Le decisioni assunte la settimana scorsa dalla banca centrale statunitense (Fed) e dalla Bce, hanno suscitato commenti uniformi: la Fed ha avviato una restrizione della politica monetaria, mentre la Bce si è limitata a un graduale ridimensionamento della sua politica espansiva. Questi commenti trascurano, però, la combinazione fra politiche monetaria e fiscale (policy mix) nelle due aree e non colgono, perciò, i più probabili effetti ‘reali’ derivanti dalle scelte delle due banche centrali.
Negli Stati Uniti, le politiche di spesa dell’amministrazione Biden per l’ammodernamento delle infrastrutture e il sostegno dei redditi più bassi promettono rilevanti aumenti sia dell’offerta che della domanda aggregate. Pertanto, le restrizioni di politica monetaria erano attese: limitando i rischi di surriscaldamento dell’economia, esse faciliteranno la realizzazione delle iniziative fiscali espansive.
Nell’area euro invece, i programmi temporanei della nuova politica accentrata di spesa (Next Generation-Eu:Ngeu) impongono profonde ristrutturazioni produttive; di conseguenza, per sostenere la crescita economica, essi dovrebbero accompagnarsi a politiche monetarie molto espansive. Le recenti decisioni della Bce non assicurano tali condizioni.
Le scelte europee di politica monetaria sono tecnicamente comprensibili. Gli aumenti nella struttura dei tassi statunitensi di interesse, che saranno indotti dalle decisioni della Fed, finiranno per contagiare i tassi di interesse di mercato nell’euro area. Se non attuasse correzioni, la Bce rischierebbe di trovarsi in ritardo rispetto alle tendenze di mercato.
Resta il fatto che il nuovo policy mix europeo non gioverà agli Stati membri con alto debito pubblico. Diventa quindi ancora più importante un efficiente utilizzo delle opportunità aperte da Ngeu, anche per facilitare l’accordo su nuove ed efficaci regole fiscali nel corso del 2022.
*da In più, 20/12/2021