e soprattutto) quelle del Mezzogiorno, colpite in maniera più accentuata dalle conseguenze della crisi e segnate da un divario economico e sociale che continua ad ampliarsi rispetto alla altre aree del Paese.
Nel più ampio scenario europeo – si legge nel rapporto – l’economia italiana ha maggiormente risentito, tra le principali economie europee, degli effetti della crisi economica internazionale. Le cause di tale rallentamento vanno ricondotte non solo a tensioni finanziarie collegate alla crisi del debito sovrano e a fattori strettamente interni connessi alle manovre di risanamento del debito pubblico. Persistono, infatti, da oltre un decennio, carenze strutturali che rallentano fortemente la crescita del sistema economico italiano. Nel periodo 2001–2012 il divario nei tassi di crescita rispetto ai principali paesi europei è stato pari ad oltre l’11% e nello stesso periodo l’economia italiana è cresciuta con ritmi decisamente più lenti rispetto a quella francese, tedesca e spagnola. E non solo per la ridotta dimensione media delle imprese e la bassa spesa in ricerca e innovazione. Fattori di natura istituzionale (inefficiente nella regolamentazione dei mercati, amministrazione e gestione di servizi pubblici…) si aggiungono alla mancanza di un’adeguata dotazione infrastrutturale e di capitale umano.
In presenza di un quadro economico fortemente destabilizzato dagli effetti della crisi e segnato da un periodo di bassa crescita e di produttività stagnante, il Mezzogiorno ha subito una flessione dell’attività economica molto più evidente rispetto alla media nazionale.
Le indicazionicontenute nel rapporto SVIMEZ allertano sull’accelerazione che la crisi sta imprimendo al processo di depauperamento del Mezzogiorno, amplificando il rischio di perdere in modo irrevocabile gli asset di capitale materiale e immateriale e le risorse umane presenti in quest’area del Paese.
I dati ripresi nel rapporto mostrano, infatti, una costante riduzione del prodotto interno lordo del Mezzogiorno, confermando una tendenza in atto dal 2007 che ha determinato dal 2007 al 2012 una contrazione del PIL meridionale del -10,1%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro–Nord (-5,8%). Con specifico riferimento al 2012, Il PIL del Mezzogiorno si è ridotto del -3,2%, una flessione superiore di oltre un punto percentuale rispetto al prodotto interno lordo rilevato nel resto del Paese (-2,1%), e dovuta soprattutto ad una contrazione della domanda interna, legata non solo al crollo degli investimenti, ma anche ad un significativo calo dei consumi.
Il dato relativo al 2013 mostra una contrazione al Sud dei consumi finali interni pari al -4,3%, di oltre mezzo punto percentuale maggiore rispetto al calo registrato nel Centro-Nord (-3,6%). La differenza tra le due aree del Paese è dovuta soprattutto alla dinamica dei consumi delle famiglie, in calo nel Mezzogiorno del -4,8%, un punto percentuale in più rispetto al valore registrato nel resto del Paese (-3,8%). Complessivamente, dal 2008 al 2012, i consumi delle famiglie nel Mezzogiorno si sono contratti di oltre nove punti percentuali (-9,3%) (-3,5%, nel resto del Paese) e il calo cumulato della spesa è stato significativo per i consumi alimentari (-11,3%) (-8,8% al Centro-Nord) e ancor più marcato (-19,2%) per il vestiario e calzature, quasi doppio che nel Centro-Nord (-11,4%).
La netta flessione dei consumi si accompagna a delle condizioni sempre più critiche del mercato del lavoro: tra il 2008 e il 2012 nel Mezzogiorno l’occupazione si è contratta del -4,6% (a fronte dell’-1,2% del Centro-Nord) e in questa parte del Paese si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi. Non solo. Oltre al divario territoriale, nel rapporto viene messo in luce come il gap generazionale stia assumendo dimensioni sempre più ampie. Nel 2012 il tasso di occupazione giovanile registrato al Sud è stato pari 30,8%, oltre venti punti percentuali in meno della media del Centro-Nord (51,3%). Nel Mezzogiorno il flusso di giovani neo-occupati si è ridotto dai quasi 450 mila del 2008 ai 340 mila del 2012. I nuovi assunti (gli occupati che risultavano non esserlo nell’anno precedente) tra i 15 e i 34 anni, nell’ultimo quadriennio si sono ridotti nelle regioni meridionali di quasi un quarto, a fronte di un calo del 13% nel Centro-Nord, e le difficoltà maggiori hanno interessato soprattutto i diplomati e i laureati, che nel Sud presentano tassi di occupazione (rispettivamente del 31,3% e del 48,7%) decisamente più bassi rispetto a quelli del resto del Paese (rispettivamente, 56,8% e 71,5%).
La componente territoriale sembra agire come una cassa di risonanza di queste differenze, con ricadute rilevanti anche in termini di equità sociale. Un dato su tutti: fra il 2007 e il 2010, il rischio di povertà è aumentato in misura maggiore nel Mezzogiorno passando dal 32,7% al 34,6% per i residenti meridionali e dall’11,1% all’11,6% per quelli del Centro-Nord. Dal 2007 al 2012 anche il tasso di povertà assoluta è cresciuto più rapidamente al Sud (dal 5,8 al 9,8%) che al Centro-Nord (dal 3,3% al 5,4%) e nel 2012 il 9,7% delle famiglie meridionali ha vissuto al di sotto della soglia di povertà.
Il divario di benessere socio-economico tra Mezzogiorno e resto del Paese appare, pertanto, amplificato e continuano a persistere marcate differenze territoriali, anche nel godimento di alcuni diritti di cittadinanza e nell’offerta di servizi ai residenti. Attraverso l’elaborazione di un indice di benessere regionale(1), nel rapporto viene messo in luce come il Sud sia maggiormente penalizzato in campi quali l’Istruzione, la Salute, la Sicurezza e la Ricerca e lo sviluppo. Ma ciò che più colpisce è “(…) la tendenza all’ampliamento del divario storico Nord-Sud anche rispetto ai “nuovi” servizi che la Pubblica Amministrazione eroga sulla base delle innovazioni intervenute nel corso dell’ultimo decennio”, una inefficienza che per i cittadini e il sistema delle imprese produce maggiori costi e rallenta il percorso di avvicinamento del Mezzogiorno a livelli di competitività necessari per imprimere un impulso allo sviluppo dell’area, rendendola meno attrattiva a possibili investitori esteri.
Questo spaccato statistico fotografa una situazione che nel Mezzogiorno ha innescato una spirale negativa (“minori redditi” – “minori consumi” – “meno crescita” – “meno lavoro”), lungo cui sono venute rafforzandosi asimmetrie territoriali, caratterizzate – si legge nel rapporto – da inoccupazione massiccia, impoverimento e da una riduzione delle opportunità di realizzazione individuale delle giovani generazioni. Le osservazioni, più volte riprese nelle analisi SVIMEZ, sottolineano il rischio che tale spirale – se non interrotta – possa allungare ulteriormente i tempi di recupero dalla crisi del tessuto produttivo e del capitale umano dell’area meridionale, compromettendo la stessa tenuta sociale di molte realtà territoriali del Mezzogiorno e accentuando la frattura fra le due macro-aree del Paese.
(1) L’indice, elaborato in via sperimentale, è stato costruito sulla base degli indicatori prodotti dal Comitato di indirizzo CNEL-ISTAT che riproducono l’indice di soddisfazione individuale.