La guerra di Israele contro Hamas è iniziata dopo che, il 7 ottobre 2023, l’organizzazione islamica ha realizzato una strage che ha riproposto l’orribile esperienza dell’Olocausto. Nel corso di tale attacco la violenza islamica ha ucciso 1200 ebrei, ha violentato donne, decapitato uomini, bruciato vivi bambini e dato fuoco a intere famiglie, deportato ostaggi secondo le peggiori retate naziste. Una orribile strage compiuta all’improvviso su persone inermi, colpevoli solo di essere ebrei.
Di fronte a questo scempio di chiaro segno razzista, Israele aveva il diritto-dovere di difendersi e di creare le condizioni affinché tale massacro non avesse a ripetersi. A questo punto, la questione è stata assunta dal governo Netanyahu, che, anche stimolato dall’ultradestra israeliana, ha avviato una dura risposta militare sulla base di scelte strategiche che fin dall’inizio lasciavano intravvedere uno scontro dagli effetti incerti e probabilmente regressivi.
Netanyahu, infatti, sulla base della conclamata superiorità della forza militare di Israele, ha avviato immediatamente una dura risposta tramite missili, droni, bombardamenti a tappeto su obiettivi militari e civili, assumendo come area prevalente delle operazioni belliche la Striscia di Gaza, nella quale la presenza di Hamas avveniva anche tramite numerose gallerie sotterranee che rendono il confronto particolarmente difficile e politicamente costoso.
Fin dall’inizio, il capo del governo israeliano ha impostato il conflitto su due criteri strategici che ne hanno segnato lo sviluppo e i limiti. Da un lato la scelta di risolvere lo scontro solo attraverso l’uccisione fisica dell’intera classe dirigente di Hamas, dall’altro condurre le operazioni belliche privilegiando il fine della vendetta su quello della giustizia. Questi criteri, che prefigurano una gestione del conflitto del tutto incerto e ad alto rischio, sono anche il frutto di una sorta di credito con cui l’opinione pubblica internazionale valuta le vicende di Israele in relazione al torto storico subito fin dalla Shoah.
Il governo Netanyahu ha utilizzato fino in fondo tale vantaggio, anche come insperata opportunità di prolungare la vita del suo governo. In tal modo ha proseguito e intensificato unilateralmente i bombardamenti su Gaza con la necessità di colpire i capi di Hamas nascosti nei tunnel sotterranei o camuffati tra i civili e in relazione alle reazioni dei Paesi confinanti, ha aperto diversi fronti di guerra fino ad allargare il conflitto pressoché in tutto il Medioriente.
Nello stesso tempo trascurando gli inviti ad una maggiore moderazione da parte degli alleati, Biden in testa, che in tal modo ha dato segni di debolezza che hanno pesato anche nella sconfitta elettorale di Harris. Un comportamento che, in un anno di guerra, se ha notevolmente indebolito Hamas, uccidendo alcuni suoi leader, ha provocato decine di migliaia morti civili, in buona parte bambini, ha inviato missili e droni su scuole e ospedali, ha razionato il cibo nella Striscia realizzando una certa strategia della fame, obbligando gran parte degli abitanti palestinesi a fuggire all’estero.
In definitiva, ha prostrato un’intera società sotto gli effetti devastanti e disumani di una guerra senza fine. Tanto che la Corte di giustizia dell’Onu ha accusato Israele di “metodi da genocidio” mentre Papa Francesco, invitando gli organismi internazionali a verificare se a Gaza siamo in presenza di genocidio, ha riconosciuto la deriva disumana provocata dalla guerra. A questi giudizi il governo israeliano ha riportato tutto all’inizio affermando che il genocidio è stato il 7 ottobre e che Israele rimane vittima e non carnefice.
Ma il problema vero sta nel fatto se chi è stato vittima possa reagire vendicandosi senza alcun limite umano e morale, restando comunque vittima. Credo che in tal modo l’antisemitismo come male dell’umanità è destinato a permanere e prosperare, con gravi conseguenze per il popolo ebraico e per l’umanità di tutti. Nonostante le responsabilità storiche di alcuni popoli europei nei confronti della Shoah, che li rendono incerti o silenziosi nel giudicare i comportamenti di Israele, abbiamo un preciso dovere di verità nei confronti del popolo ebraico, sulla Shoah e sui comportamenti successivi, compresi quelli di Israele, come via e sostegno efficaci nella lotta contro l’antisemitismo. Da questo punto di vista l’Italia ha corretto suoi errori e limiti precedenti facendo di tale lotta lo spirito e il cuore della sua Costituzione. Per questo oggi spetta anche a noi il compito e la responsabilità di contribuire a questo discorso di verità.