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La memoria (dimenticata) di Giovanni Avonto 

I sindacalisti sono la memoria storica del sindacato. Serve ricordarli come si è fatto con Giovanni Avonto, a tre anni dalla sua scomparsa, con la Fondazione Nocentini. Tra le innumerevoli attività svolte da Avonto credo sia di attualità l’originale decalogo del buon sindacalista, nato dalla Fim piemontese quando era guidata proprio da Avonto, e approvato al quarto congresso regionale. Successivamente per il congresso Cisl era stato predisposto un documento di linee guida per un codice etico, approvato alla unanimità nel febbraio 1993. 

Quel decalogo nasceva anche in risposta ad alcuni fatti incresciosi dell’epoca che travalicavano l’etica del sindacalista ma resta un messaggio attuale. Usare l’organizzazione sindacale per il proprio tornaconto personale attraverso crescite pilotate di carriera oppure utilizzando mezzi e risorse del sindacato sono prassi che abbiamo vissuto, seppur raramente. Il rischio è di usare e considerare il percorso sindacale un privilegio per il proprio status anziché, come raccontava Domenico Liberato Norcia, storico delegato Fim degli anni ’70 e ‘80 a Mirafiori, una ricchezza culturale e sociale. Il sindacato come strumento di crescita culturale e sociale diventando soggetto attivo e partecipativo nella società attraverso l’azione sindacale. 

Grazie a quel lavoro di Avonto e di quel gruppo dirigente oggi abbiamo insieme allo Statuto della Cisl un codice etico e comportamentale. Proprio l’attuale codice etico ci ricorda che il dirigente sindacale “non acquisisce, nello svolgimento della propria attività sindacale, uno status ma l’esclusiva consapevolezza del sindacalismo come una delle massime espressioni di servizio civile”

Vorrei anche ricordare alcuni passaggi come il punto relativo a “sobrietà e gestione efficiente”. “Ricordando che gran parte delle risorse economiche e finanziarie utilizzate dall’Organizzazione provengono dal contributo autonomo e volontario dei/delle lavoratori/trici e pensionati/e con la trattenuta sindacale mensile: la Cisl si impegna ad adottare e promuovere comportamenti contrassegnati da sobrietà e buona amministrazione; la Cisl si impegna ad utilizzare le risorse disponibili nel modo migliore, evitando in particolare qualunque forma di spreco”. E poi prosegue “ha il dovere di rispettare la persona, la sua dignità ed i suoi diritti senza alcuna discriminazione promuovendo anche la cultura delle pari opportunità. Non può accettare privilegi, (Né crearsi artatamente privilegi economici nell’esercizio del suo ruolo, aggiungerei) favori o incarichi, né favorire assunzioni, affidamento di incarichi e/o collaborazioni, che possano condizionare la sua autonomia e credibilità tra gli/le associati/e, o creare conflitti d’interesse, né può sfruttare la sua posizione per ottenere vantaggi personali; Deve rifiutare pagamenti, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi, regali, promozioni, gratifiche, favori o privilegi che possano condizionare la sua attività o ledere la sua credibilità e quella dell’Organizzazione”. 

A un lettore attento ora verrà spontanea una domanda: “Ma se un’organizzazione sindacale si dota di un codice etico vuol dire che è successo qualcosa che lo ha reso necessario” e ho già risposto che è stato così in tempi remoti quando accadde anche che un sindacalista sosteneva che per presentarsi al tavolo di trattativa occorreva un vestito adeguato (la “vestimenta”) ed essendo uno strumento di lavoro doveva pagarlo il sindacato. 

Mi è venuto in mente quando sono andato in trasmissione Anno Zero, era il 13 gennaio 2011, e non portavo “vestimente” pagate dal sindacato ma una maglia da dieci euro comprata al mercato perché i miei padri sindacali, a partire dai fratelli Gheddo, teorizzavano che davanti al padrone si doveva vestire dignitosamente, anzi una forma di protesta era andare a lavorare in officina in giacca e cravatta ma rigorosamente pagati con i soldi propri. Il maglione, come ci ha insegnato Marchionne, è il simbolo della normalità anche se ricopri ruoli importanti, perché contano le idee non il vestire. Non conta lo status ma essere al servizio della comunità sindacale. Purtroppo c’è chi ha invertito le priorità. 

Nel caso quel sindacalista avesse fatto proseliti ai giorni nostri ecco che non solo esiste il decalogo del buon sindacalista ma il nostro Statuto dice che qualunque iscritto può denunciarlo alla magistratura interna e non esistono scadenze, anche fra due anni. 

La memoria di Giovanni Avonto ci ricorda che ogni azione compiuta da un sindacalista è fatta grazie ai soldi dei lavoratori che li scalano dal loro salario per garantire un bene comune che è il Sindacato. Non dimentichiamolo mai e come dicono i cartelli per chi vìola la Legge: ogni abuso sarà punito. 

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