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La pensione di reversibilità: considerazioni minimaliste.

La pensione di reversibilità, secondo quanto si ascolta dai vari esponenti di Governo e non, che si sono cimentati sulla questione nei vari programmi televisivi e in assenza di qualsivoglia testo legislativo in itinere, pare essere divenuta uno dei temi caldi della questione previdenziale e si prospetta una sua possibile riforma in che termini e con quali modalità ancora ignote.

Allo stato e prima di parlare di una possibile riforma dell’istituto forse sarebbe più semplice delinearlo per sommi capi e ciò al fine di consentire una conoscenza minimale dello stesso, anche da parte di chi ne auspica un mutamento.

Nei limiti del presente intervento si tenterà pertanto una ricognizione dell’istituto e nel far ciò è opportuno ricordare che nel nostro modello sociale da un verso la percentuale di impiego delle donne è la più bassa d’Europa, dopo la Grecia; e da altro verso che il modello sociale tuttora vigente è quello mediterraneo dove alle donne che non hanno un lavoro economicamente retribuito si affida il compito di apprestare un reticolato familiare di tutela dei soggetti deboli del nucleo, i minori e gli anziani [1] e per tale compito nessuno sostiene dei costi economici.

   All’interno di questo modello sociale, e non di quello che non c’è o di quello che si auspica dovrebbe essere la società italiana, bisogna porre la pensione di reversibilità e leggere l’attuale tessuto ordinamentale; tenendo altresì in considerazione che la stessa legislazione di diritto europeo in tema di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale riconosce l’esistenza di tale istituto (Regolamento n. 883/04, capitolo V).

  Allo stato e secondo il diritto costante nazionale, la funzione della pensione di reversibilità è quella solidaristico assistenziale di assicurare al coniuge la prosecuzione del sostentamento prima assicuratogli dal coniuge deceduto (così: Cass. n. 9652/12).

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 286/87 ove si è espunta dall’ordinamento la disciplina che disconosceva il diritto alla pensione di reversibilità in capo al coniuge separato con addebito, ha evidenziato che la tutela previdenziale non riguarda solo la famiglia ristretta, quella che si costituisce con il matrimonio, con i vincoli di consanguineità e di affinità, ma si estende anche a quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita, in modo non occasionale, al sostentamento di soggetti classificabili come <<familiari>>. Pertanto si comprendono nella famiglia <<previdenziale>> anche le persone legate da vincoli di affiliazione e di adozione, i figli legalmente riconosciuti o legalmente dichiarati, i figli naturali e anche i fratelli celibi e le sorelle inabili al lavoro.

  Con il sintagma pensione di reversibilità, si indica in senso atecnico sia il trattamento pensionistico che si radica sul precedente trattamento pensionistico di soggetto defunto, sia il trattamento pensionistico erogato in conseguenza della morte di un soggetto ancora in attività lavorativa.

  Si aggiunga ancora che all’interno di tale categoria il legislatore italiano ha altresì posto il trattamento pensionistico erogato in favore dei superstiti in caso di morte della vittima a causa di atti di terrorismo e di stragi di tali matrici, nonché in favore dei familiari delle vittime del disastro aereo di Ustica e della cosiddetta “banda della Uno bianca”.

    La pensione di reversibilità è un diritto che, nonostante si radichi sulla morte del pensionato o del lavoratore, spetta agli eredi/beneficiari così come individuati nella legislazione previdenziale jure proprio.

   Beneficiari della pensione sono:

a)    il coniuge, ivi compreso il coniuge separato con addebito e con esclusione del convivente more uxorio (si v. Corte cost. n. 461/00), al quale una volta approvata la proposta di legge sulla “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina della convivenza” (A.C. n. 3634) sarà equiparata la parte in vita dell’unione civile (ex art. 1.20);

b)   i figli superstiti (per la cui individuazione si tenga conto anche del decreto legislativo n. 154/13) che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, non abbiano superato l’età di 18 anni;

c)   i figli superstiti (per la cui individuazione si tenga conto anche del decreto legislativo n. 154/13) di qualunque età che, al momento della morte del pensionato o dell’assicurato, sono stati riconosciuti inabili al lavoro e sono a carico del genitore al momento del decesso dello stesso;

d)   i genitori del pensionato o dell’assicurato di età superiore ai 65 anni (a costoro sono equiparati gli adottanti, gli affiliati, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle quali il de cuius fu affidato) che non siano titolari di pensione e alla data della morte dell’assicurato o del pensionato siano a suo carico, e sempre che non vi siano né coniuge né figli superstiti oppure, esistendo, non abbiano diritto alla pensione di reversibilità;

e)    i fratelli celibi e le sorelle nubili superstiti che non sono titolari di pensione, sempreché al momento della morte del pensionato o del lavoratore risultino permanentemente inabili al lavoro e a carico del defunto, e sempre che non vi siano né coniuge, né figli superstiti, né genitori oppure, esistendo, non abbiano diritto alla pensione di reversibilità.

