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Parola d’ordine: convivenza, integrazione, responsabilita’

Carsicamente, riappare sulla scena delle italiche miserie mai risolte, la questione dello smaltimento dei rifiuti. Se farli finire in fumi o sotterrarli. Termovalorizzatori versus discariche. Per la verità è anche in auge una “terza via”: strapagare a chi questo dilemma non se lo pone, perché è da tempo che l’ha risolto. In questi giorni, la protagonista è stata di nuovo la Campania; l’acquietamento degli ultimi anni era stato assicurato proprio dalla “terza via”, dato che nel frattempo il termovalorizzatore di Acerra è entrato in funzione a pieno regime e il ricorso alle discariche è risultato sempre più difficile. Il surplus veniva trasferito  all’estero o ai termovalorizzatori del Nord Italia. I guai sono iniziati dall’annuncio della Cina e dell’India di non volerlo più. Sul che fare è scoppiata una polemica fin nel cuore di Palazzo Chigi, non ancora sopita.

Questa diatriba è una metafora del Paese, da molti punti di vista. Quello fattuale: al Centro Nord c’è la più alta concentrazione di inceneritori (in lenta via di estinzione) e termovalorizzatori (in graduale aumento) ma anche la più diffusa raccolta differenziata, fino al porta a porta. Convivono e si integrano. Da Roma, compresa, in giù il contrario, fino al record della Sicilia dove si continua a buttare quasi tutto in discariche. Quello ideologico: da una parte, il luddismo (camuffato da nuovismo) di chi vede nella tecnologia tutto il male possibile; dall’altro il conservatorismo che, in nome dell’emergenza, tiene viva l’esigenza delle discariche o dei costosi trasferimenti altrove. Secondo l’Ispra, tra Roma e Napoli e altre città del Sud, si spendono 200 milioni l’anno, in sovrapiù. Quando entrano in campo le due ideologie in continua e opportunistica competizione, prevalentemente vince la seconda, anche in concomitanza della pratica della differenziata più spinta che, ovviamente, ha una capacità di gestione alquanto lenta e complessa, specie nelle grandi città. 

E infine, c’è un problema politico: non è questione di schieramenti classici, del tipo centro sinistra, centro destra, ma di classi dirigenti. Dove ci sono e sanno assumersi le responsabilità, le decisioni vengono assunte. Emblematico fu il caso di Parma. Pizzarotti divenne sindaco di Parma alzando la bandiera del “NO” al termovalorizzatore, ma facendo i conti ambientali, sociali ed economici, da amministratore comprese che l’abbandono del progetto avrebbe nociuto alla città e cambiò opinione, con grande consenso dei cittadini.  Meno contenti furono i dirigenti nazionali del M5S. Dove ci sono élite politiche a cui tremano le gambe nel decidere, si resta, al meglio, a metà del guado. E non solo sulla questione del destino dei rifiuti.

Ovviamente, ci sono interessi anche economici in ballo e spesso anche interessi illegali. Quelli economici vedono i produttori di tecnologia italiani progressivamente meno interessati a rimanere imbrigliati nelle pastoie politiche e ideologiche e si dedicano alle esportazioni dei loro macchinari, con successo. La loro capacità di lobby in Italia è modesta, anche quando sono supportati dalle aziende utilizzatrici, per la maggior parte utilities di proprietà pubblica. Dall’altra parte, ci sono i gestori delle discariche che restano aggrappati al loro business. In mezzo, c’è un pullulare di altri interessi (per esempio, quelli dei trasporti) a cui si aggiungono purtroppo quelli malavitosi. Ci sono inchieste in corso per comprendere lo spessore di queste ingerenze negli incendi che in Campania si stanno susseguendo nei depositi della spazzatura, forse per rallentare la realizzazione degli impianti. Ma anche le balle inviate al Nord, nei dintorni di Milano, sono andate in fumo e non casualmente, come sospetta la magistratura.

Quando si incomincia a bruciare la “monnezza” è un brutto segnale. La Terra dei Fuochi deve il suo nome ai falò che venivano sistematicamente appiccati per ridurre in cenere la spazzatura inondando l’aria, le acque e i terreni di veleni. Non fosse altro per scongiurare fenomeni come questi, ci vorrebbero più fatti, meno ideologismi, molto senso di responsabilità. L’attività repressiva non basta; mandare più soldati a presidiare discariche già presidiate, è fumo negli occhi della gente. Occorre ben altro.  Ci vorrebbe un piano nazionale che si prefiggesse di eliminare in tutto il Paese le discariche a cielo aperto entro 5 anni, con incentivi e disincentivi per i Comuni interessati e i loro abitanti. Ci vorrebbe anche un forte impegno delle imprese per la riduzione dei potenziali rifiuti derivanti dagli imballaggi o dagli scarti di produzione, spesso non riciclabili perché misti (plastica e carta, Vetro e carta etc..) e di quelli non riciclabili. E comunque, senza una drastica decisione valida ovunque e che non sia affidata alle delibere locali, ogni ragionamento a valle è pura accademia. Ci vorrebbe una discussione “laica” sulle tecnologie utilizzabili, come accompagnatrici di medio periodo verso un processo di totale riciclo dei rifiuti. Tecnologie pulite, controllabili, efficienti sono ancillari alle pratiche di smaltimento più avanzate. Le une non dovrebbero essere alternative alle altre, in un bacino territoriale composito e a rischio emergenziale.

Ma quello che occorre maggiormente è l’assunzione di responsabilità delle classi dirigenti locali. Per migliorare i comportamenti dei cittadini che non sempre sono al di sopra di ogni sospetto in fatto di corretta collaborazione per portare a compimento una vera raccolta differenziata che vada oltretutto a buon fine.  Si dovrà inoltre rendere sempre più efficienti e meno carrozzoni le imprese locali dei rifiuti, in tutte le fasi del ciclo così da programmare gli investimenti necessari per uscire dalla provvisorietà cronica ed entrare in un circolo virtuoso di una delle attività più complicate di una comunità. Per trarre convenienza economica e sociale dal ciclo nuovo adottato, specie se oltre a fornire un buon servizio ai cittadini, può produrre energia e può trasformarsi anche in una riduzione delle tariffe.

Senza una buona dose di idee e comportamenti innovativi, senza una informazione corretta, dati alla mano sulle esperienze consolidate soprattutto nel Nord Italia e nel Nord Europa in questo settore, si continuerà a procedere a piccoli e contorti passi. Non sufficienti per fare il necessario salto dalla provvisorietà alla stabilità e non adeguati a smantellare quanto di vetusto e illegale incrosta i gangli del sistema. Anche sotto questo profilo, il confine tra logica dello sviluppo e rassegnazione verso la decrescita va dilatato a vantaggio di chi si muove con ottimismo. E la strada della partecipazione resta la più seria per far prevalere gli innovativi rispetto a quelli che preferiscono rintanarsi nello status quo. La sfida per la modernità non è una passeggiata. Ma bisogna farla con il contributo di tutti, anche dei più dubbiosi e riottosi. E bisogna farla in nome del benessere individuale, della convenienza collettiva e della tutela del pianeta. Soltanto così, tutte le misure di prevenzione potranno essere finalizzate al benessere di ciascuno e tutti i comportamenti, a partire da superamento de pessima abitudine di buttare la carta per terra, potranno   fare la differenza.    

   

 

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