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La leva della formazione continua tra luci e ombre

Nel quadro delle linee di indirizzo tracciate da Europa 2020 a dalla rinnovata Agenda europea per l’apprendimento degli adulti, la costruzione e il consolidamento di un sistema di lifelong learning si basa sull’individuazione e il riconoscimento del patrimonio culturale e professionale accumulato dai cittadini e dai lavoratori nel corso della propria storia personale e professionale. 

I risultati del XIV Rapporto sulla Formazione Continua realizzato dall’Isfol restituiscono lo stato di salute del sistema attraverso una dettagliata analisi delle tendenze in atto, caratterizzate, nel corso dell’ultimo anno (2012-2013), da un significativo aumento in tutte del macro-aree del Paese delle attività di istruzione e/o formazione rivolte alla popolazione adulta, con valori più elevati riscontrati al Centro (da 6,3% a 7,3%) e nel Nord-Ovest (da 5,7% a 6,6%), territori già in passato contraddistinti da un’elevata concentrazione di interventi formativi e da un più significativo incremento di misure di sostegno in deroga. 

I percorsi formativi hanno coinvolto generalmente più donne che uomini (fig. 1) e hanno interessato la classe di età più giovane (25-34 anni), mediamente più istruita e formata, ma con più accentuate difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, alimentando ciò che nel rapporto viene definito come “un doppio processo di depauperamento del patrimonio conoscitivo e di competenze generate dal sistema di istruzione e formazione”, un processo che da un lato lascia la forza lavoro più formata ai margini del mercato del lavoro, dall’altro, sostiene un sistema formativo troppo spesso concentrato sugli stessi target senza avere la possibilità di favorirne il concreto ingresso nel mercato.

 

Figura 1 – Popolazione 25-64enne per frequenza di corsi di studio e/o formazione per area territoriale e genere (val. %).

 

Fonte: Rapporto sulla Formazione Continua. Elaborazione Isfol su dati Istat RCLF, medie 2012.

 

Considerazioni analoghe emergono considerando il livello di istruzione di coloro che intraprendono percorsi formativi: i dati relativi all’annualità 2012-2013 confermano infatti una “propensione” alla formazione più accentua tra gli adulti in possesso di livelli di studio più elevati (16%), mentre solo l’1,6% di soggetti con più bassi livelli di istruzione prende parte a percorsi di formazione. 

Un’ampia componente della popolazione adulta resta, dunque, estranea ai circuiti formativi, organizzati prevalentemente attraverso il metodo di formazione tradizionale (corso “in aula”), considerato un investimento meno rischioso e più collaudato rispetto ad altre metodologie che privilegiano forme di apprendimento e trasmissione delle competenze di carattere esperienziale. Ciò vale soprattutto per le imprese, che nel corso del 2012 sono state meno attive rispetto all’anno precedente sul fronte della formazione (sia interna che acquisita all’esterno). Le maggiori difficoltà sono state riscontrate nel tessuto delle “micro” e “piccole” imprese, che in ragione di una sensibile contrazione di alcuni mercati merceologici (alimentari, bevande e tabacco, mobile, carta…) hanno ridotto significativamente i propri investimenti in formazione (fig. 2).

Figura 2 – Imprese che, internamente o esternamente, hanno effettuato nel 2012 corsi di formazione per il personale, per classe dimensionale, settore di attività e ripartizione territoriale (quota % sul totale).

 

 

Fonte: Rapporto sulla Formazione Continua. Unioncamere – Ministero del Lavoro, Sistema Formativo Excelsior, 2013.

 

Di contro, sono le imprese di maggiori dimensioni (“250-499 dipendenti” e “oltre i 500 dipendenti”) che nel corso del 2012 hanno utilizzato maggiormente la leva della formazione, confermando la tendenza a pianificare strategie di rilancio e ampliamento delle proprie attività, per mantenersi nel mercato e avviare processi di rinnovamento, costruite proprio (ma non solo) attraverso l’avvio di processi di aggiornamento e riqualificazione delle competenze, dove il ricorso alla formazione è aumentato per entrambe le classi dimensionali di impresa (“250-499 dipendenti” e “oltre 500 dipendenti”) rispettivamente del 3,4% e dell’1,4% rispetto all’anno precedente. Tale crescita appare evidente soprattutto per le imprese che operano nel comparto dell’industria, ed è riconducibile – come evidenziato nel rapporto – “(…) sia alla capacità di ricerca e di innovazione tecnologica che connota queste produzioni, che alle capacità di rimanere interessanti nei mercati, grazie alle possibilità di investimento di cui possono disporre le imprese di grandi dimensioni”. 