Si osservi che le categorie sub a) b) e c), se entrambi esistenti concorrono fra loro al riconoscimento e alla fruizione della pensione; mentre le categorie sub d) ed e) sono alternative fra loro.

Ancora, l’accesso al beneficio da parte delle categorie elencate sub. c) d) ed e) è altresì condizionato alla contestuale esistenza, in positivo o in negativo, altri requisiti, quali a titolo esemplificativo l’inabilità al lavoro, l’inesistenza della fruizione di altro trattamento pensionistico, la vivenza a carico.

Il legislatore, nel tentativo di disciplinare un fenomeno sociale rappresentato da matrimoni fra uomini anziani e le loro badanti, pur riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge superstite, recte della moglie, modula l’importo della pensione, ponendolo in collegamento con la durata del vincolo matrimoniale (si v. l’art. 18.5 del d.l. n. 98/11, conv.to con modif.ni dalla l. n. 111/11 e la circolare Inps n. 84/12).

Il diritto alla pensione di reversibilità cessa quando il coniuge superstite fruitore della pensione contragga matrimonio. 

Infine e con riguardo alla misura della pensione di reversibilità la stessa è legislativamente fissata rispettivamente:

– in favore del coniuge nel 60 per cento della pensione che sarebbe spettata all’assicurato;

– in favore del figlio nella misura del 20 per cento sempre della pensione che sarebbe spettata all’assicurato;

– in favore dei figli nella misura del 40 per cento se la pensione di reversibilità spetta solo a costoro.

In ogni caso la misura del trattamento pensionistico di reversibilità non può essere complessivamente né inferiore al 60 per cento, né superiore all’intero ammontare della pensione che sarebbe spettato all’assicurato o che spettava al pensionato defunto. La misura della pensione è elevata al 70 per cento in presenza di soli figli minori, studenti o inabili.

Ancora il trattamento pensionistico di reversibilità è cumulabile con redditi del beneficiario secondo una specifica modalità che va dal 75 per cento del trattamento pensionistico e arriva al 50 per cento di questo a seconda della misura dei redditi percepiti dal beneficiario (si rinvia in ogni caso alla lettura dell’art. 1.41, l. n. 335/95 e dell’all.to F).

Una volta delineato sommariamente il quadro legislativo di riferimento della pensione di reversibilità appare evidente che:

a)    il beneficio è riconosciuto anche per fattispecie che strutturalmente nulla hanno a che vedere con la pensione di reversibilità nel significato corrente che si da dell’espressione;

b)   non è erogato solo al coniuge superstite, come la corrente vulgata afferma, ma ha una platea ben più ampia di beneficiari;

c)   il beneficio è riconosciuto come diritto proprio del beneficiario ancorché ha come suo presupposto un fatto la morte del pensionato o del lavoratore;

d)   la misura del beneficio è, per grandi numeri, sempre inferiore all’importo del trattamento pensionistico erogato al defunto o che sarebbe spettato allo stesso;

e)    la misura del beneficio risente della eventuale percezione di altri redditi da parte del titolare della pensione di reversibilità.

 

Orbene se il quadro legislativo di riferimento è quello sin qui delineato le soluzioni prospettate da economisti, gli unici a onor del vero che sinora hanno consolidato in forma scritta l’assordante chiacchericcio televisivo, con uno sguardo limitato al versante economico e senza conoscenza alcuna dell’istituto così come disciplinato e della funzione che lo stesso è chiamato a esercitare nel nostro modello sociale, appaiono non cogliere nel segno in quanto prefigurano una pensione che è erogata al solo coniuge superstite e che non risente in alcun modo dell’eventuale fruizione di altri redditi da parte del predetto.

Ma ancora il non detto di tali soluzioni strettamente economiche è che il coniuge superstite goda di una sua prestazione pensionistica frutto del proprio lavoro retribuito. Situazione questa, con riguardo alle donne, che come detto all’inizio di questo intervento, non è quella esistente nella società italiana.

E allora prima di accapigliarsi sulla modificazione della pensione di reversibilità come se la vita del sistema previdenziale italiano dipenda da questo istituto, forse bisognerebbe chiedersi se e come le funzioni svolte da questo istituto, secondo le scelte che il legislatore ha fatto tempo per tempo e che hanno inciso e incidono innanzitutto sulla vita dei cittadini (scelte che pare non siano più condivise dal legislatore o forse dai tecnici del Ministero dell’economia), possano essere svolte da altri istituti e questo ovviamente richiede tempo, studio per un ripensamento non a spizzichi e bocconi del sistema di previdenza obbligatorio e nel frattempo dello svolgimento di tale attività uno prezioso e sano silenzio.



[1]) Su questo aspetto appare ancora utile la lettura di: Gǿsta Esping Andersen, La rivoluzione incompiuta. Donne, famiglie, welfare, Il Mulino, Bologna, 2011. 

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