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La democrazia del “meno peggio” è meglio di quella populista

Discutendo con un amico sulle prossime elezioni amministrative di Roma, e data la mancanza di iniziativa a sinistra, ragionavamo sulla possibilità che forse saremo obbligati a votare il candidato “meno peggio” degli altri. Non è la prima volta che in una elezione questo accade, specie quando la scelta è tra una persona e un’altra o tra uno schieramento e un altro. Capita in Italia nell’elezione dei sindaci, capita in Francia nelle elezioni presidenziali dove ha sempre favorito gli schieramenti antilepenisti.

Da noi non ha sempre funzionato. A Roma, a esempio, non ha funzionato nel 2008 nello scontro tra Rutelli candidato del centrosinistra e Alemanno candidato del centrodestra. Ricordo diversi amici di sinistra e di estrema sinistra che si rifiutarono di votare Rutelli anche per la sua decisione di astenersi al referendum sulla procreazione assistita. Ma dall’altra parte c’era un (ex) fascista e i suoi supporter, infatti, salutarono con il saluto romano la vittoria sulle scale del Campidoglio. Ricordo che il presidente del collegio sindacale di Cometa, ebreo, mi raccontò che la vecchia madre era spaventata dal fatto che fossero tornati i fascisti. Lei aveva memoria, altri evidentemente no e comunque non sapevano affrontare le situazioni contingenti.

Questi fatti mi tornavano in mente mentre guardavo le immagini dal Campidoglio di Washington invaso dai fans di Trump. Mi venivano in mente tutti quei compagni di sinistra che quattro anni fa avevano accolto con soddisfazione la sconfitta della Clinton e il successo di Trump.

Intendiamoci, la Clinton e il partito democratico americano la sconfitta se la erano cercata con le politiche economiche portate avanti da Clinton in poi. La coalizione roosweltiana non esiste più, la working class ha voltato le spalle ai democratici perché si è sentita abbandonata e certo non rappresentata dalla Clinton. Ma come si fa a pensare che un soggetto come Trump con la sua storia possa costituire una alternativa migliore? Che questo possa apparire credibile sui social, che convinca parte di un elettorato colpito nei suoi interessi, preda di suggestioni, di propaganda o quant’altro passi, ma che convinca pensatori, intellettuali e politici di sinistra per me rimane un mistero.

Poi si è visto, infatti, come la politica fiscale di Trump sia andata a favore della working class e a danno delle multinazionali.   

Certo c’è un ordine mondiale economico precovid da criticare e da combattere che ha portato alla crescita drammatica delle disuguaglianze e che pone a rischio i sistemi democratici. Ma non si combatte questo sistema appoggiando soggetti come Trump o rifiutando di combattere contro di loro anche con chi non ci piace. La difesa della democrazia è la base su cui costruire tutto il resto.

In un regime democratico possiamo lottare per i nostri diritti civili, sociali ed economici, in un regime non democratico no.

La signora Thatcher non mi era affatto simpatica per non dire di peggio ma non aveva la cattiva abitudine di ordinare alla RAF di gettare nel Canale della Manica i sindacalisti dei minatori inglesi con il ventre squarciato per farli mangiare dai pescecani come invece facevano i generali argentini con i loro oppositori gettati nell’estuario del Rio della Plata. Quando negli anni novanta sono andato a Buenos Aires ad incontrare  i sindacati argentini ho visto i vuoti generazionali prodotti da una delle peggiori dittature militari sudamericane. E ancora oggi mi domando ma Thatcher o non Thatcher come non si poteva stare da una parte ben precisa nello scontro sulle Falkland?

Siamo a cento anni dalla fondazione del PCI e dalla scissione di Livorno. Cento anni che hanno visto la nascita e la fine di molti regimi comunisti e la trasformazione di altri in regimi che di comunista hanno poco. Non credo che Marx, Lenin e Mao si possano riconoscere in quello che sono stati e che sono i regimi di comunismo reale. Spero che nella miriade dei libri che si stanno scrivendo in occasione del centenario ci sia anche posto per qualche riflessione sulla perdurante tendenza a considerare come nemico peggiore quello più vicino e a non mettere al primo posto la difesa dell’ordine democratico. 

  

 

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