Nello specifico, nella classe “250-499 dipendenti” si distinguono le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo con un incremento del 16,8% del numero di imprese attive in interventi formativi rispetto all’anno precedente, seguito dalla lavorazione dei minerali non metalliferi con un incremento del 7,1%, e le industrie elettriche, elettroniche, ottiche e medicali con il 7%. La stessa tipologia di produzione migliora anche nella classe “oltre 500 dipendenti”, con un incremento di 8,1 punti percentuali. 

Sul piano operativo strettamente operativo, nonostante il ricorso a metodologie di apprendimento tradizionali, sono state rilevate di frequente modalità di intervento costruite su nuove forme di organizzazione del lavoro e sullo sviluppo di pratiche facilitanti lo scambio tra “lavoratori” e tra “lavoratori e management aziendale”. Non solo. L’avvio di processi di integrazione sta interessando le stesse imprese, che utilizzano (e valorizzano) con maggiore frequenza i “contratti di rete”, ripensando il proprio business secondo una logica di cooperazione tra diversi stakeholder e stimolando quindi la ridefinizione di un’offerta formativa calibrata su nuovi profili professionali e nuove competenze

In questo quadro, ripreso nelle sue linee generali, stanno gradualmente intervenendo i diversi sistemi regionali, definendo policy e strategie di intervento calibrate sulle reali esigenze formative espresse a livello locale. Al centro del processo viene posta la costruzione di strumenti e metodologie di intervento che siano in grado di intercettare esigenze complesse, sviluppando piani formativi di ampio respiro, che vanno dall’orientamento alla formazione, costruendo sinergie virtuose tra il sistema dell’istruzione e la rilevanza dei fabbisogni professionali espressi a livello locale. Ma non senza difficoltà

Le problematiche dettate soprattutto dal perdurare della crisi economica hanno inciso sensibilmente sull’assetto dei sistemi regionali della formazione, generando significativi livelli di disomogeneità e una diversa capacità di risposta alle richieste provenienti dal territorio. L’offerta formativa è apparsa, infatti, fortemente condizionata “ (…) da un elevato livello di eterogeneità delle policy dei sistemi regionali che si riscontra, in modo specifico, nelle modalità con cui viene impostata e curata la gestione delle politiche del lavoro e della formazione (…), sempre più “sospesi” tra la necessità di realizzare interventi anticrisi efficaci, e dai risultati visibili, e le difficoltà di progettare e programmare interventi a breve-media scadenza con budget in progressiva riduzione”. 

Il ciclo di vita delle politiche formative regionali è apparso, pertanto, fortemente condizionato: finalità e priorità sono state ri-orientate in ragione del configurarsi di scenari occupazionali sempre più cupi, cui ha fatto da contrappeso, da un alto, il consolidarsi di sinergie virtuose tra le amministrazioni regionali e gli operatori pubblici e privati della formazione, valorizzando un approccio di sistema che allinea “pubblico” e “privato” rispetto alle priorità delle azioni da intraprendere. Dall’altro (soprattutto in alcune aree del Paese) è apparsa evidente la propensione ad una maggiore integrazione strutturale tra diversi ambiti di policy (politiche di sviluppo socio-economico, politiche dell’istruzione, della formazione e del lavoro) nonché allo sviluppo delle reti per i servizi dell’impiego e per l’innovazione, secondo un processo di programmazione e attuazione degli interventi formativi che mostra in molte Regioni interessanti segnali di mutamento, su tutti l’adozione di una logica di intervento che tende al superamento delle “rigidità” ereditate dai precedenti sistemi e pone particolare attenzione alla domanda di formazione piuttosto che al versante dell’offerta. 

 

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